Foto di Dani Purcaru |
Il viaggiatore che abbia
la ventura di aggirarsi nei pressi della stazione Termini di Roma e
ne approfitti per sedersi su uno dei pochi autobus in circolazione
aspettandone la partenza, con un po’ di fortuna avrà la
possibilità di percepire un ticchettio discreto ma distinto. Girando
lo sguardo, constaterà con sorpresa e un qualche sgomento che il
suono metallico non è prodotto da orologi ferroviari o da qualche
molesto dispositivo elettronico ma da enormi corvi neri.
I pennuti si aggirano
sull’asfalto picchiettandolo con artigli talmente grandi da far
riecheggiare i propri passi nella piazza. Non c’è dubbio che in
circostanze come queste gli animali, gli animali non umani cioè
tutti gli animali che noi non siamo, sono in grado di fare capolino
nella nostra esistenza e guardarci in modo inquietante.
È proprio questa
esperienza di familiarità estraniata, quella che Freud chiama
l’esperienza del «perturbante», uno dei cardini sul quale ruota
il libro di Massimo Filippi e Filippo Trasatti, Crimini in tempo
di pace. La questione animale e l’ideologia del dominio
(elèuthera, 2013). Non si tratta del solito pamphlet animalista
pieno di buoni sentimenti e di sovrana indifferenza per il rigore
teorico e il destino di un mondo votato allo sfruttamento. È invece
un libro elegante, che lavora sulla pittura di Lorenzo Lotto, la
letteratura di Clarice Lispector e la filosofia di Giorgio Agamben
senza preoccupazioni di ordine accademico-disciplinare. Ma è anche
un libro duro, che non fa sconti, perché impietoso innanzitutto con
il movimento animalista spesso troppo attento alla sola condizione
degli organismi non umani e troppo convinto che sia opportuno
lasciare a una fantomatica «fase due» la liberazione dei sapiens.
«Il movimento animalista» – chiariscono Filippi e Trasatti –
dovrebbe abbandonare uno dei suoi dogmi più consolidati, quello
secondo cui l’oppressione animale precede sempre, ontologicamente e
temporalmente, quella sugli umani». Per segnare questo percorso
teorico il libro sceglie la strada più diretta e, come spesso
accade, la più impervia.
Alias-talpa – il
manifesto, 20 ottobre 2013
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