In Panduria, nazione
illustre, un sospetto s'insinuò un giorno nelle menti degli alti
ufficiali: che i libri contenessero opinioni contrarie al prestigio
militare. Difatti, da processi e inchieste era risultato che
quest'abitudine ormai così diffusa di considerare i generali come
gente che può anche sbagliare e combinar disastri, e le guerre come
qualcosa di talvolta diversa da radiose cavalcate verso destini
gloriosi, era condivisa da una gran quantità di libri.
Lo Stato Maggiore di
Panduria si riunì per fare il punto della situazione. Ma non
sapevano da che parte cominciare, perché in materia bibliografica
nessuno di loro era molto ferrato. Fu nominata una commissione
d'inchiesta, al comando del generale Fedina, ufficiale severo e
scrupoloso. La commissione avrebbe esaminato tutti i libri della più
grande biblioteca di Panduria.
Era questa biblioteca in
un antico palazzo pieno di scale e di colonne, scrostato e qua e là
cadente. Le sue fredde sale erano stipate di libri, strapiene, in
parte impraticabili; solo i topi potevano esplorarle in tutti gli
anditi.
I militari presero
possesso della biblioteca un piovoso mattino di novembre. Il
generale smontò da cavallo, la grossa collottola rapata, con le
sopracciglia aggrottate sopra il pince-nez: da un'auto scesero
quattro tenenti spilungoni, a mento alzato e palpebre abbassate,
ognuno con la sua cartella in mano. Poi venne una squadra di soldati
che s'accamparono nell'antico cortile, con muli, balle di fieno,
tende, radio da campo e bandiere a lampo di colore.
Furono messe sentinelle
alle porte, e un cartello che vietava l'ingresso, «causa le grandi
manovre, fino a tutta la durata delle stesse». Era un espediente,
perché l'inchiesta potesse essere compiuta in gran segreto. Gli
studiosi che usavano recarsi in biblioteca ogni mattino, tutti
incappottati, con sciarpe e passamontagna per non gelare, dovettero
tornarsene, indietro. Perplessi, si chiedevano: «Ma come le grandi
manovre in biblioteca? Ma non metteranno in disordine? E la
cavalleria? E faranno pure i tiri?».
Del personale della
biblioteca rimase solo un vecchietto, il signor Crispino, reclutato
perché spiegasse agli ufficiali la dislocazione dei volumi. Era un
tipo bassottino, con la testa calva a uovo, e occhi come capocchie di
spillo dietro gli occhiali.
II generale Fedina si
preoccupò innanzi tutto dell'organizzazione logistica, perché gli
ordini erano che la commissione non uscisse di biblioteca prima
d'aver condotto a termine l'inchiesta: era un lavoro che richiedeva
concentrazione, e non dovevano distrarsi. Così si procurarono
rifornimenti di viveri, alcune stufe da caserma, una provvista di
legna cui andarono ad aggiungersi alcune raccolte di vecchie riviste,
reputate poco interessanti. Mai c'era stato tanto caldo in
biblioteca, di quella stagione. In luoghi sicuri, circondati da
trappole per topi, furono poste le brande dove il generale ed i suoi
ufficiali avrebbero dormito.
Poi si procedette alla
divisione dei compiti. A ognuno dei tenenti furono assegnate
determinate branche dello scibile, determinati secoli di storia. Il
generale avrebbe controllato lo smistamento dei volumi e apposto
timbri diversi a seconda se il libro era dichiarato leggibile per gli
ufficiali, sottufficiali, la truppa, oppure andava denunciato al
Tribunale militare.
E la commissione cominciò
il suo servizio. Ogni sera la radio da campo trasmetteva il rapporto
del generale Fedina al comando supremo, «laminati volumi numero
tanti. Trattenuti come sospetti tanti. Dichiarati leggibili per
ufficiali e truppa tanti». Di rado quelle fredde cifre erano
accompagnate da qualche comunicazione straordinaria: la richiesta di
un paio di occhiali da presbite per un tenente che aveva rotto i
suoi, la notizia che un muto s'era mangiano un raro codice di
Cicerone lasciato incustodito.
Ma avvenimenti di portata
ben maggiore andavano maturando, di cui la radio da campo non
trasmetteva notizia. La foresta dei libri anziché sfoltirsi, pareva
farsi sempre più aggrovigliata ed insidiosa. Gli ufficiali si
sarebbero smarriti, non fosse stato per l'aiuto del signor Crispino.
Per esempio, il tenente Abrogati s'alzava ip piedi di scatto e
buttava sul tavolo il volumje che stava leggendo: «Ma è inaudito!
Un libro sulle guerre puniche che parla bene dei cartaginesi e
critica i romani! Bisogna subito fare la denuncia!». (Va detto che i
panduri, a torto o a ragione, si consideravano discendenti dei
romani). Col suo passo silenzioso nelle pantofole felpate, gli
s'avvicinava il vecchio bibliotecario. «E questo è niente... -
diceva - legga qui, sempre sui romani, cosa c'è scritto, ci potrà
mettere anche questo nel verbale, e questo e questo...», e gli
sottoponeva una pila di volumi. Il tenente cominciava a sfogliare i
volumi, nervoso, poi più interessato leggeva, prendeva appunti. E si
grattava la testa borbottando: «Perbacco! Ma quante se ne imparano.
Ma chi l'avrebbe detto!». Il signor Crispino si spostava verso il
tenente Lucchetti che chiudeva un tomo con furia, dicendo: «Bella
roba! Qui hanno il coraggio di esprimere dei dubbi sulla purezza
degli ideali delle Crociate! Signorsì, delle Crociate!». E il
signor Crispino, sorridente: «Ah guardi, che se deve fare un verbale
su quell'argomento, posso suggerirle qualche altro libro, dove può
trovare più dettagli...», e gli tirava giù mezzo scaffale. Il
tenente Lucchetti si faceva sotto a testa bassa, e per una settimana
lo si sentiva scartabellare e mormorare: «Però queste Crociate,
bell'affare!».
Nel comunicato serale
della commissione, la cifra dei libri esaminati era sempre più
grossa, ma non si riportava più alcun dato sui verdetti positivi o
negativi. I timbri del generale Fedina restavano inoperosi. Se egli,
cercando di controllare il lavoro dei tenenti, chiedeva a uno di
loro: «Ma come mai ha lasciato passare questo romanzo? La truppa ci
fa più bella figura degli ufficiali! È un autore che non rispetta
l'ordine gerarchico!», il tenente rispondeva citando altri autori e
impelagandosi in ragionamenti storici, filosofici ed economici. Ne
nascevano discussioni generali, che continuavano ore e ore. Il signor
Crispino, silenzioso nelle sue pantofole, quasi invisibile nel suo
camice grigio, interveniva sempre al momento giusto, con un libro che
a suo parere conteneva particolari interessanti sull'argomento in
questione, e che aveva sempre l'effetto di mettere in crisi le
convinzioni del generale Fedina.
Intanto i soldati avevano
poco da fare e s'annoiavano. Uno di loro, Barabasso, il più
istruito, chiese agli ufficiali un libro da leggere. Lì per lì
volevano dargliene uno di quei pochi che erano già stati dichiarati
leggibili dalla truppa; ma pensando alle migliaia di volumi che
restavano ancora da esaminare, al generale rincrebbe che le ore di
lettura del soldato Barabasso andassero perdute ai fini del servizio;
e gli diede un libro ancora da esaminare, un romanzo che pareva
facile, consigliato dal signor Crispino. Letto il libro, Barabasso
doveva riferirne al generale. Anche altri soldati chiesero e
ottennero di fare lo stesso. Il soldato Tommassone leggeva ad alta
voce a un suo camerata analfabeta, e questi diceva il suo parere.
Alle discussioni generali cominciarono a partecipare anche i soldati.
Sul proseguimento dei
lavori della commissione non si conoscono molti particolari: quello
che successe nella biblioteca nelle lunghe settimane invernali non è
stato riportato. Sta il fatto che allo Stato Maggiore di Panduria i
rapporti radiofonici del generale Fedina arrivarono sempre più radi,
fino a che non cessarono del tutto. Il comando supremo cominciò ad
allarmarsi: trasmise l'ordine di concludere l'inchiesta al più
presto e di presentare un'esauriente relazione.
L'ordine giunse alla
biblioteca mentre l'animo di Fedina e dei suoi uomini era combattuto
da opposti sentimenti: da un lato stavano scoprendo ogni momento
nuove curiosità da soddisfare, stavano prendendo gusto a quelle
letture e a quegli studi come mai prima avrebbero immaginato; d'altro
canto non vedevano l'ora di tornare tra la gente, di riprendere
contatto con la vita che appariva loro adesso tanto più complessa,
quasi rinnovata ai loro sguardi; e d'altro canto ancora,
l'approssimarsi del giorno in cui dovevano lasciare la biblioteca li
riempiva di apprensione, perché bisognava render conto della loro
missione, e con tutte le idee che andavano loro rampollando in capo
non sapevano più come cavarsi d'impiccio.
A sera guardavano dalle
vetrate le prime gemme sui rami illuminate dal tramonto, e le luci
della città accendersi, mentre uno di loro ad alta voce leggeva i
versi d'un poeta. Fedina non era insieme a loro: aveva dato ordine di
esser lasciato solo al suo tavolo, perché doveva stendere la
relazione finale. Ma ogni tanto s'udiva il campanello suonare e la
sua voce chiamare: «Crispino! Crispino!». Non poteva andar avanti
senza l'aiuto del vecchio bibliotecario, e finirono per sedersi allo
stesso tavolo e stendere la relazione insieme.
Un bel mattino finalmente
la commissione uscì di biblioteca e andò a rapporto al comando
supremo: e Fedina illustrò i risultati dell'inchiesta davanti allo
Stato Maggiore riunito. Il suo discorso era una specie di compendio
della storia dell'umanità dalle origini ai nostri giorni, in cui
tutte le idee più indiscutibili per i benpensanti di Panduria erano
criticate, le classi dirigenti denunciate come responsabili delle
sventure della patria, il popolo esaltato come vittima eroica di
guerre e politiche sbagliate. Era un'esposizione un po' confusa, con
affermazioni spesso semplicistiche e contraddittorie come capita a
chi ha da poco abbracciato nuove idee. Ma sul significato complessivo
non si poteva avere dubbi.
Il consesso dei generali
di Panduria allibì, sbarrò gli occhi, ritrovò la voce, gridò. Il
generale non poté neppure finire. Si parlò di degradazione, di
processo. Poi, per timore di scandali più gravi il generale e i
quattro tenenti furono mandati in pensione per motivi di salute,
causa «un grave esaurimento nervoso contratto in servizio». Vestiti
in abili civili, furono visti spesso entrare, incappottati e
imbottiti per non gelare nella vecchia biblioteca, dove li aspettava
il signor Crispino coi suoi libri.
“l'Unità”, 23
novembre 1953
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