Sono dell’opinione che
quel tanto che del passato ci resta in muri, archi e colonne, in
monumenti e documenti, lo si debba all’incuria dei secoli, dalla
fine dell’impero romano all’unità d’Italia; mentre alla cura e
protezione nell’ultimo secolo legiferata e istituzionalizzata siano
da attribuire le devastazioni più irreparabili, e le più efferate
(tanto più efferate, ovviamente, quanto più diffusa e avvertita
veniva facendosi la coscienza di dover curare e proteggere).
Per secoli il monumento
godette di una specie di invisibilità. Fu utilizzato per altre
costruzioni o incorporato in esse; o fu lasciato dov’era, oggetto
di un vago culto del bello e dell’antico, senza particolari cure e
senza rapaci o scientifiche attenzioni. Qualcuno si salvò, così,
integralmente o quasi; di altri si salvarono i pezzi o le strutture.
L’utilizzazione o l’abbandono furono comunque le condizioni per
cui gli antichi monumenti, almeno parzialmente, si salvarono. Ma
appena cominciarono a diventare visibili, ad essere considerati
pubblico bene, patrimonio civile, inalienabili se non per furto,
intoccabili se non per restauro, e insomma custoditi direttamente o
indirettamente dallo Stato, protetti dalle sue leggi, ecco che
incominciarono i guai.
da Nero su nero, Einaudi 1979
Nessun commento:
Posta un commento