Nel 1977, l'anno in cui
Prigogine vinse il Nobel, nel tempo delle catastrofi, delle strutture
dissipative e dei frattali, Michel Serres, un filosofo francese, che
la distanza segnala come tra i maggiori del Novecento, rilegge
Lucrezio. Del suo sapere fornisce un'immagine più convincente e
attendibile, oltre che attuale, questo articolo di Porro sul
“manifesto”, recensione della traduzione italiana del suo libro
per l'editore Sellerio. In quella scelta, controcorrente, mi pare di riconoscere lo
zampino di Leonardo Sciascia. In ogni caso il Lucrezio di Serres
(come il Leopardi di Walter Binni e Sebastiano Timpanaro) lo vedo
tra i maestri della sinistra che verrà. (S.L.L.)
Roma. Il busto di Lucrezio al Pincio |
La fisica moderna nasce
all'epoca di Galileo: assunzione ormai consolidata, punto fermo in
appartenenza indubitabile. Un libro di Michel Serres, Lucrezio e
l'origine della fisica» (Sellerio editore, traduzione,
accurata, di Paolo Cruciani e Anna Jeronimidis) ci forza invece a
rivedere i nostri schemi abituali, che pongono la fisica greca
nell'ambito del prescientifico, del metafisico, in particolare a
ripensare la validità e la funzione storica dell'atomismo antico; ed
ancor più ci induce a leggere un'opera di poesia, il De rerum
natura di Lucrezio, come genuino trattato di fisica.
Lucrezio nel primo secolo
a.C. ripropone l'insegnamento filosofico di Epicuro e la teoria del
formarsi dei mondi a partire da un caos, da un disordine atomico, del
«clinamen» (declinazione) produce uno scarto angolare
minimale, infinitesimo, nel moto equilibrato cioè disordinato degli
atomi, provoca la formazione di un turbine, di un vortice che
temporaneamente riesce a vincere l'irreversibile «declinare» della
cose verso la morte; nel clinamen fattore di nascita è già
iscritta la dissoluzione. Dal disordine, dalla turbolenza (turba)
che costituisce lo stato regolare della natura si genera un vortice
(turbo), forma costitutiva primaria, relativamente stabile ed
ordinata; l'ordine non è che la possibilità improbabile,
«miracolosa», che si produce grazie al clinamen all'interno
di un universo profondamente e normalmente instabile. Ma tutto ciò
resterebbe al livello di intuizione prescientifica se non ricevesse
la legittimazione dell'apparato matematico: ed infatti questo
modello, viene matematizzato da Archimede. Le sue opere, solitamente
ritenute un insieme disorganico di studi, appaiono invece di una
coerenza estrema se lette come sistematica spiegazione dei problemi
posti dal modello epicureo, vale a dire i problemi del calcolo
infinitesimale, dei grandi numeri, dell'idrostatica, della geometria
delle figure di rivoluzione ecc.
Ma per quale motivo la
storia della scienza ha rimosso questa indicazione originaria di cui
la scienza rinascimentale non è che «ritaglio», ripresa e
rinascita? Per quale motivo si è esclusa a priori la possibilità di
una fisica matematica greca? Perché, risponde Serres, il modello
atomistico è stato sempre interpretato all'interno di una meccanica
del solidi, di corpi rigidi, il cui canone è la riconduzione
all'equilibrio, muoventesi in un sistema con funzionamento
deterministicamente prevedibile; ed invece tale modello va letto come
schema teorico di una meccanica dei fluidi, in cui si raggiunge una
sintesi tra statica e dinamica, tra imprevedibilità locale
(formazione dei vortici) e previsione globale (il procedere del
flusso). In altri termini Lucrezio già si pone lungo il sentiero che
conduce ai temi posti dal sorgere della termodinamica, costituisce il
punto di riferimento genealogico dei dibattiti attuali su
locale-globale, ordine-disordine, reversibilità-irreversibilità
ecc.: «Di qui... Prigogine, lo scarto, i sistemi aperti, i turbini
ripresi, le strutture dissipative, di qui Thom e la matematizzazione
del modello. Thom, nuovo Leibniz e nuovo Archimede, rispetto a questi
nuovi epicurei».
Il clinamen, si è
visto, rappresenta l'operatore locale di trasformazione, è il
responsabile della comparsa di oggetti che vincono temporaneamente il
declino generalizzato verso l'entropia; nell'universo degli atomisti
non è possibile formulare leggi invarianti e generali che regolino e
ordinino ogni singolo momento di sviluppo del sistema, come invece
avviene nella scienza classica (di Newton e Laplace), scienza in cui
gli stessi fenomeni si ripetono identici, in cui obbediscono a regole
necessitanti, in cui in fondo nulla di nuovo può nascere. «Il
sapere così concatenato, infinitamente iterativo, non è che scienza
di morte. Scienza delle cose morte e strategia della messa a morte.
L'ordine delle ragioni è marziale... Le leggi sono le stesse
dappertutto, esse sono tanatocratiche». Dall'universo cartesiano e
newtoniano in cui lo spazio è omogeneo, spazio euclideo misurabile e
dominabile, la natura è scomparsa, è scomparso il caso fortuito
responsabile dell'origine stessa delle cose; lo spazio dell'atomismo
è molteplice, differenziato, leggibile solo per mezzo di
specificazioni topologiche, e l'universo si apre alla eccezione, è
un universo plurale che può dunque essere espresso solo attraverso
spiegazioni multiple, fallibili e non coercitive.
Il nuovo sapere di
Epicuro e Lucrezio in tal senso, non si pone in guerra contro la
natura, «non prova l'odio che fa inventare un soggetto né
l'avversione nei confronti del corpo», ma stringe una «nuova
alleanza» con la natura. Una volta stretto il «nuovo patto di
Venere», una volta superata la «fisica di Marte» retta dalla
violenza, dallo spirito del duello, il sapere stesso si esplica come
un prendere diretto contatto con le cose, un sapere le cui leggi di
formazione e di evoluzione non sono differenti dalle cose stesse. La
storia della scienza si esprime in tal senso attraverso un modello
complesso, che sfugge ai semplicismi, alle logiche a due valori
(vero-falso, continuità-discontinuità, ecc.): esiste uno strato,
«un quasi invariante», un flusso di fondo su cui avvengono
sconvolgimenti locali, fratture o collegamenti, ma di ciò «il
miglior modello è la cosa stessa», ogni oggetto in quanto resiste
all'entropia, in quanto realizza un tempo reversibile nella caduta
irreversibile verso il disordine. Il nuovo patto delinea così un
«materialismo pacificato» che non progetta politiche di dominio e
conquista; un materialismo che di fatto coincide con il fisicalismo.
«Il soggetto che percepisce è un oggetto del mondo, immerso nelle
fluenze oggettive... L'anima è corpo materiale, il corpo è una
cosa, il soggetto non è che oggetto, la fisiologia o la psicologia è
soltanto una fisica. E di conseguenza i sensi sono fedeli». Ogni
disciplina obbedisce alle stesse leggi della fisica: «la metafisica
è una fisica metaforica», la storia naturale e umana è anch'essa
una fisica, e la morale non è che «una fisica intesa
correttamente».
La storia umana, storia
di lotte, di agitazioni, di turbolenze appare in questa luce iscritta
fin dall'inizio nell'orizzonte della sconfitta, risulta persa in
partenza: essa infatti per Lucrezio (e Serres), non fa che costruire
eventi e avvenimenti che finiranno col disfarsi e dissolversi lungo
il flusso inarrestabile della natura verso l'entropia; e ogni
struttura organizzata che gli uomini sviluppano per arrestare e
tenere in scacco l'irrevocabile non fa altro che aumentare la
degradazione ed il declino. Il saggio, che comprende la fisica, evita
la politica e la storia, luoghi del turbamento, delle nevrosi
marziali, ricerca l'imperturbabilità (l'atarassia), sfugge
alle relazioni umane, ritorna agli oggetti, lascia la natura com'è,
cerca di riprodurne la condizione originaria che precede il formarsi
dei turbini: ma realmente questa morale è un «vivere secondo
natura» visto che la natura stessa è turbamento, continuo scarto
all'equilibrio?
Il patto di Venere che il
saggio epicureo stringe con la natura appare quasi segnato da un
dominio opposto a quello classico: l'uomo è fagocitato dal mondo,
non c'è distanza, non c'è scarto tra uomo e natura, tra pensiero ed
essere, tra parole e cose. Se la cultura moderna, basata sulla
totalizzazione e il dominio è «la continuazione della barbarie con
altri mezzi», realmente l'unica pratica di pace è la «dissidenza,
il ritiro, la secessione» del saggio epicureo? In una natura che si
svela sempre più come molteplicità di sistemi aperti, che cosa, se
non fattori storico-sociali, induce il saggio a rifugiarsi nel chiuso
del Giardino di Epicuro? In realtà ora che la natura ci mostra un
paesaggio differenziato, localmente poliforme e su cui si succedono
nuove forme-forze, il vivere (e pensare) secondo la natura può
finalmente assumere valenze che sfuggano alla ripetizione
dell'identico, del già dato e del già detto, può divenire un
vivere nelle contraddizioni di una natura che per l'uomo è anche,
storia e cultura.
“il manifesto”, 13
marzo 1981
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