6.7.15

Buona scuola. Si torna in piazza (Marina Boscaino)

Nell’epilogo dei Promessi Sposi Renzo sintetizza «il sugo di tutta la storia», elencando una serie di precetti concreti che sottolineano la direzione pragmatica lungo cui si è sviluppata la sua avventurosa formazione: «Ho imparato – diceva – a non mettermi ne’ tumulti: ho imparato a non tenere in mano il martello delle porte, quando c’è lì dintorno gente che ha la testa calda. Ho imparato a non attaccarmi un campanello al piede, prima d’aver pensato quel che ne possa nascere”. E cent’altre cose».
Analogamente, la vicenda dell’autoritaria imposizione del ddl scuola ci induce ad una serie di riflessioni, a sottolineare alcune cose che “abbiamo imparato”.
Il “sugo della storia”, per noi, più o meno è questo.

- Abbiamo imparato che per essere “di sinistra” non basta sedere da una parte o dall’altra degli emicicli parlamentari; sarebbe piuttosto necessario determinare costanti condizioni di partecipazione, inclusione, democrazia, sulla base dei principi della nostra Costituzione. Questo Governo, pertanto e con ogni evidenza, non è di sinistra. Ma, al contrario, ha ostinatamente rincorso atteggiamenti, deviazioni e degenerazioni degni della peggiore destra: autoritarismo, offesa del “popolo sovrano”, scorciatoie istituzionali, violazione di principi della Carta.

- Abbiamo imparato che la volgarità sta di casa in questa falsa sinistra. La volgarità della menzogna, innanzitutto: hanno detto “ascoltiamo” e non hanno ascoltato. Hanno detto rimandiamo, perché la scuola va rispettata. E una settimana dopo hanno posto il voto di fiducia. Lo abbiamo gridato ovunque, rimandando il nostro bisogno di partecipazione democratica a tutte le più alte cariche dello Stato, a loro volta silenti o solidali solo formalmente. Inascoltati, appunto. Non sono state ascoltate le centinaia di mozioni dei collegi docenti, articoli, interventi, proposte alternative, studi. Lo abbiamo gridato il 24 aprile e il 5 maggio, con lo sciopero più imponente che la scuola ricordi. Ancora niente. Anziché ascolto abbiamo ricevuto insulti. Ancora sabato sera, alla festa del PD, Zanda – sull’abbrivio delle esternazioni di Giannini – ci ha chiamati “squadristi”. Il dissenso democratico e civile, nella loro cultura, è squadrismo. L’80% dei docenti in sciopero è una “minoranza chiassosa”, come ebbe a dire il meritevolissimo Faraone. E così via.

- Abbiamo imparato che in Parlamento siedono persone che interpretano il proprio mandato esclusivamente come prospettiva di carriera politica; che antepongono l’obbedienza alla linea politica del proprio partito alla fedeltà alla Costituzione; che sono disposte a votare a favore di un provvedimento legislativo senza nemmeno averlo letto;

- Abbiamo imparato che molti colleghi hanno preferito consumare la propria protesta davanti allo schermo di un computer. Ma anche che la loro inerzia colpevole e codina, il loro scetticismo, la loro assenza di passione e di impegno, la loro rinuncia alla partecipazione non hanno offuscato la portata di un dissenso straordinario, consumato sempre e comunque alla luce di un’interpretazione democratica del diritto e del dovere della piazza, nonostante la violenza e l’arbitrio cui abbiamo dovuto contrapporci.

- Abbiamo imparato che i media sempre più contribuiscono a creare nella mentalità e nelle prospettive culturali clima e comportamenti da regime. Nel caso della “buona scuola” quotidiani, tv e radio hanno manipolato l’agenda della discussione citando o omettendo fatti e dati e attraverso gerarchie di posizionamento e titolazione. Ma non solo: hanno anche orientato le prospettive del confronto riducendolo a slogan semplificatori e demagogici e soprattutto assolutizzando il punto di vista del governo. Per esempio, l’asserzione che gli insegnanti volessero sottrarsi alla valutazione (mentre ad essere messo in discussione era il modello di valutazione, fondato sulla discrezionalità e a rischio di arbitrarietà). O la relazione deterministica tra accettazione di un modello di scuola aziendalistica e autoritaria e le assunzioni di personale (mentre si tratta di stabilizzare personale già assunto con contratti precari, operazione in larga parte possibile con le procedure e il turn over ordinari).

- Abbiamo imparato che sappiamo essere massa critica. Che siamo la parte migliore di questo Paese triste, quella che pensa e ragiona con la propria testa, quella che sa dire no e portare avanti la costanza delle proprie ragioni. Quella che affida al pensiero divergente e non all’omologazione la possibilità di un futuro migliore. Di un mondo di equità e giustizia determinato dai principi di cultura ed educazione come strumenti di emancipazione. Quella che afferma con intransigenza principi alla luce dei quali il nostro Paese ha potuto essere considerato civile.

Il “sugo della storia” è questo: non dobbiamo cessare di credere e di gridare le nostre ragioni. Perché la battaglia per la scuola pubblica – l’unica che abbia consegnato al Paese la rappresentazione di un dissenso motivato e intransigente, tra tante deviazioni registrate nell’ultimo anno – rappresenta non solo una battaglia di civiltà, di difesa di diritti e doveri, della centralità dei principi della Costituzione. Ma rappresenta una battaglia di democrazia. Alla quale un Governo codardo, debole e bugiardo non ha potuto opporre altro che lo spregio per le pratiche democratiche e per le funzioni del Parlamento. L’arbitrio di un decisionismo che è sopraffazione della volontà collettiva.
E quindi saremo di nuovo e puntualmente in piazza il 7 luglio a Roma davanti a Montecitorio per il prossimo appuntamento di una mobilitazione che non si è per nulla arresa e che continuerà certamente nel prossimo anno scolastico.


Nei blog di “Micromega”, 2 luglio 2015

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