7.7.15

La diplomazia clandestina di Emilio Lussu (Massimo Raffaeli)

Emilio Lussu (1890 -1975)
È incredibile, anzi è inverosimile, che Emilio Lussu (1890-1975) non abbia un posto nelle antologie della letteratura secolare e che la sua bibliografia critica rimanga reticente e lacunosa, se nemmeno le ha giovato, eo tempore, la stima di Benedetto Croce, di Luigi Russo e di Eugenio Montale, borghesi liberali che erano comunque antipodi di quel sardo spinoso, orgoglioso e talora intrattabile. Uno stereotipo reelude Lussu nella memorialistica storica, lo bolla nel ruolo dell’uomo d’azione prestato alla scrittura o al massimo lo salva nelle vesti del politico depositario di uno stile, quasi un medio proporzionale, stando ai leader della sua generazione, tra il fervore giacobino di Pietro Nenni (che fu in effetti un fuoriclasse del giornalismo) e il ductus beneducato, da vecchio professore di liceo, dietro cui si celavano i sarcasmi di Palmiro Togliatti. Fatto sta che a Lussu è andata in prevalenza l’attenzione degli storici, da Mario Isnenghi, in anni lontani, a Giovanni De Luna e Mimmo Franzinelli che ne hanno curato le recenti ristampe di Marcia su Roma e dintorni (Einaudi 2006) e La catena (Baldini & Castoldi 1992), due memoriali degli anni neri che si accampano nella breve sequenza, meno di dieci libri pubblicati in vita, al cui epicentro si trova Un anno sull’Altipiano (1938), uno dei massimi testi sulla Grande Guerra, corrispettivo degli Hemingway, dei Barbusse, dei Remarque e Céline, la cui ultima edizione (Einaudi 2005) è prefata da Mario Rigoni Stern, dunque non uno studioso di letteratura o un critico bensì, e gli sia comunque reso merito, un autore suo consanguineo. (A parte, per lo specifico valore filologico, sta la grande impresa di Tutte le opere edite da Aisara di Cagliari, quest’anno giunte al secondo volume, L’esilio antifascista. 1927-1943, a cura di Manlio Brigaglia).
Non fa eccezione alla regola, nuda di apparati, l’attuale riproposta di Diplomazia clandestina - 14 giugno 1940 - 25 luglio 1943 (Baldini Castoldi Dalai, «Storie della Storia d’Italia»), uscita a puntate su «Il Ponte» di Calamandrei e subito in volume da La Nuova Italia nel 1956. Qui Lussu, ancora una volta, sembra assecondare lo stereotipo dello scrittore non soltanto tardo (egli ha esordito a oltre quarant’anni con La catena, referto della fuga con Carlo Rosselli dal confino di Lipari) ma si direbbe desultorio e sempre ufficioso: Marcia su Roma (’32) lo ha scritto esule a Parigi da cospiratore di “Giustizia e Libertà” mentre Un anno sull’Altipiano, di lì a poco, su diretta committenza di Gaetano Salvemini, nel sanatorio svizzero in cui curava la tubercolosi contratta dieci anni prima da deputato sardista e antifascista che il regime aveva gettato nel carcere di Cagliari; da ultimo, Democrazia clandestina è redatto quando ormai Lussu è un ex della Costituente, già ministro dei governi Parri e De Gasperi, un senatore del Psi nemico della cosiddetta «legge truffa» come della convergenza verso la De che presto porterà il suo partito al governo e vedrà lui medesimo tra i fondatori del Psiup.
Chi rilegga oggi Diplomazia clandestina, viceversa, potrà cogliere nella pagina di Lussu una vocazione di saggista ben dissimulata, ovvero contenuta, nella misura del memorialista. Come se la foga di un uomo proverbialmente vocato all’azione (il capitano pluridecorato della Brigata Sassari, l’organizzatore del movimento sardista, il fiero oppositore del Duce in parlamento) riuscisse, una volta impedita l’azione propriamente detta, a tradursi nel metabolismo dei ricordi personali e nella maturazione di una idea della democrazia fondata sulla progressiva integrazione della base alle istituzioni dello Stato e sulla cosciente partecipazione delle masse popolari alla vita pubblica, come peraltro ha intuito il suo maggiore biografo, Giuseppe Fiori, nello splendido libro che si intitola Il cavaliere dei Rossomori. Vita di Emilio Lussu (Einaudi 1985). Infatti Diplomazia clandestina è tanto il resoconto del vagabondaggio di un esule tra le cancellerie d’Europa in cerca di sostegno militare-politico-economico per il movimento antifascista, quanto una metafisica della Resistenza democratica al dispotismo. Lussu scrive ora per allora, oltre dieci anni dopo i fatti, ma ha da sempre la certezza che la Resistenza o sarà sollevazione dal basso, politicamente matura, o sarà esclusivamente un appoggio formale agli eserciti alleati, vale a dire agli eserciti occupanti.
Leggibile in controcanto con le memorie della sua compagna (Joyce Salvadori Lussu che scrive, ancora giovanissima, Fronti e frontiere, 1944), il libro ha un’andatura picaresca e insegue le tracce di un maturo fuoriuscito e scrittore a tempo perso, fra Parigi, Lisbona, Malta, New York, Londra, Lione (fra storie di passaporti falsi, inchiostri simpatici, nomadismo coatto, indigenza) mentre mette a fuoco una vera e propria teoria dell’insurrezione, già formulata per esteso a Parigi in un opuscolo agitprop a sua firma, del 1936. Che il moto insurrezionale non sia poi scoppiato nell’isola a opera degli autonomisti sardi e dei fanti della Brigata Sassari, come Lussu invece sognava, ciò non toglie nulla alla nettezza e persino alla chiaroveggenza della sua posizione: «Le mie conferenze finivano sempre là: il problema è politico, senza di che una collaborazione militare è resa impossibile. Credo che dovetti ripetere un centinaio di volte il mio punto di vista: ‘Nessuno degli esponenti dell’antifascismo italiano farà mai l’agente inglese, così come nessun inglese farà mai l’agente italiano’ (...) In seguito, anche dopo la guerra, con l'esperienza della guerra partigiana in Italia, rievocando quel periodo ai Londra e l'insuccesso di quei miei tentativi diplomatici, ho sempre pensato che la causa ne sia stata non tanto la diffidenza verso l’antifascismo rivoluzionario nel campo politico e in quello sociale, che le esigenze della vittoria avrebbero anche potuto superare, quanto la mancanza di fiducia dei dirigenti britannici sulla capacità concreta dell’antifascismo di quell’epoca ad agire in vaste azioni insurrezionali».
Il suo stile posato di saggista non contraddice affatto la passione del politico, semmai la riscatta nella compostezza spigolosa, un poco ispida ma di efficacia micidiale; e al riguardo, Goffredo Fofi ha potuto parlare di «penna fredda, pudica, austera» introducendo la lettura di Un anno sull’Altipiano effettuata nel settembre del 2008 da Marco Paolini (accessibile nel sito di RadioTre, Ad alta voce, a cura di Anna Antonelli e Fabiana Carobolante, con una suggestiva testimonianza di Mario Monicelli). Chi ha avuto la fortuna di ascoltarlo dal vivo sa che la sua oratoria, cosa rara, aveva i tratti e la cadenza della sua stessa pagina, alta senza essere retoricamente impostata, magra senza essere povera, complessa senza essere affatto complicata. Pure se mai l’avrebbe confessato, sapeva bene che le sue partiture saggistiche non erano affatto il surrogato di una azione impossibile ma, come gli capitò di rilevare, esse procedevano, al contrario, dal fermo «rifiuto dell’inazione». Ciò vuol dire che Emilio Lussu scriveva per effettiva urgenza, non per vanità ma per necessità. E ciò spiega, oltretutto, il sospetto che prima o poi si insinua in chi abbia la ventura di leggerlo: quello di trovarsi al cospetto di un classico, il quale non necessita di ulteriori aggettivi.


“alias il manifesto”, 15 gennaio 2011

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