Il testo che segue, da
“micropolis” di aprile, è la recensione, siglata dal direttore
Stefano De Cenzo, di un bel libro di Renzo Massarelli; ma è – come
il libro recensito – una anticipata spiegazione della sconfitta
elettorale del sindaco Boccali, del Pd, dei suoi alleati. Al di là
delle letture “politiciste” il disamore di gran parte
dell'elettorato, specie di sinistra, verso il governo piddino della
città, nasce dal fatto che le amministrazioni che si sono succedute
nell'ultimo decenni hanno, letteralmente, vissuto di rendita.
(S.L.L.)
Perugia, Via dell'Orizzonte (1900 ca.) |
“La città è anzitutto
lo sguardo che la osserva e l’animo che la vive […]”. Credo che
questa affermazione di Claudio Magris, tratta da un articolo
pubblicato sul Corriere della sera una decina di anni fa e riferita
in particolare allo sguardo di poeti e narratori sulle grandi
metropoli, bene si presti, nonostante la diversità del contesto, a
sintetizzare lo spirito del volume, recentemente uscito, che
raccoglie alcuni degli scritti di Renzo Massarelli su Perugia già
apparsi come articoli nella rubrica che il giornalista tiene da tempo
sul Corriere dell’Umbria (Diario perugino, gli anni difficili,
Morlacchi, Perugia 2014).
Come scrive anche Claudio
Carnieri nella sua prefazione, prorompe dalla penna leggera di
Massarelli l’amore per Perugia, “un sentimento ben lontano da
ogni angusto municipalismo, che pur si vede risorgere” - e,
aggiungo, pure distante da un certo neofolklore così oggi di moda
-“animato piuttosto da una visione del bello, della creazione
artistica, […] che si intreccia però con le cadenze più semplici
della vita quotidiana”.
Per cogliere questo
autentico sentimento, che sarà bene sottolineare, alberga in un
perugino d’adozione - Massarelli è infatti nato a Terni - è
sufficiente leggere la premessa che l’autore dedica a La città
senza tempo; una ventina di pagine in cui, muovendo indietro e
avanti nel tempo, si traccia un quadro assai suggestivo della città
mai falsamente celebrativo.
“Scale e mura, questa è
Perugia. Forse anche per questo, i viaggiatori dell’Ottocento
arrivavano sempre con un po’ di disincanto dopo aver visto
arrancare inutilmente i cavalli delle loro carrozze e dover
ricorrere, per superare le ultime asperità, all’aiuto di una
coppia di buoi, in cima a Colle Landone dove c’era, a quei tempi,
ancora la Rocca Paolina”. E si ricorda che Charles Dickens di
passaggio nel 1845 annotò solo “muri anneriti, puzza di galline e
persone ignoranti e incomprensibili”.
Ma, per converso, è
proprio alle scale, alle porte murarie e ai vicoli che Perugia deve
il suo fascino. “I vicoli sono la rete sensibile della città, i
vasi capillari attraverso i quali si trasmette il respiro della
società popolare, la linfa delle sue emozioni più profonde. […]
sono davvero Perugia, la sua anima inconfondibile”. Potrei
continuare con le citazioni ma farei un doppio errore: privare il
lettore del gusto di riscoprire angoli della città magari
dimenticati e indurlo a pensare di essere di fronte ad un saggio da
guida rossa del Touring. E invece il volume di Massarelli è tutto
politico nel senso etimologico del termine. Al centro c’è infatti
la questione cruciale del governo della città e del territorio
circostante. Democrazia, partecipazione, comunità, sono tra i
termini più ricorrenti. Termini che, tuttavia, appartengono al
passato, seppure non troppo lontano (in particolare gli anni
Settanta), destinato a rimanere tale. Oggi, al contrario, prevalgono
l’isolamento, la rabbia, la frustrazione, la vergogna e i rari
momenti in cui la cittadinanza si ritrova, peraltro quasi sempre
indotti dal perverso circuito dei consumi, assumono piuttosto il
carattere del caos.
La selezione di articoli
raccolti copre l’arco di tempo che va dal dicembre 2007 al marzo
2014, anni difficili, appunto, come recita il sottotitolo. Anni in
cui l’abbandono del centro storico ed uno scellerato consumo di
suolo hanno progressivamente privato la città di una identità già
pesantemente compromessa. Una scelta colpevole di cui - secondo
Massarelli - le amministrazioni che si sono succedute (Locchi,
Boccali) devono assumersi la piena responsabilità. “L’interesse
per la rendita è il grande motore che alimenta l’economia reale
della città. Il nuovo senza qualità ha preso il posto delle mura
antiche dei palazzi, ne ha cancellato il valore simbolico, il fascino
evocativo, la stessa ragione sociale. Il fatto è che la classe
dirigente di questa città non crede più nel centro storico, o forse
non lo conosce nemmeno più di tanto” (16 luglio 2010).
A rileggere alcuni
passaggi a distanza di anni si deve riconoscere a Massarelli una
lucidità di analisi non comune. Scrive infatti nel giorno della
inaugurazione del minimetrò: “Ora, al minimetrò non si può
chiedere più di quello che può dare. Il problema della mobilità
cittadina è molto più complesso […] In un centro storico povero
di funzioni direzionali, di uffici pubblici, di negozi di qualità,
dove si chiudono persino i cinema, all’interno di un’area
vagamente metropolitana, dove le forze della produzione e dello
sviluppo spingono in modo centrifugo, e cioè all’esterno del
territorio comunale e non al contrario come si potrebbe pensare e
come è sempre stato, il minimetrò non sarà al centro della rete,
ma ai suoi margini […] Se servirà solo i turisti, i gitanti della
domenica, le esigenze di mobilità della burocrazia ancora rimasta in
centro, sarà dura” (29 gennaio 2008). Il risultato è davanti ai
nostri occhi.
Eppure negli scritti di
Massarelli, anche in quelli più critici e duri nei confronti di chi
potrebbe e dovrebbe fare e non fa, la denuncia, forse proprio in
virtù di quell’amore per la città che ne è il vero motore, non
toglie mai spazio alla speranza. Ecco, quindi, che ricorre spesso un
altro termine: occasione. Come a proposito della Nuova Monteluce che
dovrebbe proiettare la città nel futuro o, per stare più
all’attualità, alla candidatura a Capitale europea della
cultura: “Questa occasione […] ci ha colti mentre pensavamo
alle zone industriali e commerciali da spiattellare lungo le nostre
superstrade, al nodo di Perugia e all’autostrada, persino, che
occuperebbe uno spazio, lungo tutto l’asse verticale dell’Umbria,
dieci volte più ampio della E45 […] Miracolo di un sogno che
qualche volte non muore all’alba e continua a resistere al peso
della realtà di tutti i giorni grazie al futuro che ci regalano le
nuove generazioni che è la chiave del cambiamento. Dobbiamo
continuare a crederci” (23 novembre 2013).
E’ qui, dispiace
ammetterlo, che la sintonia con l’autore, che mi auguro vorrà
continuare ad essere come in passato nostro interlocutore, viene
meno. Non tanto nello specifico dell’occasione - rispetto alla
quale nutro pure moltissimi dubbi - quanto proprio nell’atto dello
sperare che non mi appartiene. Forse dipenderà dal fatto che chi in
una città c’è nato l’ama di meno di chi ha scelto di viverci,
ma più di questo dall’assoluta sfiducia nella classe dirigente che
Perugia continua, nonostante il cambio generazionale, ad esprimere.
“micropolis”, aprile
2014
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