Da un mensile del Pci recupero questo divertente articoletto sull'infanzia e la giovinezza di Mario Scelba di Mario Melloni, più noto come Fortebraccio, lo pseudonimo che adoperava da corsivista per "l'Unità". Utilizzando come fonte una "agiografia" dell'uomo politico siciliano, con satirica aggressività, Melloni mette in luce il paradosso di Scelba: "antifascista", per di più non insensibile alle ragioni dei ceti popolari, e insieme "uomo d'ordine", e in quanto tale oltranzistico difensore di un ordine sociale ingiusto. Per chi volesse approfondire il tema suggerisco la biografia di Giuseppe Carlo Marino La Repubblica della forza. Mario Scelba e le passioni del suo tempo, edito da Franco Angeli nel 1995, ma ristampato l'anno scorso (2013) e perciò reperibile. (S.L.L.)
Mario Scelba |
Non molti, forse, sanno
quando e come è entrato nella vita politica l'on. Scelba. Nel 1909,
un giorno, giunse a Caltagirone, invitato a tenervi un comizio, Guido
Podrecca, direttore de «L'asino». Per l'occasione, nella piazza
principale della città fu ordinato un grande spiegamento di forze,
polizia, carabinieri e persino cavalleggeri in colbacco, che, a un
certo momento, bloccarono gli accessi alla piazza. Gli sturziani
erano arrivati tardi e ora, raccolti in municipio intorno al sindaco,
che era Don Sturzo, se ne stavano lì, inutili e smarriti. Sentite il
biografo: «Come sapere i fatti precisi, le accuse, gli errori di
quel Demostene da sotto-prefettura? Desolati in municipo si
guardavano i fedeli di Don Sturzo. Ligi alla consegna, col sottogola
in bocca, i soldati non lasciano passare nessuno, 'Io posso
infilarmi' dice a un tratto un ragazzino di otto anni che sta lì
insieme al babbo. Mezz'ora dopo è di ritorno. Issato sopra un
tavolo, fa un resoconto semplice, completo di ciò che va sbraitando
l'oratore, laggiù, dietro la truppa. Domani sul giornale si potranno
smontare uno per uno gli argomenti dell'avversario. Mario Scelba ha
fatto il suo ingresso nella vita politica». (Onello Onelli, «Mario
Scelba», ed.Al pescatore di luna, Roma, pagg. 15 e 16).
Ecco un racconto
emozionante e, insieme, esemplare. Secondo i biologi, le vocazioni si
formano persino prima della nascita, fin dagli albori, affascinanti e
segreti, del concepimento. Scelba ha la vocazione della polizia, come
Giotto ebbe quella della pittura, e come il piccolo pastore del
Mugello, senza fatica, con vena spontanea e felice disegnava davanti
a Cimabue le pecore del suo gregge, Scelba, davanti ai suoi maestri,
scelse con ispirata e lieta inclinazione la sua prima missione
politica: andare tra i poliziotti e superarne gli ottusi divieti.
Costoro «sentirono» il loro uomo, indovinarono il capo di domani, e
lo lasciarono passare. Così, scivolando lesto tra le gambe dei
questurini, entrava nella vita politica italiana l'on. Scelba. Non
mai ingresso fu meglio appropriato e presago.
In questo libro che
abbiamo sotto gli occhi, la carriera dell'on. Scelba viene tutta
tracciata con mano affettuosa e, a momenti, rapita. Ed è detto delle
sue vicende di antifascista e poi delle sue esperienze di cospiratore
e infine delle sue valentìe ministeriali. Ma nulla è pari, per
l'ardore con cui la conduce e per la bravura che la contraddistingue,
alla sua opera per «riorganizzare» e «potenziare» la polizia, che
è sempre, per lui, la «forza dell'ordine». Nella sua mistica
dell'«ordine» e nel suo culto per la forza destinata a difenderlo,
c'è un orrore profondo, vorremmo dire organico, per ogni forma di
ribellione. La antica miseria della sua gente ha spento per sempre,
in questo siciliano, ogni capacità di riscossa.
Se gli operai, se i
lavoratori chiedono qualche cosa, si può e fors'anche si deve,
secondo Scelba, ascoltarne le ragioni. Ed è persino probabile che
egli si auguri che siano buone ragioni. Ma se si ribellano, se
vogliono prevalere, non c'è più ragione che valga: bisogna salvare
l'«ordine».
Sull'antifascismo di
Scelba, nessuno può, onestamente, avanzare dubbi; così come nessuno
ha diritto di dubitare della sua personale probità. Ma fu certamente
antifascista perché gli repugnava, del fascismo, quel sovversivismo
sguaiato e reazionario, che offendeva l'idea che egli si fa del
padrone, del «signore» come gli piace: sdegnoso di difendersi con
le proprie mani, protetto, appunto, dalle «forze dell'ordine», del
suo « ordine », s'intende. E si direbbe che non c'è momento, nella
sua vita, in cui sia venuto meno questo «gusto» dei poliziotti,
questa vocazione degli sbirri che lo condusse lietamente e
fiduciosamente fra loro, quella prima volta, ragazzo, a Caltagirone.
Molto più tardi in piena lotta clandestina (è sempre il suo
biografo che racconta), «un giorno un amico, in tribunale, gli
mormorò: "Hai i poliziotti in casa". Scelba si precipitò.
"Sono usciti in questo momento — gli disse la moglie — hanno
detto che sarebbero tornati". Scese le scale, ritrovò per
strada i due agenti. "Mi chiamo Mario Scelba. So che siete
venuti in casa mia. Sono a vostra disposizione". Questo
atteggiamento li colpì. Frugarono per la forma, accettarono un
bicchierino». (idem, pag. 27).
Badate bene che questo
episodio non descrive un pavido, descrive uno che con certa gente si
sente in famiglia e disegna la figura di un devoto. Un devoto,
appunto, dell'autorità seigneurial, per cui chi comanda ha
diritto di comandare e le «forze dell'ordine» sono lì per essere
obbedite. Così, quando la DC elegge Scelba suo presidente, compie
una precisa scelta di conservazione. Con uomini come Scelba niente di
sostanziale e di decisivo cambierebbe mai nel mondo. Lo avevano già
capito, molti anni fa, quei due questurini della perquisizione, che,
invitati in salotto da un padrone di casa sorridente, «accettarono
un bicchierino».
Dalla rassegna Nomi e
fatti del regime in “I
Comunisti”, anno II n.5 , Novembre 1966
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