Da quando, percossa e
attònita, l'armata che lo aveva seguito fino all'India apprese la
sua morte (323 a.C.), la figura di Alessandro si trasferì dalla
storia nella leggenda. Adunandosi per deliberare sulle guerre in
corso e sulla spartizione dei territori conquistati, i suoi compagni
si disposero attorno al trono vuoto del re, presenza invisibile ma
ancora imperiosa. Quel trono vuoto perdura nell'iconografia
cristiana, simbolo dell' imminente ritorno di Cristo Giudice. Nei
ritratti, il volto di Alessandro subì l'adeguamento ai connotati
psichici che gli erano stati attribuiti: assorto, trasognato, il capo
reclino in ascolto di voci soprannaturali, la capigliatura a ciocche
scomposte. Particolare, quest'ultimo, imitato da quei sovrani di
ambizioni teocratiche, come Caligola e Nerone, che cercavano di
assomigliargli: Nerone si cospargeva perfino la testa di polvere
d'oro (i tradizionalisti romani invece, "gente togata",
tutti codice e concretezza, stavano belli dritti, capelli corti,
rughe e verruche al loro posto; e, come tutti i conservatori,
aborrivano capelloni e omosessuali. Che Alessandro lo fosse, o fosse
addirittura impotente, può spiegare la sua mirabile continenza verso
le regine catturate).
Col tempo, la figura del
re si dilatò fino a diventare un modello ossessivo. Cesare pianse
nel ricordare quante imprese aveva già compiuto Alessandro alla sua
età; Tito Livio, come rileva in un famoso brano Piero Treves in Il
mito d' Alessandro e la Roma d'Augusto, cercò di ridimensionare
quell'eroe troppo celebrato: se Alessandro, scrive Treves, anziché
volgere le armi contro i persiani si fosse diretto a Occidente,
avrebbe trovato la barriera infrangibile delle legioni romane e i
loro condottieri, che non gli erano affatto inferiori. Riconosciamo
quell'immagine ispirata e sognante non solo in ritratti famosi,
sparsi nei musei di tutto il mondo, ma perfino nella testina d'avorio
trovata, tra le armi e le urne cinerarie d'oro massiccio, nella tomba
creduta di Filippo il Macedone, recentemente scoperta a Vergina. Non
poteva presentarsi come un comune mortale colui che non conosceva
limiti né ostacoli e che l'oracolo di Ammone, in Egitto, aveva
chiamato "Figlio di Dio". Un assiduo lavorìo mitografico,
assimilando le gesta di Alessandro a quelle di Eracle e Dioniso,
contribuì a collocarlo tra gli dèi mentre era ancora in vita; poi,
ogni generazione, ogni popolo lo vide attraverso il prisma delle sue
scelte politiche. Nella ricerca inquieta della propria identità,
egli si riconobbe in quelle due divinità e in Ciro, il condottiero
persiano, questo è quanto sostiene Pietro Citati, di cui Rizzoli
ristampa in questi giorni la poetica biografia del re (Alessandro
Magno. Apparato critico e fonti a cura di Francesco Sisti, pagg.
261, più illustrazioni e indici, lire 25.000). La molteplicità
delle leggende che riguardano Alessandro, delle versioni
iconografiche nelle quali fu raffigurato - a fianco di Buddha,
sull'Olimpo, oltre le Colonne d'Ercole, in fondo al mare - stupì i
visitatori della mostra di Salonicco del 1980, Alla ricerca di
Alessandro. Ancora oggi, scrive un altro suo biografo, lo storico
inglese Robin Lane Fox, in un bel volume pubblicato da Einaudi
nell'81, durante le notti tempestose i pescatori di Lesbo gridano al
mare: "Dov'è Alessandro il Grande?", e si rispondono a
vicenda, per rassicurarsi: "Alessandro vive e regna...".
Alla storiografia odierna, che nega l'influenza dell'individuo sugli
avvenimenti, all'interrogativo plutarchiano (Virtus o Fortuna?),
Fox risponde che alla personalità di Alessandro è dovuta la grande
rivoluzione politica, culturale e ideologica che si verificò al suo
tempo.
Quella personalità ha
costituito per secoli un mito, un tema retorico e un enigma. Aveva
avuto un precettore insigne, Aristotele; ma si discostò dal suo
ammonimento di trattare da uomini soltanto i greci, gli altri alla
stregua di animali. Alessandro, al contrario, si fece portatore d' un
messaggio di fratellanza universale, prima che Zenone, come afferma
Tarn, facesse di questo principio il cardine della dottrina stoica.
E' esatto dirlo animato da precisi disegni politici? In effetti, la
vastità smisurata dei territori da lui conquistati sconfiggendo via
via tutti gli eserciti che incontrava, e la varietà dei costumi dei
popoli soggiogati, gli imponevano di ostentare una volenterosa
adozione dei loro usi, via via che avanzava. Fa parte di questo
atteggiamento il suo matrimonio con Roxane e l'episodio del convito
nel corso del quale avrebbe invitato i commensali macedoni a brindare
con i nemici vinti, i persiani. Ponendosi al di sopra delle nazioni,
Alessandro assumeva quella sovranità mondiale - quell'assolutismo -
che aveva appreso appunto dai nemici secolari della Grecia, quei
persiani che voleva sconfiggere per vendicare le antiche offese; e
questo intento aveva persuaso molti greci a seguire i re macedoni.
L'incendio spettacoloso del palazzo reale a Persepoli, si disse, fu
voluto da Alessandro per vendicare la distruzione del Partenone di
centocinquant'anni prima. Ma intanto egli adottava dai persiani non
solo l'abbigliamento e le armi, ma il lusso e quell'etichetta servile
tanto invisa ai suoi veterani: la genuflessione.
Nell'immenso Stato
sovranazionale, la pòlis venne sommersa. La parificazione etnica, la
pace universale furono dunque un'idea utopica perseguita
consapevolmente sin dagli inizi, o una necessità politica
gradualmente intuìta? Oppure gli fu attribuita retrospettivamente da
storici imbevuti di dottrine egalitarie? Non lo sapremo mai. Tutto
ciò che riguarda Alessandro è favoloso e irreale, ad onta
dell'esistenza di documenti che Citati ha pubblicato a seguito della
sua biografia per imprimere validità scientifica alle proprie
pagine. I testi, tradotti e autorevolmente commentati dal grecista
Francesco Sisti, appartengono ad autori posteriori al Macedone di
quattro o cinque secoli (Curzio Rufo, Arriano, Plutarco). Questi
autori ebbero certamente la possibilità di consultare fonti per noi
scomparse - diari di guerra, lettere, narrazioni di contemporanei
storicamente noti. Ma queste stesse fonti possono essere il prodotto
di alterazioni interessate ai fini dinastici dei re titolari delle
monarchie in cui fu diviso l' immenso territorio conquistato; gli
storici antichi non si facevano scrupolo di condensare in discorsi o
lettere fittizie il pensiero dei personaggi storici (lo hanno fatto
senza scomporsi anche Livio e Tacito). Queste contraffazioni, del
resto, hanno il merito di farci intendere come fu visto e
interpretato il protagonista da chi lo conobbe. Non manca la condanna
da parte di pensatori umanitari e pacifisti di quell'eroe irrequieto
e insaziabile: flagello dei popoli, bandito, nefasto al genere umano,
lo definirono Seneca e Lucano. Fu certamente indecifrabile per le sue
contraddizioni: a volte mite, rispettoso dei vinti, continente,
generoso; altre volte, preda del vino e dell'ira, feroce, come lo fu
distruggendo Tebe e massacrandone gli abitanti che non volevano
sottomettersi ai re macedoni. Allevato da un padre che per il primo
aveva fatto d'un aggregato di feudi un regno, d'una molteplicità di
milizie private un esercito e aveva chiamato in un paese rozzo e
incolto intellettuali e artisti eccelsi - una visita al Museo di
Salonicco lascia sbalorditi -, figlio d'una donna epirota, Alessandro
portava con sé in uno scrigno la cosa più preziosa che avesse:
l'Iliade. Sentiva forse che per opera sua la cultura greca si
sarebbe diffusa in paesi molto più lontani di quel che il sogno
panellenico ateniese avesse mai previsto. Nella sua essenza
fondamentale, lo spirito greco era l' opposto della monarchia
universale che fu attuata da Alessandro: lo sentì Demostene,
opponendosi a Isocrate, sostenitore di Filippo come capo di tutta la
Grecia nella crociata contro la Persia. La caratteristica della
"politeia" greca è la democrazia: parola inventata appunto
dai greci. Alessandro cercò di instaurarla nelle settanta città da
lui fondate. Ma quelle idee, da lui esportate nel mondo, erano state
spente per sempre a Cheronea.
“la Repubblica”,16
novembre 1985
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