Non ha lasciato nessuna
spiegazione e questo è ancor più sconvolgente in uno scrittore che,
come ci ha detto a poche ore dalla scomparsa Norberto Bobbio, «aveva
spinto oltre ogni limite il tentativo di sondare l'insondabile, di
spiegare l'incomprensibile della tragedia che ha testimoniato».
Primo Levi ha deciso di andarsene così, rifiutando la risposta
all'ultimo «perché», in una splendida mattinata di sole della
tardiva primavera torinese.
Nell'antico stabile di
Corso Re Umberto, dove abitava fin dalla nascita, la morte del
«professore» è lì, in fondo alla tromba delle scale, sotto i
flash dei fotografi e le luci artificiali delle telecamere, nella
disperazione dei familiari e nell'angoscia della portinaia, l'ultima
persona ad averlo incontrato portandogli la posta, come tutte le
mattine. Lui, il chimico, il tecnico che grazie alle sue conoscenze
era riuscito a sopravviere allo sterminio del campo di
concentramento, ha deciso il suicidio.
Tutto è accaduto troppo
rapidamente, poco dopo le 10,20 di ieri mattina; Levi era in casa con
la madre novantaduenne, paralizzata dal luglio scorso in seguito ad
un ictus cerebrale. La malattia dell'anziana donna viene ora
portata a spiegazione dello stato di abbattimento in cui versava lo
scrittore da qualche tempo. «Era stanco e demoralizzato» ha detto
la moglie, Lucia, di fronte alla scena agghiacciante che le si è
presentata al rientro dalle compere della mattina. Anche l'operazione
alla prostata subìta recentemente aveva fiaccato la resistenza di un
uomo già provato dalle esperienze della vita: «L'operazione era
riuscita bene - ha ricordato il medico di famiglia - ma il professore
era molto abbattuto».
E' comunque difficile, se
non impossibile, ricostruire dopo, tentare oggi di dare validità a
spiegazioni che non avrebbero spiegato nulla fino a ieri. Il colpo
sordo in fondo alle scale resta così imperscrutabile e sconvolgente.
«Sconvolgente» è il
termine usato da molti di coloro che lo hanno conosciuto in questi
anni, di fronte alla sua improvvisa scomparsa. E probabilmente quel
termine va inteso nel suo senso più letterale di «imprevisto»,
«fuori da ogni aspettativa». «Era una persona serena e misurata -
ricorda ancora Bobbio - che amava le cose belle della vita. Ci ha
lasciato una testimonianza insostituibile dell'orrore dei lager, una
vicenda su cui era tornato anche nel suo ultimo libro, come se non
avesse ancora scavato abbastanza, come se ci fosse ancora molto da
capire in quella esperienza incomprensibile».
Nel caleidoscopio della
memoria e delle differenti esperienze personali, non tutti i ricordi
coincidono. Così Luigi Firpo mette in luce di Primo Levi la
«profonda infelicità umana mai cancellata dal successo personale di
scrittore» e riconduce le origini della tragedia ad «un momento di
assoluta disperazione frutto, forse, di un razionalismo condotto
all'estremo limite».
Profondamente legato alla
sua origine ebrea, Levi non fu solo il testimone dell'orrore di
Auschwitz, il lager in cui venne deportato nel marzo del 1944 dopo un
anno di lotta partigiana. Si sforzò infatti di andare oltre quella
drammatica esperienza e alla successiva odissea che lo portò ad
attraversare i paesi dell'Europa orientale prima di tornare in
Italia.
Del campo di
concentramento e del suo viaggio «forzato» narrò nelle prime due
opere Se questo è un uomo e La tregua. A Torino, dove
si era laureato in chimica nel 1941, riprese la sua attività di
tecnico-scienziato dirigendo una fabbrica di vernici. La
testimonianza più evidente delle radici tecniche della sua
formazione è senz'altro La chiave a stella, un libro ricco di
riferimenti a quella cultura del concreto che aveva caratterizzato le
aristocrazie operaie torinesi prima dell'avvento del taylorismo.
Che rapporto aveva
quest'uomo con la città in cui era nato ed era vissuto? «Era un
torinese molto schivo - ricorda Diego Novelli - uno che non amava
parlare molto, ma che seguiva in silenzio quel che accadeva; era
però, anche, un uomo che non si estraniava, sempre presente nei
momenti cruciali della vita di Torino».
«La nostra comunità lo
stimava molto, era la nostra voce più chiara e più degna», afferma
Anna Vitale, vicepresidente della comunità israelitica torinese. Non
sono ancora state rese note le modalità e la data delle esequie:
Primo Levi scrittore, uomo di sinistra, ebreo, è morto di sabato.
“il manifesto”, 12
aprile 1987
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