La popolarità di San
Carlo stupiva Stendhal che, tra gli operai milanesi, la trovava pari
a quella di Napoleone. Possiamo stupircene ancora: il pellegrinaggio
del papa viene a concludere un anno di celebrazioni del santo che, a
parte un convegno internazionale, ha avuto carattere popolare. Le
parrocchie si sono disputate l'onore delle "peregrinatio
crucis" dietro la Croce del Santo Chiodo, la stessa che il
Borromeo brandeggiava per le vie della città travolta dalla peste.
E' difficile capire i motivi della popolarità di San Carlo perché
di lui coesistono molte immagini contrastanti; quella trionfale
dell'uomo che all'Inquisizione di Spagna oppone i diritti della sua,
esemplificata dal San Carlone di Arona; quella ascetica, dell'uomo
macerato da penitenze e digiuni, tramandataci dai pittori secenteschi
cari a Giovanni Testori. Poi c'è l'uomo caritatevole, che durante la
peste si spoglia fin degli abiti; e il grande pastore, che ridesta lo
spirito religioso in una diocesi dove persino i preti avevano
dimenticato il padre nostro; e infine l'organizzatore indefesso di
seminari, collegi, ospedali, opere pie. Quale Carlo celebrerà il
papa?
Il cardinale Martini lo
scorso anno ha messo in evidenza soprattutto il San Carlo assorto in
adorazione davanti al Crocefisso e il San Carlo pastore, che diffonde
la cultura religiosa tra tutti gli strati della popolazione. Ma è
legittimo scinderlo, un uomo, in tante figure? Se lo si fa, è perché
manca una biografia esauriente del Borromeo, personaggio
importantissimo e scomodissimo, nel quale si riassumono tutti i nodi
della Controriforma o "riforma cattolica", come oggi si
dice. A scriverla non basterebbe una vita: alla Biblioteca Ambrosiana
si conservano circa ventimila sue lettere. Carte che lo riguardano si
trovano negli archivi vaticani, spagnoli, austriaci, polacchi, di
tutta Europa.
Nato nel 1538, abate
commendatario a 12 anni, Carlo Borromeo a 21 anni era "cardinal
nepote", cioè segretario di Stato presso Pio IV Medici che lo
amava moltissimo. Cos'aveva di amabile? Bruttissimo fin dalla più
tenera età, era anche malaticcio e balbuziente, nonché tardo
nell'apprendere. Ma aveva una volontà di ferro. Combatteva il
catarro col canto e il digiuno. La balbuzie pronunciando discorsi. La
lentezza con l'applicazione. Sapeva scegliersi i collaboratori.
L'apprendistato romano - fra l' altro tenne i rapporti coi legati
pontifici che si trovavano a Trento per concludere il Concilio - gli
fu utilissimo. Convertitosi dopo la morte del fratello, cominciò
subito, alla Corte pontificia, a comportarsi secondo i dettami
tridentini. Via le livree di velluto nero ai 150 famigli, banditi la
caccia e gli studi umanistici, Carlo scopre gli esercizi spirituali
con un padre gesuita.
A Milano entra nel 1565,
deciso ad applicarvi le norme tridentine. E' solo contro tutti, ma
non demorde mai. Tale è la sua forza che quando scampa a un
attentato organizzato dagli Umiliati che voleva ricondurre alla
povertà, nasce il mito che sia immortale. Mito che si rafforza
durante la peste, quando le autorità civili scappano, e lui
organizza preci e processioni, collaborando a diffondere il contagio.
Ci sono molti aneddoti sugli scontri tra Carlo e il clero, Carlo e le
autorità civili, Carlo e il suo popolo, Carlo e gli eretici, gli
ebrei, le streghe. Le sue carceri, scrivono anche i più affettuosi
tra gli storici, non erano mai vuote. Quanto alle sue milizie, l'uso
della tortura, l'obbligo per le donne giovani di coprirsi il volto in
chiesa, e le mille altre forme della sua intolleranza, i pubblicisti
cattolici in genere dicono che erano i tempi, che anche i protestanti
ne facevano di belle. San Carlo, comunque, forte di rappresentare il
popolo milanese contro le autorità spagnole, vinse su tutta la
linea. Impose la nuova idea di Chiesa come sistema analogo e
contrapposto a quello dello Stato; mandò i preti a studiare nei
seminari; costrinse le suore dietro le grate; fece fare la Pasqua a
tutti; costruì chiese; dettò norme per la pittura dei quadri e la
composizione delle musiche; abbreviò il carnevale: e fu amato
moltissimo.
“la Repubblica”, 2
novembre 1984
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