Quel che segue è la
prima parte di un articolo del “Grido del Popolo”, il settimanale
dei socialisti torinesi di cui Antonio Gramsci era redattore capo e
talora unico. La data è il 25 maggio 1918, il contesto è dunque
quello della Grande Guerra, con i parlamentari socialisti, di
orientamento riformista, impegnati a collaborare con lo sforzo
bellico dell'Italia e a moderare l'opposizione sociale e politica al
governo regio. La polemica è pertanto diretta contro Prampolini, che
del socialismo parlamentare era tra i massimi esponenti. E tuttavia
l'oggetto della polemica è rimasto a lungo attuale e, forse, lo è
tuttora. Nel movimento operaio italiano riformisti e stalinisti
concordi, hanno sempre pensato paternalisticamente che nella stampa
di partito diretta a proletari e a popolani si dovesse usare - come
fanno i preti - un linguaggio “facile” - e hanno sistematicamente
polemizzato contro l'incomprensibilità degli “intellettuali”.
L'argomentazione di Gramsci ha due livelli: primo, non sempre è
possibile usare parole generiche per problemi specialistici; secondo,
i lettori proletari hanno il diritto-dovere di migliorare la loro
preparazione culturale, la loro capacità di critica nei confronti
della cultura borghese. (S.L.L.)
La «Giustizia» di
Camillo Trampolini, offre ai suoi lettori una rassegna delle opinioni
espresse dai settimanali socialisti sulla polemica tra la direzione
dell'«Avanti!» ed il gruppo parlamentare. L'ultimo capitolo della
rassegna è spiritosamente intitolato Gli interpreti del
proletariato e spiega:
“La «Difesa» di
Firenze e il «Grido» di Torino, i due esponenti più rigidi e
culturali della dottrina intransigente, svolgono larghe
considerazioni teoriche che ci è impossibile riassumere e che ad
ogni modo sarebbe poco utile riprodurre, perché - quantunque quei
due giornali affermino di essere genuini interpreti del proletariato
e di avere con sé la grande massa — i nostri lettori non sarebbero
abbastanza colti per capire il loro linguaggio”
E l'implacabile «
Giustizia », perché non si dica che « faccia della maligna ironia
», riporta quindi due passi staccati di un articolo del «Grido»,
per concludere: «Più proletariamente chiari di cosi non si potrebbe
essere ».
Il compagno Prampolini ci
offre lo spunto per trattare una questione di non piccolo momento nei
riguardi della propaganda socialista.
Ammettiamo che l'articolo
del « Grido » fosse il non plus ultra della difficoltà e della
oscurità proletaria. Avremmo potuto scriverlo in altra maniera? Esso
era di risposta a un articolo della «Stampa», e nell'articolo della
«Stampa» si faceva uso di un preciso linguaggio filosofico, che non
era una superfluità né una posa, poiché ogni indirizzo di pensiero
ha un suo particolare linguaggio e un suo particolare vocabolario.
Nella risposta dovevamo rimanere nel dominio di pensiero
dell'avversario, dimostrare che anche, anzi proprio per
quell'indirizzo di pensiero (che è il nostro, che è l'indirizzo di
pensiero del socialismo non acciabattone né fanciullescamente
puerile), la tesi collaborazionistica era un errore. Per essere
facili avremmo dovuto snaturare, impoverire un dibattito che versava
su concetti di massima importanza, sulla sostanza più intima e più
preziosa del nostro spirito. Far questo non è essere facili:
significa frodare, tal quale il vinattiere che vende acqua tinta per
barolo o lambrusco. Un concetto che sia diffìcile di per sé non può
essere reso facile nell'espressione senza che si muti in una
sguaiataggine. E d'altronde fingere che la sguaiataggine sia sempre
quel concetto è da bassi demagoghi, da imbroglioni della logica e
della propaganda.
Perché dunque Camillo
Prampolini fa della facile ironia sugli «interpreti» del
proletariato che non si fanno comprendere dai proletari? Perché il
Prampolini, con tutto il suo buon senso e la sua praticoneria, è un
astrattista. Il proletariato è uno schema pratico, nella realtà
esistono i proletari singoli, più o meno colti, più o meno
preparati dalla lotta di classe alla comprensione dei più squisiti
concetti socialisti. I settimanali socialisti s'adattano al livello
medio dei ceti regionali ai quali si rivolgono; il tono degli scritti
e della propaganda deve però sempre essere un tantino superiore a
questa media, perché ci sia uno stimolo al progresso intellettuale,
perché almeno un certo numero di lavoratori esca dall'indistinto
generico delle rimasticature da opuscoletti, e consolidi il suo
spirito in una visione critica superiore della storia e del mondo in
cui vive e lotta...
da Scritti giovanili,
Einaudi 1958
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