Una vecchia e bella intervista
telefonica a una grande signora del teatro novecentesco, arricchita
da curiosità biografiche e piena di suggestive evocazioni. C'è un curioso trio a Torino, per esempio. (S.L.L.)
Vera Vergani con il marito, il "comandante" Leonardo Pescarolo |
Al telefono la voce di
Vera Vergani, classe 1894, è allegra, squillante: "Sto bene,
benissimo. Il tempo, a Procida, è sempre bello. Se sono contenta
della mostra che mi dedica il Museo Biblioteca dell'attore di Genova?
Felicissima! Adoro Genova; sono felice e emozionata come avessi
vent'anni. Ed è il ritorno dei novantenni".
La decana delle nostre
attrici di cinema e di prosa adora Genova: vi ha vissuto anni felici,
dopo il matrimonio di romanticissimo amore che la strappò, nel 1930,
a soli 35 anni, ai palcoscenici di mezzo mondo. Si era innamorata
perdutamente, la bellissima, mentr'era in viaggio per l'America
Latina: di Leonardo Pescarolo, il commissario di bordo. Bellissimo,
elegante, grande tombeur de femmes, Pescarolo nel corso della
stessa traversata - prima che la diva gli dichiarasse che senza di
lui non avrebbe potuto più vivere - aveva conquistato la giovane
Anna Magnani, che debuttava in quegli anni con la compagnia
Vergani-Cimara. Era stupendo, nei suoi lini stazzonati, Pescarolo, e,
a suo modo, un vincitore. Nato a Procida, figlio di una guardia
carceraria, aveva preso giovanissimo il mare. Secondo ufficiale di
coperta sull'"Elettra" di Guglielmo Marconi aveva scoperto
il potere della sua presenza: lo scienziato lo preferiva al primo
ufficiale come accompagnatore alle cerimonie. Quella presenza
Pescarolo mise al servizio della carriera di commissario di bordo
negli anni mitici della marineria italiana: fu sul "Rex" e
sulla "Leonardo da Vinci". Ma la mise anche al servizio di
Vera. E furono felici, assieme, a Genova, tra un imbarco e l'altro di
lui. Poi a Procida, dove lui volle tornare quando ebbe maturata la
pensione.
Quanto alla sua, di
carriera, finché visse il marito, Vera Vergani non ne volle più
parlare come fosse una cosa trascurabile, d'impiccio: temeva forse
una gelosia retrospettiva dei trionfi, le corbeille, le
passioni suscitate, gli amori con Niccodemi, con Cimara? Restata
vedova, Vera Vergani ha scoperto i trentasei volumi di ritagli degli
articoli che le eran stati dedicati, amorosamente conservati dalla
figlia. Li ha letti con passione, e oggi si diverte meravigliosamente
a rievocare la sua giovinezza. "Ho avuto una vita bellissima,
sempre con gente molto intelligente. Mio fratello Orio, prima di
tutto, e gli zii Podrecca, mia madre che era una grande
musicista...". Il nonno Podrecca, avvocato a Cividale nel
Friuli, fu il primo della famiglia col tarlo del teatro: scriveva
irrappresentabili commedie, montava il pianoforte su un carro
trainato da buoi, portava Beethoven sulle aie. Lo zio Guido,
socialista, anticlericale, fondatore con Galantara dell'Asino,
teorizzava il libero amore. Lo zio Vittorio, geniale organizzatore,
radunava il meglio della cultura del tempo al servizio del suo Teatro
dei Piccoli.
Mamma Maria, bella,
appassionata, coraggiosa, ebbe le doglie di Vera durante una Manon
alla Scala. Alla figlia piccolissima fece ascoltare 14 volte il
Lohengrin. Un giorno, imbattutasi in via Manzoni nel tenore
wagneriano Giuseppe Borgatti gli chiese: "E' lei, Borgatti?".
Lui la fissò, e fu vinto. Ma quando la figlia Vera ebbe 18 anni ed
entrò nella compagnia veneta di Benini, mamma Maria, non trovando un
adeguato chaperon, le fu accanto in tutte le pensioncine e gli
alberghi della tournèe. Vecchia, nella Milano degli anni 50,
andava ogni settimana a confessarsi da un prete diverso. Confessava
un peccato tremendo, la superbia. E ai preti stupefatti diceva:
"Vorrei vedere lei, se avesse dei figli come Orio, come Vera!".
Vera e Orio, scomparso
prestissimo il padre, furono da Maria tirati su con coraggio: con
lezioni di pianoforte, e il ricamo di pianelle friulane. E vennero su
bene. Vera, a 20 anni, era primattrice giovane con Talli; a 22
primattrice con Ruggeri; a 26 con Niccodemi. "Vuole sapere
perché non scrivo i miei ricordi? Ho letto le memorie di Sarah
Bernhardt, e mi fanno pena. Lei pensa solo a raccontare di sé,
racconta di quando le portavano gli elefanti a salutarla. Ma cosa
vale la piccola persona di un'attrice, di fronte alla ricchezza dei
suoi tempi, all'intelligenza delle persone di cui ha detto le parole,
di quelli con cui ha lavorato?". Commenta il direttore del Museo
Biblioteca dell'attore, Tinterri: "Vera Vergani ha rappresentato
parecchio, nel nostro teatro, soprattutto se si tiene conto di quanto
è stata breve la sua carriera. E' stata un'attrice particolare che
ha lavorato con delle compagnie particolari e con una compagnia
particolarissima, quella di Niccodemi. E' stata la prima figliastra
nei Sei personaggi, la prima Silla Gala nel Gioco delle
parti, la prima Delia Morello in Ciascuno a suo modo.
Certo, la sua fortuna è stata quella di aver recitato negli anni 20,
i più interessanti per il teatro italiano: quando si afferma
Pirandello, nasce il teatro d'arte, si avvertono i primi sintomi
della regia, prima che si consolidi il regime fascista. Ha avuto la
fortuna di capitare nel momento giusto, di lavorare con i migliori
attori e capocomici: ma non a caso sceglievano lei Talli, Ruggeri,
Niccodemi".
"Pirandello"
ricorda la Vergani "lo rammento ingenuo: un uomo stupito della
vita, un uomo dolce. Alla prima dei Sei personaggi il pubblico
lo voleva picchiare. Ma io l'ho difeso a spada tratta". Anche
per la compagnia erano difficili, i Sei personaggi. E
Niccodemi, quando Pirandello si chiudeva in camerino a riscrivere
delle battute, mandava Checco Rissone bambino a origliare il tono con
cui le scandiva a voce alta. Ma Vera Vergani fu innumeri volte, con
ineguagliato successo - e anche nella serata d' addio - Mila
di Codro.
Ricorda: "D'
Annunzio era un parolaio meraviglioso, molto affascinante per le
donne: non per me, ch'ero scettica. Ma anche Gramsci, ho conosciuto,
e Gobetti. Mi si presentarono alla fine di una recita, a Torino: due
giornalisti. E tornarono ogni sera, chiacchierando mi accompagnavano
in albergo. Gobetti aveva un cappelluccio tutto tirato avanti.
Gramsci era molto gauche. Dovevano essere veramente
eccezionali altrimenti io, nella mia giovinezza, li avrei mandati a
farsi friggere! Non credo fossero affascinati dalla mia bellezza;
avevo fascino anche per quel che dicevo; venivo da una famiglia
colta: siamo in quattro o cinque, sulle enciclopedie!".
Alla mostra di Genova ci
sono quattro abiti: due costumi di scena veri e propri, e poi un
abito da sera bianco e un vestito con strascico dell'Ottocento:
appartenuto alla nonna Podrecca, Vera lo indossava in Moglie e
buoi dei paesi tuoi. Non c'era, allora, la rigorosa divisione tra
abiti normali e da scena; per le commedie borghesi andavano benissimo
i vestiti d'ogni giorno. Quelli di Vera erano splendidi, delle
migliori sartorie milanesi. Ma queste son quisquilie su cui la
vecchia signora non ama soffermarsi. Vorrebbe piuttosto che si
ricordasse meglio Benini, l'Eduardo veneto con cui debuttò, da tutti
dimenticato. E vuole far l'elogio dei figli: "Le garantisco,
sono, e sono stati, sempre adorabili".
“la Repubblica”, 6
novembre 1985
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