Nell’epilogo dei
Promessi Sposi Renzo sintetizza «il sugo di tutta la storia»,
elencando una serie di precetti concreti che sottolineano la
direzione pragmatica lungo cui si è sviluppata la sua avventurosa
formazione: «Ho imparato – diceva – a non mettermi ne’
tumulti: ho imparato a non tenere in mano il martello delle porte,
quando c’è lì dintorno gente che ha la testa calda. Ho imparato a
non attaccarmi un campanello al piede, prima d’aver pensato quel
che ne possa nascere”. E cent’altre cose».
Analogamente, la vicenda
dell’autoritaria imposizione del ddl scuola ci induce ad una serie
di riflessioni, a sottolineare alcune cose che “abbiamo imparato”.
Il “sugo della storia”,
per noi, più o meno è questo.
- Abbiamo imparato
che per essere “di sinistra” non basta sedere da una parte o
dall’altra degli emicicli parlamentari; sarebbe piuttosto
necessario determinare costanti condizioni di partecipazione,
inclusione, democrazia, sulla base dei principi della nostra
Costituzione. Questo Governo, pertanto e con ogni evidenza, non è di
sinistra. Ma, al contrario, ha ostinatamente rincorso atteggiamenti,
deviazioni e degenerazioni degni della peggiore destra:
autoritarismo, offesa del “popolo sovrano”, scorciatoie
istituzionali, violazione di principi della Carta.
- Abbiamo imparato
che la volgarità sta di casa in questa falsa sinistra. La volgarità
della menzogna, innanzitutto: hanno detto “ascoltiamo” e non
hanno ascoltato. Hanno detto rimandiamo, perché la scuola va
rispettata. E una settimana dopo hanno posto il voto di fiducia. Lo
abbiamo gridato ovunque, rimandando il nostro bisogno di
partecipazione democratica a tutte le più alte cariche dello Stato,
a loro volta silenti o solidali solo formalmente. Inascoltati,
appunto. Non sono state ascoltate le centinaia di mozioni dei collegi
docenti, articoli, interventi, proposte alternative, studi. Lo
abbiamo gridato il 24 aprile e il 5 maggio, con lo sciopero più
imponente che la scuola ricordi. Ancora niente. Anziché ascolto
abbiamo ricevuto insulti. Ancora sabato sera, alla festa del PD,
Zanda – sull’abbrivio delle esternazioni di Giannini – ci ha
chiamati “squadristi”. Il dissenso democratico e civile, nella
loro cultura, è squadrismo. L’80% dei docenti in sciopero è una
“minoranza chiassosa”, come ebbe a dire il meritevolissimo
Faraone. E così via.
- Abbiamo imparato
che in Parlamento siedono persone che interpretano il proprio mandato
esclusivamente come prospettiva di carriera politica; che antepongono
l’obbedienza alla linea politica del proprio partito alla fedeltà
alla Costituzione; che sono disposte a votare a favore di un
provvedimento legislativo senza nemmeno averlo letto;
- Abbiamo imparato
che molti colleghi hanno preferito consumare la propria protesta
davanti allo schermo di un computer. Ma anche che la loro inerzia
colpevole e codina, il loro scetticismo, la loro assenza di passione
e di impegno, la loro rinuncia alla partecipazione non hanno
offuscato la portata di un dissenso straordinario, consumato sempre e
comunque alla luce di un’interpretazione democratica del diritto e
del dovere della piazza, nonostante la violenza e l’arbitrio cui
abbiamo dovuto contrapporci.
- Abbiamo imparato
che i media sempre più contribuiscono a creare nella mentalità e
nelle prospettive culturali clima e comportamenti da regime. Nel caso
della “buona scuola” quotidiani, tv e radio hanno manipolato
l’agenda della discussione citando o omettendo fatti e dati e
attraverso gerarchie di posizionamento e titolazione. Ma non solo:
hanno anche orientato le prospettive del confronto riducendolo a
slogan semplificatori e demagogici e soprattutto assolutizzando il
punto di vista del governo. Per esempio, l’asserzione che gli
insegnanti volessero sottrarsi alla valutazione (mentre ad essere
messo in discussione era il modello di valutazione, fondato sulla
discrezionalità e a rischio di arbitrarietà). O la relazione
deterministica tra accettazione di un modello di scuola
aziendalistica e autoritaria e le assunzioni di personale (mentre si
tratta di stabilizzare personale già assunto con contratti precari,
operazione in larga parte possibile con le procedure e il turn over
ordinari).
- Abbiamo imparato
che sappiamo essere massa critica. Che siamo la parte migliore di
questo Paese triste, quella che pensa e ragiona con la propria testa,
quella che sa dire no e portare avanti la costanza delle proprie
ragioni. Quella che affida al pensiero divergente e non
all’omologazione la possibilità di un futuro migliore. Di un mondo
di equità e giustizia determinato dai principi di cultura ed
educazione come strumenti di emancipazione. Quella che afferma con
intransigenza principi alla luce dei quali il nostro Paese ha potuto
essere considerato civile.
Il “sugo della storia”
è questo: non dobbiamo cessare di credere e di gridare le nostre
ragioni. Perché la battaglia per la scuola pubblica – l’unica
che abbia consegnato al Paese la rappresentazione di un dissenso
motivato e intransigente, tra tante deviazioni registrate nell’ultimo
anno – rappresenta non solo una battaglia di civiltà, di difesa di
diritti e doveri, della centralità dei principi della Costituzione.
Ma rappresenta una battaglia di democrazia. Alla quale un Governo
codardo, debole e bugiardo non ha potuto opporre altro che lo spregio
per le pratiche democratiche e per le funzioni del Parlamento.
L’arbitrio di un decisionismo che è sopraffazione della volontà
collettiva.
E quindi saremo di nuovo
e puntualmente in piazza il 7 luglio a Roma davanti a Montecitorio
per il prossimo appuntamento di una mobilitazione che non si è per
nulla arresa e che continuerà certamente nel prossimo anno
scolastico.
Nei blog di “Micromega”,
2 luglio 2015
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