4.6.14

Scelba: fin da piccolo tra i poliziotti (Mario Melloni - Fortebraccio, 1966)

Da un mensile del Pci recupero questo divertente articoletto sull'infanzia e la giovinezza di Mario Scelba di Mario Melloni, più noto come Fortebraccio, lo pseudonimo che adoperava da corsivista per "l'Unità". Utilizzando come fonte una "agiografia" dell'uomo politico siciliano, con satirica aggressività, Melloni mette in luce il paradosso di Scelba: "antifascista", per di più non insensibile alle ragioni dei ceti popolari, e insieme "uomo d'ordine", e in quanto tale oltranzistico difensore di un ordine sociale ingiusto. Per chi volesse approfondire il tema suggerisco la biografia di Giuseppe Carlo Marino  La Repubblica della forza. Mario Scelba e le passioni del suo tempo, edito da Franco Angeli nel 1995, ma ristampato l'anno scorso (2013) e perciò reperibile. (S.L.L.)
Mario Scelba
Non molti, forse, sanno quando e come è entrato nella vita politica l'on. Scelba. Nel 1909, un giorno, giunse a Caltagirone, invitato a tenervi un comizio, Guido Podrecca, direttore de «L'asino». Per l'occasione, nella piazza principale della città fu ordinato un grande spiegamento di forze, polizia, carabinieri e persino cavalleggeri in colbacco, che, a un certo momento, bloccarono gli accessi alla piazza. Gli sturziani erano arrivati tardi e ora, raccolti in municipio intorno al sindaco, che era Don Sturzo, se ne stavano lì, inutili e smarriti. Sentite il biografo: «Come sapere i fatti precisi, le accuse, gli errori di quel Demostene da sotto-prefettura? Desolati in municipo si guardavano i fedeli di Don Sturzo. Ligi alla consegna, col sottogola in bocca, i soldati non lasciano passare nessuno, 'Io posso infilarmi' dice a un tratto un ragazzino di otto anni che sta lì insieme al babbo. Mezz'ora dopo è di ritorno. Issato sopra un tavolo, fa un resoconto semplice, completo di ciò che va sbraitando l'oratore, laggiù, dietro la truppa. Domani sul giornale si potranno smontare uno per uno gli argomenti dell'avversario. Mario Scelba ha fatto il suo ingresso nella vita politica». (Onello Onelli, «Mario Scelba», ed.Al pescatore di luna, Roma, pagg. 15 e 16).
Ecco un racconto emozionante e, insieme, esemplare. Secondo i biologi, le vocazioni si formano persino prima della nascita, fin dagli albori, affascinanti e segreti, del concepimento. Scelba ha la vocazione della polizia, come Giotto ebbe quella della pittura, e come il piccolo pastore del Mugello, senza fatica, con vena spontanea e felice disegnava davanti a Cimabue le pecore del suo gregge, Scelba, davanti ai suoi maestri, scelse con ispirata e lieta inclinazione la sua prima missione politica: andare tra i poliziotti e superarne gli ottusi divieti. Costoro «sentirono» il loro uomo, indovinarono il capo di domani, e lo lasciarono passare. Così, scivolando lesto tra le gambe dei questurini, entrava nella vita politica italiana l'on. Scelba. Non mai ingresso fu meglio appropriato e presago.
In questo libro che abbiamo sotto gli occhi, la carriera dell'on. Scelba viene tutta tracciata con mano affettuosa e, a momenti, rapita. Ed è detto delle sue vicende di antifascista e poi delle sue esperienze di cospiratore e infine delle sue valentìe ministeriali. Ma nulla è pari, per l'ardore con cui la conduce e per la bravura che la contraddistingue, alla sua opera per «riorganizzare» e «potenziare» la polizia, che è sempre, per lui, la «forza dell'ordine». Nella sua mistica dell'«ordine» e nel suo culto per la forza destinata a difenderlo, c'è un orrore profondo, vorremmo dire organico, per ogni forma di ribellione. La antica miseria della sua gente ha spento per sempre, in questo siciliano, ogni capacità di riscossa.
Se gli operai, se i lavoratori chiedono qualche cosa, si può e fors'anche si deve, secondo Scelba, ascoltarne le ragioni. Ed è persino probabile che egli si auguri che siano buone ragioni. Ma se si ribellano, se vogliono prevalere, non c'è più ragione che valga: bisogna salvare l'«ordine».
Sull'antifascismo di Scelba, nessuno può, onestamente, avanzare dubbi; così come nessuno ha diritto di dubitare della sua personale probità. Ma fu certamente antifascista perché gli repugnava, del fascismo, quel sovversivismo sguaiato e reazionario, che offendeva l'idea che egli si fa del padrone, del «signore» come gli piace: sdegnoso di difendersi con le proprie mani, protetto, appunto, dalle «forze dell'ordine», del suo « ordine », s'intende. E si direbbe che non c'è momento, nella sua vita, in cui sia venuto meno questo «gusto» dei poliziotti, questa vocazione degli sbirri che lo condusse lietamente e fiduciosamente fra loro, quella prima volta, ragazzo, a Caltagirone. Molto più tardi in piena lotta clandestina (è sempre il suo biografo che racconta), «un giorno un amico, in tribunale, gli mormorò: "Hai i poliziotti in casa". Scelba si precipitò. "Sono usciti in questo momento — gli disse la moglie — hanno detto che sarebbero tornati". Scese le scale, ritrovò per strada i due agenti. "Mi chiamo Mario Scelba. So che siete venuti in casa mia. Sono a vostra disposizione". Questo atteggiamento li colpì. Frugarono per la forma, accettarono un bicchierino». (idem, pag. 27).
Badate bene che questo episodio non descrive un pavido, descrive uno che con certa gente si sente in famiglia e disegna la figura di un devoto. Un devoto, appunto, dell'autorità seigneurial, per cui chi comanda ha diritto di comandare e le «forze dell'ordine» sono lì per essere obbedite. Così, quando la DC elegge Scelba suo presidente, compie una precisa scelta di conservazione. Con uomini come Scelba niente di sostanziale e di decisivo cambierebbe mai nel mondo. Lo avevano già capito, molti anni fa, quei due questurini della perquisizione, che, invitati in salotto da un padrone di casa sorridente, «accettarono un bicchierino».

Dalla rassegna Nomi e fatti del regime in “I Comunisti”, anno II n.5 , Novembre 1966

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