L'articolo, che riprendo
da un numero dell'anno scorso di “Le Monde diplomatique”,
raccontando del grande successo di un sito e del suo creatore,
contribuisce non poco a spiegare la base ideologica del grande
successo lepenista alle elezioni europee, che dal provinciale
dibattito politico italiano è stato stoltamente archiviato. Credo
che sia il caso di aprire una riflessione collettiva a sinistra,
perché – oltre tutto – molto del materiale ideologico e
propagandistico di questo Soral si ritrova nella nostra umile Italia
e diffuso nei luoghi più vari e impensati, nella residua sinistra o
nella destra leghista, nel grillismo o in un renzismo sempre più
nazionalista. (S.L.L.)
Tutti insieme accolgono i
visitatori. Sulla sinistra dello schermo, Hugo Chávez, Ernesto
Guevara, Muammar Gheddafi, Patrice Lumumba, Thomas Sankara, Mahmud
Ahmadinejad, Fidel Castro, Vladimir Putin. Sulla destra, Giovanna
d’Arco e il creatore di questi incontri del terzo tipo: Alain
Soral. Su uno sfondo nero i personaggi inquadrano il nome del sito
internet, Egalité & Réconciliation (E&R, Eguaglianza
e riconciliazione) e il suo motto: «Sinistra del lavoro e destra dei
valori». Un sito che è duecentosessantanovesimo nell’elenco Alexa
(ritenuto affidabile) dei siti francesi in funzione del traffico
generato. Per un confronto, quello di Télérama si piazza
duecentosessantesimo…
Guevara e Putin? Chávez
e la «destra dei valori»? C’è confusione nei punti di
riferimento, nell’atmosfera politica d’oggi. O, per dirlo in
altro modo, c’è confusione ideologica. Il grande interrogativo è:
chi è chi. E che cosa significa essere di destra o di sinistra? Alla
scuola estiva del padronato, il Mouvement des entreprises de
France (Medef, Movimento delle imprese di Francia) applaude
calorosamente il ministro dell’economia e delle finanze, Pierre
Moscovici, quando afferma: «Dobbiamo combattere insieme». Alain de
Benoist, cofondatore del Groupement de recherche et études pour
la civilisation européenne (Grece, Gruppo di ricerca e studi per
la civiltà europea), animatore di quella che era chiamata la
«Nouvelle droite» (Nuova destra), si dichiara favorevole
alla nazionalizzazione delle banche, alla creazione di un sistema di
credito socializzato, al rifiuto di pagare il debito, e si fa forte
degli intellettuali progressisti Emmanuel Todd e Perry Anderson, come
degli Economistes atterrés (Economisti costernati). Il Front
national (Fn, Fronte nazionale) difende il protezionismo, insieme a
una parte della sinistra radicale, e parla, come il Front de
gauche (Fg, Fronte di sinistra), di «sovranità popolare».
Dunque, quando dei militanti sindacalisti collocati a sinistra,
quando una comunista, nel 2012 candidata sotto il simbolo del Fg alle
elezioni legislative a Marsiglia, scelgono di presentarsi con il Fn,
è forse un atto di negligenza liquidare questi fatti come sporadici
benché impressionanti.
Lo stesso vale per il
fatto che alle legislative parziali nella seconda circoscrizione
dell’Oise, e a quelle di Villeneuve-sur-Lot, una percentuale non
trascurabile di voti socialisti sia andata al Fn. Tutto questo è
indice di una confusione grave. Che cosa significa dunque
quest’amalgama? Occorre forse cogliervi il mistero di
un’oscillazione emotiva, come fa Jacques Julliard, su una base di
«scetticismo rispetto al ceto politico, di sinistra e di destra»,
oppure la scelta di trascendere le differenze, perché gli «estremi»
alla fin fine potrebbero toccarsi, in modo salutare? Subito definiti
«transcorrente» e strumenti di resistenza al «sistema», i video
mensili di Soral sul suo sito, la cui audience non è certamente
sporadica in particolare presso i giovani (15 milioni di contatti per
382 video), permettono di comprendere la posta in gioco. Soral si
rivolge, a titolo personale, ai cittadini di buona volontà che
cercano di capire qualcosa in tutto questo «bordello» –
espressione soraliana. In maglietta, disinvolto e concentrato, seduto
sul divano, egli spiega la situazione: l’attualità, e il senso
della storia. Trascorsi artistici: diversi film, un romanzo. Ma il
suo passato dimostra anche coraggio intellettuale, con un percorso
politico che corrisponde alle tentazioni di tanti spiriti inquieti.
Dall’adesione al Partito comunista (di breve durata, pare) negli
anni 1990 alla Lista antisionista fondata con l’umorista Dieudonné
per le elezioni europee del 2009, passando per i due anni (2007-2009)
al Fronte nazionale, egli si è mosso senza timore di paradossi e
rotture. Ostenta il suo sarcasmo, come faceva l’avvocato Jacques
Vergès, ai cui funerali il 20 agosto 2013 egli ha partecipato
rendendogli omaggio, insieme all’ex ministro socialista Roland
Dumas, all’ex ministro del governo Balladur Michel Roussin, e a
Dieudonné… Adepto per di più di arti marziali (boxe francese e
inglese), egli si presenta, con discrezione ma con fermezza, come la
simbiosi fra un adolescente mai cresciuto – che continua a fare
domande, che non è conformista nell’impegno (e anche nel
disimpegno) - e un individuo pressoché medio, esposto alla
solitudine eroica ma muscolosa di chi, senza partito, senza appoggi,
contro tutti, cerca di vederci chiaro. Niente a che vedere con
l’immagine di un intellettuale universitario o di un quadro
politico. Questo facilita il saccheggio ideologico praticato da tanti
internauti, in genere sprovvisti della formazione che in passato
veniva offerta da partiti o sindacati e che strutturava la
riflessione.
Il ragionamento si
organizza intorno ad alcune emozioni e nozioni chiave: il senso di
impotenza di fronte alla globalizzazione e alla perdita di autonomia
di un paese sottoposto alle leggi europee; l’inquietudine davanti
al regresso economico e sociale; il malessere rispetto ai valori di
una modernità che si autoproclama progressista; la difficoltà di
immaginare un futuro diverso. Sotto la tutela intrepidamente
congiunta di una santa guerriera e di dirigenti politici non così
attenti alla ricerca del consenso, Soral fa la sua analisi e offre le
sue risposte.
L'ossessione della
morale e della nazione
In primo luogo, occorre
lottare contro il «globalismo», un «progetto ideologico che mira a
instaurare un governo mondiale e di conseguenza a dissolvere le
nazioni, con il pretesto della pace universale», il tutto passando
per la «mercificazione integrale dell’umanità» (3). Questo
mondialismo si traduce in un «dominio oligarchico», che si fa beffe
della sovranità popolare e alimenta il mito dell’onnipotenza del
mercato, «come se non si trattasse di politica, di rapporti di forza
e di rapporti di classe» (video, gennaio 2013). L’attribuzione di
diritti specifici alle «minoranze oppresse» viene dunque a
sostituirsi alle conquiste sociali collettive, e porta a una
balcanizzazione che rischia di scatenare la guerra civile; la
testimonianza più evidente di questa deriva sarebbe la «lettura
razziale dei rapporti sociali», «”autoctoni” contro “arabi”,
tutti nella parte bassa della scala sociale, piuttosto che lavoro
contro capitale», e che fa dei musulmani dei «capri espiatori».
Riassumendo: il Nuovo ordine mondiale, altrimenti chiamato Impero,
vuol far trionfare una democrazia formale, semplice «potere dei più
ricchi» (video, maggio 2013), ancorata a un egualitarismo astratto
che sostituisce «tematiche societali» alle questioni della
«diseguaglianza sociale» e dello «sfruttamento di classe» (video,
maggio-giugno 2013); e si giustifica brandendo i diritti umani. Soral
propone dunque di «uscire dall’Unione europea, uscire dalla Nato
[Organizzazione del trattato del nord Atlantico] e riprendere il
controllo sulla nostra moneta (…) per restituire alla Francia la
sovranità e alla democrazia un po’ di senso». Lottare contro
l’«obsolescenza degli Stati di fronte all’economia
globalizzata». E introdurre il protezionismo.
Evidentemente, questa
lettura della situazione generale può essere condivisa da chi, come
lui, vuole farla finita con l’«oligarchia della rendita sul lavoro
umano». Soral può anche far credere di essere, non come egli
sostiene «marxista» – bisognerebbe davvero essere molto distratti
–, ma certo alla ricerca di una «sinistra autentica». Soprattutto
se aggiungiamo che egli condanna la colonizzazione, «tradizione di
sinistra dell’universalismo francese» e il neocolonialismo,
insiste sul fatto che la «strumentalizzazione delle tensioni
etnico-confessionali» serve a sviare la lotta di classe, auspica un
mondo multipolare. Ma al tempo stesso, egli evoca ben poco i
movimenti sociali, la socializzazione dei mezzi di produzione…,
sembra piuttosto ispirato dalla denuncia dell’«alleanza fra la
destra finanziaria e la sinistra libertaria», che élites e media
legittimano…
In effetti la sua vera
ossessione, più della giustizia sociale, è il salvataggio della
Francia – «Voglio salvare la Francia, ecco» (video dell’autunno
2012, parte terza) – e quello che secondo lui essa rappresenta. In
altri termini, la politica gli importa meno della morale, e la
rivoluzione meno della nazione. La morale, per il senso che può dare
alla vita personale; la nazione, per il senso che può dare alla vita
collettiva. Se i rapporti di classe sono una tematica onnipresente
nella sua proposta, lo studio degli stessi rimane debole. Infatti,
l’essenza dell’analisi si fonda su una concezione dell’essere
umano che il liberismo, diventato sinonimo di modernità, starebbe
cercando di distruggere. Il nemico fondamentale è ciò che incita
«al consumismo compulsivo e all’individualismo» (Carta di E&R),
cioè «l’ideologia del mondo mercantile». Ben più dello
sfruttamento, quello che va condannato nel neoliberismo è che
«produce una società schiava delle sue pulsioni» (video, maggio
2013), determinando così un indebolimento del senso della
collettività, e dunque della coscienza politica, sollecitando
l’affermarsi dell’egoismo, dello spirito competitivo, della
ricerca del piacere. Solo la nazione è «in grado di proteggere i
popoli dai profitti cosmopoliti che non hanno patria né morale» e
pervertono i valori che vanno oltre la mera soddisfazione personale.
Il salto è brutale. Cosa indica qui il termine nazione?
Evidentemente, per «proteggere i popoli», dovrebbe incarnare il
rifiuto dell’egoismo e dei «profitti cosmopoliti». Il che da una
parte presuppone che la nazione abbia un’essenza particolare, il
genio proprio a una particolare cultura. E, d’altra parte, deve
escludere il cosmopolitismo amorale.
Che slittamento. Dalla
richiesta di sovranità, rispetto fra l’altro alle leggi
sovrannazionali, si arriva a far ricorso a una nozione quasi mistica,
la cui rivendicazione dovrebbe permettere di creare «un fronte del
lavoro, patriottico e popolare, contro tutte le reti della finanza e
dell’ultraliberismo globalizzato». «Comunità nazionale fraterna,
cosciente della sua storia e della sua cultura», nella quale si
ritrovano «quelli che vogliono una più giusta ripartizione del
lavoro e delle ricchezze» e «quelli che vogliono conservare quel
che c’era di buono, di misurato e umano nella tradizione», questa
tradizione ellenico-cristiana che avrebbe portato a esigere una reale
eguaglianza. Per sconfiggere il materialismo occorre, secondo Soral,
ritrovare la forza spirituale che gli faceva da contrappeso in
passato, e che era rappresentata tanto dalla religione che dal
comunismo o dall’universalismo francese: il senso della fraternità,
il rispetto di sé e dell’altro, la coscienza di essere un
individuo che fa parte di un insieme. La nazione sarebbe dunque
un’entità per sua natura anticapitalista, dalla quale vengono
esclusi tutti gli agenti, coscienti o non, del neoliberismo: a
sinistra, quelli per i quali la lotta si riduce all’«uguaglianza
giuridica»; a destra, quelli che «vogliono conservare i loro
privilegi». Quel che importa è la possibilità di unirsi nella
condivisione di valori comuni, più grandi degli appetiti e delle
caratteristiche individuali. Poco importa dunque la laicità,
diventata «una religione, la più fanatica di tutte», poco importa
l’origine del cittadino – i francesi musulmani integrati sono
«un’opportunità per la Francia» al contrario di «questa nuova
generazione di sbandati, usciti dai ghetti dell’emarginazione (…)
portatori di un’ideologia delinquente americano-liberista». Nemico
della fraternità è tanto il comunitarista, in nome dell’eguaglianza
«vittimista», quanto l’improduttivo, l’avido, il gaudente –
l’individualista. I due gruppi dei «progressisti» e dei
«reazionari» non sono dunque omogenei al loro interno.
È importante definire i
veri protagonisti di una società non più alienata dalla
rappresentazione del mondo neoliberista: il vero popolo, portatore
dello spirito della nazione. Superando i falsi antagonismi, superando
i clichés delle differenze, egli include la piccola borghesia che
può essere molto vicina al proletariato, e il piccolo imprenditore
che non ha le stesse pratiche del Medef. Tutti insieme, contadini,
operai, piccoli imprenditori…potranno andare verso una «società
mutualista di piccoli produttori cittadini», poiché, per ciascuno,
«la responsabilità economica e sociale – dunque politica –
deriva dalla proprietà dei mezzi di produzione». Soral non è
lontano da Pierre-Joseph Proudhon, né da Pierre Poujade. Ma è molto
lontano da Karl Marx.
Facilitare le
deviazioni
Questa società
«riconciliata», degna, potrebbe essere un obiettivo comune alla
destra antiliberista e alla sinistra radicale. «C’è una destra
morale che, a ben riflettere, è alleata della sinistra economica e
sociale. E, all’opposto, una sinistra amorale che si è rivelata
come la condizione ideologica della destra economica nella sua
versione più recente e brutale». «Sinistra del lavoro, destra dei
valori»: lo slogan di E&R rivela tutto il suo senso. La sinistra
sociale integra il senso della trascendenza insito nei valori della
nazione, e la lotta fra le classi viene abolita in una società
diversificata e unita. Rimane da spiegare la vittoria del
neoliberismo, e anche la sua presa ideologica sulla sinistra amorale.
Semplice: il colpevole è il complotto statunitense-sionista. Se la
democrazia è fittizia, se le tesi a favore del neoliberismo si
diffondono con tanta forza, se l’opposizione è così spesso
indebolita, è perché reti occulte hanno infiltrato l’insieme
degli organi decisionali dell’…Impero, neutralizzando o
corrompendo l’azione politica: dalle cene del Siècle alle
«nuove massonerie per l’iperclasse costituita dai think tank,
stile Bilderberg o Trilaterale», l’oligarchia prepara le proprie
manovre e plasma l’opinione pubblica, mentre, di complotto in
complotto, crea la minaccia terrorista con le Twin Towers o la
guerra civile in Siria. Il che giustifica il sostegno di Soral
all’«islam della resistenza» e ai suoi alleati che, da soli, si
opporrebbero al dominio mondiale di questa casta…
Al centro delle
cospirazioni si troverebbero, legati all’America rapace, gli
«Ebrei», se non erranti, almeno per loro natura estranei al
concetto di nazione, e in più portati all’accumulazione di
capitale. Il sistema bancario è in mano agli ebrei, la stampa è in
mano agli ebrei, i distruttori dell’unità nazionale sono ebrei…nei
loro confronti Soral prova un odio positivamente affascinato. Li vede
ovunque. Evidentemente, preferisce parlare di antisionismo o di
opposizione alla politica dello Stato di Israele. Ma il suo è
proprio antisemitismo, non l’espressione di un sostegno al popolo
palestinese o un gusto marcato per la provocazione ritenuta
liberatrice. E’ per ardente convinzione che la sua casa editrice,
Kontre Kulture, riedita classici dell’antisemitismo (Edouard
Drumont, La France juive, ecc.). Nessuna ambiguità.
Ma questa mania sfrenata
non basta a screditarlo presso i seguaci. Le teorie del complotto,
con massoni, giudei, Illuminati e altri, sono legate al diffuso
sentimento di impotenza, che nemmeno gli altrettanto diffusi attacchi
contro le élite e le oligarchie riescono ad attenuare. E
indubbiamente, c’è anche il fatto che, talvolta, ci sono accordi
tenuti segreti (tanto per fare un esempio, si pensi ai rapporti fra
gli Stati Uniti e alcuni elementi del padronato cileno nella
preparazione del colpo di Stato che rovesciò il presidente Salvador
Allende). Tuttavia dobbiamo chiederci se questo genere di
riflessioni, che vuole essere prima di tutto morale, non porti
piuttosto spesso a un populismo «rossobruno» ben poco
anticapitalista ma dai forti accenti xenofobi, se non fascisti. Se
guardiamo alla storia, la risposta è sì. Tuttavia, sarebbe
superficiale ritenere che gli habitués di Soral siano tutti
fascistoidi. E altrettanto superficiale sarebbe non prestare
attenzione a quello che, nel suo discorso, crea equivoci, facilita le
deviazioni. È intorno al parallelismo stabilito fra i valori
societali e le questioni sociali, e al ritorno alla nazione, che si
giocano gli sviluppi e le conseguenze essenziali: la visione
apparentemente coerente dei danni che la modernità liberista produce
alla società e alle persone libera gli internauti dal loro stesso
sospetto di essere tristi reazionari, al tempo stesso confortandoli
nel sentimento di appartenenza a una minoranza finalmente
consapevole. È dunque forse interessante, per la sinistra
determinata a creare le condizioni per una vera giustizia sociale,
ricordare che niente nelle sue proposte e obiettivi può richiamare
proposte e obiettivi della destra estrema. E a questo scopo,
occorrerebbe precisare meglio l’analisi di tali questioni, a costo
di creare conflitti nel proprio campo.
“le monde diplomatique”
edizione italiana a cura de “il manifesto”, ottobre 2013
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