Un nostro vecchio amico, compagno e anche un po' maestro - l'italianista Romano Luperini - ha pubblicato l'altro ieri queste sue note nel sito che dirige. Credo che sia utile diffonderle in un momento di rinascente interesse per la formazione politica guidata da Grillo e Casaleggio. (S.L.L.)
Max Gazzè con Beppe Grillo a Woodstock 5 Stelle - Cesena, luglio 2010 |
Il Movimento dichiara di
non essere né di destra né di sinistra. Esistono, afferma, solo
decisioni buone o cattive (dobbiamo abituarci a questo schematismo
morale di tipo manicheo), provvedimenti che fanno gli interessi del
99% della popolazione e altri che fanno solo quelli di un piccolo
gruppo di potenti. Per prendere buone decisioni basta seguire la
tecnica e la tecnologia. Conoscere le cose significa conoscere
tecnicamente le cose: le leggi, i regolamenti, in cui i grillini
diventano rapidamente espertissimi, la macchina delle decisioni, i
funzionamenti e le informazioni della rete, vista come divinità
onnipotente e positiva. La tecnica insomma. La tecnica per il
Movimento è innocente, al più neutrale, ma in genere progressiva.
L’ideologia della tecnica e della tecnologia si trasforma così in
mistica (evidente nella futurologia di Casaleggio). Che la tecnica
non sia affatto neutrale né in sé necessariamente positiva, che
abbia incorporato nel proprio DNA un preciso sapere-potere, che
risponda a determinati interessi e che insomma dipenda da un preciso
comando ed esiga altrettanta precisa obbedienza, sfugge ai grillini.
Il loro ingenuo scientismo tecnologico è frutto di questi anni in
cui molti hanno un computer e un cellulare multiuso, e in cui, si
immagina, sapere vuol dire sapere consultare Wikipedia e aggiornarsi
sulla rete. Se al parlamento europeo occorre comunque allearsi con
qualcuno, inutile stare tanto a guardare per il sottile: non conta
essere di destra o di sinistra, basta tecnicamente arrivare a certi
numeri, con chi non importa.
Come in ogni mistica
religiosa, il discrimine fra “buoni” e “cattivi”, fra “puri”
e devianti o eretici è fortissimo. Da un lato il sistema, dall’altro
loro, i grillini. Il sistema è immaginato all’ingrosso, come una
piovra che coi suoi tentacoli manovra e controlla. Bisogna
scardinarlo e sostituirlo con qualcosa che resta sempre indefinito,
anche se si capisce che, spazzate via le mediazioni intermedie,
sarebbe regolato da decisioni prese soprattutto attraverso referendum
elettronici. Dal sistema loro non si lasciano contaminare. Rispetto
agli altri (a tutti gli altri) i grillini si considerano diversi, se
non superiori, degli eletti, e per questo tendono a marcare le
distanze da tutti gli altri, sino al dileggio e alla irrisione. Anche
al loro interno sono sempre alla ricerca di eretici da epurare. Il
dissenso diventa subito una eresia da mettere all’indice,
scomunicare, espellere.
Ovviamente si tratta di
una mistica ipermoderna, cioè sostanzialmente mediatica. Il leader è
una star, ha una storia famosa alle spalle, un’aureola mediatica
sulla testa, sa parlare alle telecamere, è ricchissimo, ha ville,
auto, tutto ciò che una star deve avere. Soprattutto sa parlare alle
folle, usando la tecnica che d’Annunzio e Mussolini avevano
promosso un secolo fa e Berlusconi ha perfezionato in senso mediatico
nell’ultimo ventennio, con degrado crescente del linguaggio e del
costume civile. Dialogo con la folla che risponde a comando,
anzitutto. E poi: parolacce, giochi osceni di parole, barzellette,
battute, linguaggio bellico (“arrendetevi”, “siete circondati”,
“è la guerra, è la guerra”…) che evoca astutamente la
violenza mentre sembra escluderla dai concetti effettivamente svolti.
In questa ideologia,
tutto torna. La coerenza non manca, favorita da una rassicurante
semplificazione. Chiunque può fare politica. Non perché chiunque
può avere una passione, una idea, una prospettiva, una speranza
politica, ma perché chiunque può usare un computer e imparare ceti
comportamenti tecnici. Una lunga preparazione non serve. Le
mediazioni non servono. La politica la fa direttamente ciascuna
persona, senza deleghe. Tutto è facile, tutto è semplice. Le
complicazioni, la necessità di approfondimenti complessi, la
esigenza di mediazioni sono solo trucchi messi in giro da una cricca
di congiurati al potere.
Siccome essere “buoni”
e fare il “bene” è semplice e facile (il che incoraggia tutti,
lusingando la grande massa esclusa dal potere, anonima e frustata),
se il male esiste deve essere un grande complotto a produrlo. Se si
escludono dall’analisi le grandi forze economiche e sociali che
fanno la storia, non resta che la personalizzazione estrema. Se non
si studiano i conflitti sociali e le contraddizioni materiali, non
rimane che questa conclusione: è il malvagio interesse di singole
persone o di pochi gruppi che produce il male. E’ la logica
imperante del complotto. Di qui un atteggiamento perennemente
inquirente e sospettoso, a volte socialmente utile, a volte invece
solo fastidioso.
Uno, si dice, vale uno.
Tutti devono valere allo stesso modo, come accade nei referendum.
Democrazia diretta. O meglio: regolata dall’elettronica. Chiunque
vota premendo un tasto sul computer, conta. Le decisioni, dicono, si
prendono così. Ma questa forma di rappresentanza spesso non è
affatto democratica: non tutti intanto possono parteciparvi
(l’esercizio della tecnologia è anche una forma di privilegio
sociale); inoltre essa dipende sempre da come vengono presentati i
quesiti e dalla loro stessa scelta, e dipende anche dalle circostanze
di fatto in cui il referendum si svolge e che spesso vengono
precostituite ad arte: se prima si prendono accordi con una forza
xenofoba inglese, e si propaganda questa soluzione lasciando in ombra
le altre possibili, sarà difficile poi che non prevalga.
Infine. Siccome si sa che
in uno stato, in una società articolata e complessa, in una grande
nazione, non sempre è possibile la immediata democrazia elettronica,
a decidere di fatto saranno un paio di persone, fra l’altro prive
di delega a svolgere questa funzione (dato che deleghe non ci sono).
Il sogno della democrazia diretta si trasforma così in leaderismo e
in autoritarismo. Uno vale uno per quasi tutti, non per tutti. Pochi,
quelli che hanno il controllo del blog e delle informazioni e della
tecnologia che lo guida, possono decidere tutto.
La civiltà ha bisogno di
mediazioni. Certo, può guastarsi per eccesso di mediazioni, come è
successo da noi. Ma la soluzione non è tornare allo stato di
barbarie, quando le mediazioni non esistevano affatto. La civiltà
richiede competenze, specializzazioni, deleghe revocabili e
controllate. Ma controllate dalla partecipazione diretta alla
politica, che è altra cosa dalla partecipazione telematica.
Dal sito
http://www.laletteraturaenoi.it/
postato il 23 giugno 2014
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