L'espressione “poesia della vacanza” è stata adoperata per
indicare gran parte della poesia dannunziana di fine Ottocento ed
anche l'Alcyone, da tanti considerato il capolavoro della
lirica del “vate” pescarese, può per molti aspetti ricondursi a
quella indovinata denominazione. Quello che segue è un testo che può
dirsi “poesia delle vacanze” in senso più proprio e stretto e - collegata com'è al primo emergere della società di massa - è
anche un testo pubblicitario.
D'Annunzio vi esalta le gioie della
balneazione nei lidi della sua città natale con piglio parodistico.
L'incipit rammenta quello dell'Iliade tradotta dal Monti e
l'ottava ariostesca si nutre di citazioni dell'Ariosto; il lettore di
poesia non tarderà peraltro a rintracciare altre riprese e allusioni.
Non si
può dire che la poesia sia una gran cosa, ma a me piace l'ironia di taluni passaggi:
per esempio la lode dei “comunali annaffiatoi” o il blando
erotismo gallista cui fanno da contrappeso provinciali e meridionali
gelosie. (S.L.L.)
La "riviera" di Pescara in una foto del primo Novecento |
Cantami, o verde Musa balnearia,
oggi il vago paese di Pescara,
dove un medicinal balsamo è l’aria
e la pigion di casa non è cara,
dove una grande selva solitaria
cresce tra l’acqua dolce e l’acqua amara,
una selva che l’ombre ha profumate
e benigne a le coppie innamorate.
Il marchese del Vasto è pio signore
de la selva che tante arene abbraccia.
Ivi chiome di pini ampie e canore
ondeggiano; e ciascun tronco s’allaccia
a l’altro; e ne ’l misterio de l’albore
i tronchi paion centomila braccia
che tutte si protendano ne l’alto,
pronte ad un qualche gigantesco assalto.
Ivi i bagnanti, e le bagnanti, quando
tramonta Febo dietro Montecorno,
si sparpagliano a stuoli, e ragionando
vanno e cogliendo le mortelle in torno.
Se de la luna il corno venerando
sale ne ’l ciel, l’acuto e roseo corno,
fioriscon l’ecloga ed il reuma a ’l lume
castissimo, secondo il buon costume.
Or migrano da l’Aquila, da Chieti,
da Teramo, da tutte le province,
i cittadini; e vengono ai quieti
lidi d’Aterno, qui dove li vince
l’ozio beato a l’ombra dei mirteti
(oh rima rara come occhio di lince!),
e dove la salubre aura marina
tanta ha copia di sale e di resina.
Da l’altra parte, che Castellammare
si appella, sorge uno stabilimento;
sorgono molte ville ilari e chiare
lungo la strada; e in fresco ondeggiamento
i platani da ’l tronco secolare
lungo la strada cantano col vento.
Van smorzando la polve annaffiatoi
rustici, tratti da cavalli e buoi.
Bello è veder passare i comunali
annaffiatoi per la riarsa via!
Dolce è sentir suonare in su i piazzali
l’organetto gentil di Barberia!
Dolce è sorbire i pezzi glaciali,
a ’l Caffè grande, in lieta compagnia,
e quindi su le tavole sonanti
danzar con le pieghevoli bagnanti!
Ma più bello e più dolce anco è vedere
il solco de le membra feminine
per mezzo a l'acque e l'onda de le nere
o bionde chiome a l’aure levantine
e il furtivo apparir, tra le leggere
spume, di spalle marse o marrucine,
e di ginocchi teramani, e d’anche
frentane e di vestine gambe bianche.
Voi, o signora, a cui dentro i quieti
laghi delli occhi amor torpido stagna,
e brilla qual ne’ fondi alti e secreti
l'oro de le galee del re di Spagna,
voi, diva in una corte di poeti
macra che vi sospira e che si lagna,
perché occultate il bel corpo ideale
a noi, temendo l'ira maritale?
E voi, signora dalle chiome flave
e da la pelle bianca più che latte,
e voi, signora a cui dentro il soave
occhio l’azzurro col verde combatte,
e voi, signora da ’l sorriso grave
e dall’ ampie pupille stupefatte,
voi perché, paventando le fortune
de l’acqua, non lasciate mai la fune?
Or taci, Musa verde. Immenso raggia
ne 'l pieno sole pomeridïano
il mare, e pe ’l silenzio de la spiaggia
perdesi lentamente il canto vano.
Vieni, o Musa: facciam opera saggia.
Vieni: ci annegheremo piano piano.
O cronisti, o cronisti, o tutti voi
colpevoli, annegatevi con noi!
“La Tribuna, 9 agosto 1885, ora in Tutte le poesie, Vol.III, Newton Compton, 1995
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