L'orologio astronomico di Praga |
«Se si installa un
orologio pubblico, i mercanti verranno più numerosi alle fiere, la
comunità vivrà più lieta e contenta e condurrà un'esistenza più
ordinata, e la città ne guadagnerà in bellezza», asseriva una
petizione presentata nel 1481 al Consiglio comunale di Lione. Da
«tempo della Chiesa», quando i primi rudimentali esemplari
dell'orologio meccanico (comparsi alla fine del Duecento) servivano
soprattutto ad avvertire i fedeli delle «ore canoniche» legate agli
uffici religiosi, la giornata si era ormai secolarizzata,
trasformandosi in «tempo del Mercante», per usare una felice
espressione di Jacques Le Goff. E in un'epoca in cui nessuno o
pochissimi possedevano un orologio portatile, era naturale che si
avvertisse l'esigenza di un orologio pubblico, piazzato al centro
dell'abitato, il cui suono potesse essere udito a grande distanza da
tutti.
Ma l'utilità pratica non
costituì l'unico motivo della crescente diffusione, fra il XIV e il
XV secolo, degli orologi da torre: che, oltre a battere, cominciavano
a indicare le ore incise sulla ruota oraria. C'era da soddisfare
anche l'orgoglio municipale, lo spirito d'emulazione; più che della
precisione ci si preoccupava della preziosità degli orologi, della
ricchezza e della varietà dei loro motivi ornamentali. Ma un punto
d'onore altrettanto importante per le singole municipalità era
costituito dal possesso di meccanismi sempre più complessi e
ingegnosi, tali da mostrare anche i movimenti celesti del sole, della
luna e dei pianeti, i segni dello zodiaco, in grado perciò di
soddisfare la curiosità popolare sul corso degli astri. E non
importava se questi apparecchi sempre più ingombranti, venivano a
costare, fra spese d'acquisto e di manutenzione, un autentico
patrimonio, che le finanze comunali stentavano spesso a mettere
insieme.
La storia dell'orologio,
insomma, non è solo la storia della prima macchina di precisione
(messa a punto nel secolo XVII con i perfezionamenti apportati alla
regolazione del moto grazie al principio del pendolo), ma anche la
storia di una certa evoluzione della mentalità e del costume
collettivo. Nato agli esordi della civiltà urbana e mercantile per
misurare le cadenze del lavoro, per «iniziare i viaggi e altre cose
necessarie in questo mondo», impostosi all'immaginazione popolare
con i suoi astrolabi e «calendari mobili», l'orologio contribuì ad
accentuare i tratti scientifici e meccanicistici della cultura che
l'aveva espresso: anche se, entrato nell'uso privato a cominciare dal
secolo XVI, conservò a lungo un'importanza più decorativa che
funzionale, quale suppellettile delle dimore aristocratiche o come
ornamento della persona.
In un saggio tanto
lineare quanto piacevole (Le macchine del tempo, II Mulino,
pagg. 141, lire 8.000) Carlo Maria Cipolla attribuisce alla
concezione meccanicistica dell'universo, di cui l'orologio fu una
delle espressioni più tangibili (al punto che Domineddio fu sovente
raffigurato come un orologiaio d'eccezione), il primato conquistato
dall'Occidente europeo sul resto del mondo nel corso dell'età
moderna. Non soltanto perché la scoperta e l'applicazione di
strumenti scientifici sempre più efficaci permisero l'espansione del
commercio su grandi distanzee e lo sviluppo della navigazione
oceanica, ma anche perché l'introduzione di ogni macchina concorse a
creare le condizioni sociali e culturali per la sua stessa diffusione
e per la produzione di altre macchine. In sostanza, furono il gusto
per le innovazioni, la vocazione al cambiamento, l'assiduità
nell'esperienza pratica a porre le basi della continua accumulazione
di nuove cognizioni e opportunità che consentirono all'Europa di
annullare prima la sua inferiorità scientifica nei confronti del
mondo arabo e, successivamente di far valere la propria supremazia
tecnologica sull'Oriente e sull'Asia.
E' significativo a questo
riguardo il genere di reazioni suscitate dalla comparsa dell'orologio
in un paese come la Cina, che pure era stato sempre affascinato dai
problemi del tempo e dell'astronomia. Ancora alle soglie
dell'Ottocento, dopo quasi tre secoli dalla sua prima introduzione ad
opera dei Gesuiti (che se ne erano serviti per accedere al Palazzo
imperiale di Pechino), l'orologio continuava ad essere generalmente
considerato come un giocattolo, una divertente stranezza, non molto
dissimile da altre bizzarre novità meccaniche piovute casualmente
dal cielo con l'arrivo degli europei. In Cina non era il mondo
cittadino del commercio e degli affari a scandire il tono e gli
sviluppi della cultura, ma un'élite di letterati e mandarini nutriti
all'arte e alla filosofia, mentre i contadini misuravano il tempo in
termini di giorni e di anni, non di minuti o di ore.
Ma anche in Europa le
vicende connesse all'evoluzione dell'orologio recano il segno di
precise cadenze culturali, politiche e sociali. Nel tardo Medioevo e
nel primo Rinascimento, lo sviluppo dell'orologeria meccanica era
avvenuto soprattutto in Italia, nelle Fiandre, in alcune città
francesi e tedesche, di pari passo con l'affermazione della società
comunale, con l'espansione dei traffici commerciali e delle
corporazioni di mestiere. Più tardi, la decadenza politica della
penisola, le guerre di religione e la controriforma contribuirono a
spostare altrove l'epicentro della produzione. Dalla seconda metà
del Cinquecento, una folta schiera di artigiani e imprenditori che
avevano aderito alla Riforma protestante prese la via dell'Olanda,
dell'Inghilterra e della Svizzera, e da questa diaspora politica e
religiosa ebbero origine le fortune di Ginevra; ma per lungo tempo
anche Londra riuscì ad annoverare, grazie all'insediamento di
numerosi rifugiati ugonotti, un numero importante di manifatture
specializzate nella produzione di orologi e congegni di misurazione
d'ogni genere.
Lo sviluppo di una
fiorente orologeria meccanica nel corso del Sei e del Settecento non
dipese soltanto dalla formazione di nuclei artigianali stabili (a
differenza che nei secoli precedenti quand'era la manodopera, più
che la merce, a spostarsi di luogo in luogo), ma anche dai progressi
della cultura scientifica, dall'affermarsi di un clima e di un
ambiente sociale permeato di empirismo e di spirito utilitarista. Di
fatto, il crescente interesse per le macchine che si era diffuso
nelle Accademie e in vari cenacoli di studiosi, preannunciò (non
meno della produzione in serie di orologi composti di pezzi
intercambiabili per più ampie fasce di pubblico) 1'avvento della
rivoluzione industriale. t
In altre parti d'Europa —
in Francia e in Germania — fu l'iniziativa dei sovrani riformatori
e di alcuni scienziati e filosofi illuministi a riportare in auge,
nella seconda metà del Settecento, l'industria dell'orologio, che
nel frattempo era divenuta una delle poste più vantaggiose
dell'attività commerciale. Nel 1770, aprendo una propria fabbrica di
orologi a Verney, dove s'era ritirato a continuare la sua lotta
contro l'assolutismo e l'intolleranza, Voltaire si trovò ad
avvalorare, in modo emblematico, la vicenda di tanti altri
«horlogers» che in seguito all'Editto di Nantes del 1685
avevano dovuto abbandonare il loro paese in cerca della libertà
religiosa.
“la Repubblica”,
ritaglio senza data, ma 1981
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