immagina un'immagine di me,
ristrutturata da te (a stralci, a strappi), tra gli stracci
e i ritagli del mio io, in questo
rimescolabile minestrone di un tredicimila giorni
in cifra tonda (un esempio sarà una
mano che si distorce, sfocata, in un corridoio
tenebrosamente alberghiero, nel '54, in
Vicenza, presso un facchino gobbo), scavando,
a caso quasi, dentro le tante
cianfrusaglie stipate nella tua testa (sarà altro esempio
il candido flebòlito da lastra, in
vescica, che significa il mio pietrificarmi, e anzi
un nostro ridurci a solidali
concrezioni solide): (puoi confondere le nostre ecografie,
e così coniugarci in un resistente
impasto cementizio):
e immagina lo sterminato
numero
di perturbate permutazioni aperte (come
in un paroliere sconfinato, in un instabile
caleidoscopio scarabeico), che dunque
ci moltiplica, noi due, per intricati incroci, per spostamenti
equivoci:
e immagina che escogiti per
me, tenta e ritenta, poi, una parola estrema (a definirmi, a
finirmi):
(a farci qui, come a due punti, un
punto):
settembre 1990
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Glossa alla "glossa"
di Gian Luigi Beccaria
Negli anni sessanta,
un nucleo dì intellettuali che partono da posizioni di marxismo
critico (Benjamin, Scuola di Francoforte) affermano con vigore la
tesi del carattere ideologico di ogni linguaggio, tesi secondo la
quale chi usa un linguaggio è da esso usato, nel sema che è
costretto a farsi portatore dei contenuti della società che ha
costruito quello strumento. Anche la poesia è inesorabilmente
condannata alla mercificazione. La si dovrà praticare con
l'eversione soprattutto linguistica della tradizione.
Da queste premesse
muove Edoardo Sanguineti (n. 1930), il capofila della neoavanguardia
italiana, la personalità di maggior spicco del Gruppo 63, che ha
ripreso l'ambizione (già futurista) di depositare sulla pagina
frammenti di vita moderna e attuale, e quindi (con intenti parodici
ed eversivi) spezzoni di conversazione piccolo-borghese, gli
stereotipi più usurati, residui dissacrati di lingue colte, e gli
emergenti codici corporativi (politico, burocratico, pubblicitario
eco.), con l'intenzione di contestare una cultura di massa che tutto
ha uniformato e trasformato in oggetto insignificante d'uso, e col
convincimento che ogni rinnovamento ideologico e formale deve
cominciare con la destrutturazione del linguaggio lirico,
intimistico, o fraterno.
Con Laborintus
(1956) lo sperimentalismo di Sanguineti aveva proposto una poesia
razionalistica, iper-letteraria, che gettava la sua rete dottissima
su un disagio esistenziale. Nella sezione Palus putredinis (la palude
mefitica come metafora del caos, della fine dell'universo poetico
ordinato) e nei successivi Erotopaegnia si impone vistosamente la
tecnica combinatoria del componimento poetico come somma di centoni
culturali, arte sapiente di manipolare linguaggi. Abilissimo
nell'usare materiale già usato, Sanguineti non ha voluto parlare se
non per citazione, come il suo Gozzano (al quale dedicava appunto un
mirabile saggio).
Da Wirrwarr,
1972, a Postkarten. 1978, a Stracciafoglio, 1980, a
Scartabello, 1981, a Bisbidis, 1987, i suoi versi si
sono andati man mano allontanando dalle regioni polemiche
dell'avanguardia e hanno lasciato emergere ragioni anche più
individuali e private, e di conseguenza imboccato talvolta vie di
maggiore effabilità; attraverso una dimensione spesso diaristica,
Sanguineti ha ricostruito il filo discorsivo, articolando con
mirabile energia una voce recitante capace di dare alla testura una
compatta unità tonale. Da queste inedite Glosse (alle
“perturbate permutazioni” di una vita, ad un decadimento
corporale, ad una vita a due che si avvia al punto) emergono
caratteri rilevanti della poesia di Sanguineti, la delirante,
straordinaria esattezza del dettato costruito con un linguaggio
stupendamente finto.
“L'Indice
dei libri del mese”, Anno VIII n.4 Aprile 1991
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