Petrarca nel suo studio con la gatta |
I proverbi, i modi dire,
sono sempre stati il sale della lingua. Ora sono in calo nell'uso dei
parlanti. Ma costituivano l'arguzia e la saggezza dei dialetti. Trovo
di eccezionale efficacia che di uno strabico in Romagna si dicesse On
a e gat e on a e pes, “un occhio al gatto e uno al pesce”,
oppure guardé a la gata e frézre e pes, “guardare alla
gatta e friggere il pesce”.
E per alludere a uno che
si sobbarca i malanni mentre l'altro si lamenta, nel dialetto laziale
si diceva 'a gallina fa l'ovu e u tallu strilla che ji dole u
culu, così come in Sicilia A gaddina fa ll'uovo e ô gaddu
cci abbrucia u culu, insomma c'è chi si lamenta pur stando bene
e si attribuisce fatiche e meriti che invece toccano ad altri. In
Piemonte si usava ripetere Dé le latüe (le lattughe) an
guardia a i oche, lo stesso che Dé 'l lard a guarné al gat.
Di grande saggezza il romanesco Er diavolo nun cià le pecore e
venne la lana, come il siciliano Lu diavulu nun havi lana e
vinni pecuri.
Sul fare lavori inutili
in Piemonte si sentenziava che era come buté na frola an buca
n'asu, buttare una fragola in bocca a un asino (che l'ingoia
senza assaggiarla), e a Bologna Dè un giandòia a un sumér,
dare un gianduiotto a un somaro, atti di cortesia sprecata.
Molto spesso modi
popolari sono fluiti nelle testure di raffinati poeti. Giuseppe
Savoca cita il proverbio siciliano Essiri non si pò cchiù di na
vota, “essere non si può più d'una volta”, come rimpianto
della giovinezza perduta, o motto comunque sulla fugacita
irreparabile del tempo assegnato all'uomo: lo si ritrova tal quale
nel son. 361 del Canzoniere del Petrarca. Ora, o il proverbio
è arrivato alla tradizione orale per mediazione culta, se non
direttamente dal testo del Petrarca («et veggio ben che 'l nostro
viver vola / et ch'esser non si po' più d'una volta»), oppure è
capitato il rovescio. Tra letteratura colta e proverbi popolari c'è
un dare ed un avere.
Chi ha usato proverbi a
iosa nella sua pagina narrativa è stato Verga, il quale cercava nei
Malavoglia delle forme tendenti all'eclissi del narratore, e
il proverbio gli serviva bene allo scopo, perché appariva come una
parola d'altri non «prodotta», ma «riprodotta», citazione del
parlato del popolo, forma nota e riconoscibile, che portava con sé
quella presupposta impersonalità che Verga ricercava.
La Stampa, sabato
10/06/2006
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