Il numero 16 di “Vie
Nuove” del 22 aprile 1961 fu doppiamente monografico. Il
settimanale d'area comunista era a quel tempo diretto da Maria
Antonietta Maciocchi, che poco più di un decennio più tardi avrebbe
rotto con il partito per un curioso dissentire che mescolava maoismo
e pannellismo. Quel “Vie Nuove” era interamente dedicato alla
Resistenza e al 25 Aprile, aperto da un articolo di Piero Calamandrei
e basato su fotografie, spesso inedite, corredate da ampie didascalie
sui momenti più importanti della lotta partigiana. Ma c'era anche un
inserto: un supplemento dal titolo Il pioniere del cosmo,
dedicato al primo viaggio umano nello spazio e al suo protagonista,
Yury Gagarin, che il 12 aprile sulla nave spaziale “Oriente”
aveva percorso un'orbita intorno alla terra e si era poi inoltrato
nello spazio. L'articolo che segue, dal titolo originario I
gemelli di Einstein, di Lucio
Lombardo Radice, grande matematico e comunista di cuore e di testa,
commenta l'impresa del cosmonauta. C'è di certo un eccesso di
fiducia, un elemento religioso nel suo argomentare, ma io ho letto
l'articolo con commozione e nostalgia. (S.L.L.)
Yuri Gagarin |
I gemelli di Einstein
Due giorni prima della
famosa mattina del primo volo dell'uomo nello spazio, volli ingannare
il tempo di un lungo viaggio in treno leggendo un libretto americano
di fantascienza. Me lo imprestò un amico fisico, che ne aveva scorso
le prime pagine, dicendomi che lo spunto era buono. Infatti, il dato
iniziale del racconto era strettamente scientifico, non fantastico.
Si trattava di una singolare conseguenza della teoria della
relatività di Einstein, e precisamente del fatto che, viaggiando a
una velocità vicina a quella della luce, il ritmo del tempo si
rallenta, poiché la misura del tempo in un sistema non è
indipendente dal rapporto tra la velocità del sistema e quella della
luce. Insomma, se ci sono due gemelli, diciamo il gemello A e il
gemello B, ed A si imbarca su di una astronave che, a una velocità
poco minore di quella della luce, compie un giro nel cosmo che dagli
orologi dell'astronave è misurato con pochi anni, A al suo ritorno
sulla Terra troverà il suo gemello B molto più vecchio di lui, o
addirittura morto o sepolto, perché gli orologi della Terra hanno
misurato il tempo intercorso tra la partenza e l'arrivo
dell'astronave in decenni, se non in secoli. L'autore del libretto
traeva da questa premessa scientifica (supposta realizzata
tecnicamente) una penetrante deduzione psicologica e una sconcertante
previsione storica. Gli uomini e le donne del «lungo viaggio», cioè
coloro che avevano fatto anche un solo giro cosmico che,
invecchiandoli di pochi anni, faceva però trovare loro la Terra di
un secolo dopo, divenivano psicologicamente inadattabili all'epoca
nuova, incapaci di fermarsi nel tempo, e perciò finivano sempre col
ripartire per nuovi astri e nuovi secoli, per considerare come loro
tempo quello dell'astronave vagante a una velocità vicina a quella
della luce. Deduzione — lo ripetiamo — penetrante e suggestiva.
Quale umanità, quale
società,quali costumi trovavano però, secondo l'autore, gli
astronauti inquieti, di scalo in scalo, di secolo in secolo?
Trovavano (secondo l'autore) una tecnica sempre più progredita;
rapporti tra uomini, tra classi, tra Stati sempre più feroci.
Nell'ultimo scalo all'« astroporto » della città che un millennio
prima si chiamava Chicago, gli irrequieti vagabondi dello spazio e
del tempo trovano che gli ex-Stati Uniti di America erano retti da un
feroce monarca schiavista, in guerra non solo con il resto della
Terra ma con i cieli, che voleva rapinare le ricchezze raccolte in
lontanissimi pianeti dall'astronave e ucciderne l'equipaggio. Un re
selvaggio di una società favolosamente progredita dal punto di
vista tecnico. Noi crediamo che una siffatta « fantastoria » sia
radicalmente falsa, e debba anzi essere respinta con sdegno, come
vile pessimismo reazionario. Così non sarà certo l'avvenire, ben
altro aspetto presenterà, nei millenni che verranno, la città
terrestre agli ardimentosi del « lungo viaggio ». Ma il presente?
Non offre forse, su scala ridotta (ma non tanto!) il drammatico
contrasto tra tecnica e civiltà della favoletta di fantascienza che
ha stimolato le nostre riflessioni?
Supponiamo, per un
attimo, che la nave spaziale « Oriente », il 12 aprile 1961, per un
qualche fantasioso incidente, fosse stata costretta ad atterrare
altrove: nell'Angola, ai margini del Sahara, in Florida. Juri
Alekseievich Gagarin, scendendo dalla navicella, non avrebbe più
trovato il compagno colcosiano, padrone della sua terra, lavoratore
libero, uomo colto, ad accoglierlo con entusiasmo e commozione ma
senza stupore. Sarebbe stato adorato (o crocefisso?) come « figlio
del Cielo » da tribù di uomini lacere, povere, ignoranti, mantenute
colla forza nel loro stato quasi-preistorico, e insieme sfruttate
secondo i canoni del moderno capitalismo, dal feroce tiranno che
ancora oggi, nell'era spaziale, regna sul Portogallo e su vaste
regioni africane; avrebbe visto il mostruoso fungo atomico della
terza (o quarta) atomica francese, che un altro tiranno, più
«civile» di modi nella madrepatria, lancia nel vano tentativo di
intimidire il popolo algerino che da anni lotta e si sacrifica per
uscire dalla schiavitù; sarebbe stato arrestato come spia sovietica
nei campi segreti ove !a civilissima America offre l'addestramento e
le armi più moderne agli ex seguaci di Batista (quello che evirava
gli avversari politici) per invadere la libera isola di Cuba e
restaurare nelle sue campagne e nelle sue città il privilegio
feudale e capitalistico. Non per caso, certo (e lo ha osservato
perfino l'onorevole Saragat), il primo uomo che abbia volato nello
spazio è un cittadino sovietico. Tra civiltà e tecnica una
relazione esiste, se pure complessa e non meccanica. Il fatto che
l'economia capitalistica sia diretta da colossi privati per i
profitti privati, e da governanti che sostengono questi interessi e
li identificano con i concetti stessi di « libertà » e civiltà,
il fatto che la economia sovietica sia diretta da studiosi,
scienziati, tecnici nell'interesse collettivo, e da politici che
hanno abbattuto il potere del profitto privato e hanno costruito una
produzione socialista, questi fatti pesano, e come!, anche nel
decidere la «gara spaziale». Come pesa la differente concezione
della cultura nel mondo capitalistico e in quello socialistico, la
completa diffusione di una cultura «disinteressata» di massa nella
nuova società senza sfruttatori, il costume, le idealità, le
«tavole di valori» che su queste nuove basi si sviluppano dentro
l'uomo, e regolano i rapporti tra gli uomini, e indicano le mete
collettive.
«Poniamo fine alla corsa
degli armamenti. Accordiamoci per un disarmo universale e completo
sotto uno stretto controllo internazionale. Questo sarà un
contributo decisivo alla causa sacra della protezione della pace» :
questo il messaggio dei dirigenti sovietici dopo il fantastico volo
dell'«Oriente». Ecco cosa significa il fatto che alla testa del
progresso tecnico sia oggi il mondo socialista: un messaggio di
pace, un invito a una convivenza umana più civile. Come non
ricordare che l'ultimo primato tecnico dello imperialismo, il
monopolio atomico durato per alcuni anni significò, al contrario, un
continuato ricatto? Scendendo dallo spazio per la prima volta violato
dall'uomo nei campi di un colcos, Juri Alekseievich ha portato, forse
inconsapevolmente, agli uomini, ai lavoratori che ancora vivono sotto
l'impero del capitalismo, un messaggio rivoluzionario. Colonialismo,
imperialismo, profitto privato, potere dei padroni appaiono davvero
residui di un'altra era, appaiono preistoria agli occhi dell'uomo che
torna sulla Terra dallo spazio. E quegli occhi, ormai, sono i nostri
occhi.
“Vie Nuove”, N.16 del
22 aprile 1961
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