Il “nome”, Umbrò con
l'accento sulla o che somiglia a un apostrofo addormentato e su cui è
stata costruita la campagna pubblicitaria di lancio, scimmiotta
l'Expò. La “cosa” è forse una scimmiottatura di Eataly di
Farinetti, per l'insistenza sulle eccellenze alimentari ed
enogastronomiche del territorio che ne dovrebbero rappresentare
l'identità. Insomma un Feuerbach imborghesito: “l'Umbria è ciò
che mangia Sua Eccellenza”.
L'apertura ufficiale è
arrivata il 20 giugno e a quanto si legge neppure Calzini, il
presidente dell'ARCI di Perugia che promuove l'impresa, si aspettava
tanta bella gente, 5000 persone con tanti giovani, si dice, ma i
video della cerimonia sottolineano piuttosto la presenza massiccia di
quarantenni di successo, se non altro nel look.
Cerchiamo di capire di
che cosa esattamente si tratta. Sulla via Oberdan di Perugia, quasi
in cima alle scalette di Sant'Ercolano, insistevano i locali di un
antico ospedale, il cui nome era Santa Maria della Misericordia, che
al tempo della sua fondazione, all'inizio del Trecento, era il più
ampio della città, tanto da essere chiamato “Spedale Grande”. I
locali disposti su tre piani davano sul parco del Pincetto non
lontano da dove è oggi collocata la stazione del Minimetrò, donde è
possibile osservare un panorama di grande fascino che comprende il
Subasio e l'ubertosa pianura circostante. Secondo il racconto che fa
l'ARCI, il Comune che dell'edificio è il proprietario e aveva già
provveduto ad opere di consolidamento e sistemazione, cercava invano
tra il 2008 e il 2009 degli imprenditori disponibili a un progetto
per quello spazio pregiato, inserito tra le aree di valorizzazione
commerciale. L'ARCI di Perugia, sul finire del 2008, anche in
conseguenza di alcune iniziative economiche infelici della precedente
gestione (Camerieri), aveva aveva affidato la responsabilità di
presidente a Calzini: il nuovo gruppo dirigente progettava di
rilanciare l'associazione anche attraverso la creazione di uno spazio
innovativo al centro di Perugia. L'incontro tra le esigenze del
Comune e quelle dell'Arci fu ostacolato da contenziosi e ritardi
burocratici, ma nel 2012, anche grazie al sindaco Boccali che
nell'Arci aveva iniziato la sua carriera al servizio del bene
pubblico, fu firmata la convenzione e l'Associazione poté dare
inizio, sul finire dell'anno, agli importanti lavori di adattamento e
arredamento degli spazi.
L’investimento per
realizzare Umbrò è stato rilevante: oltre due milioni di euro, di
cui solo il 12 per cento proveniente da risorse pubbliche di sostegno
ad attività commerciali nei centri storici. “ Tutto il resto –
dicono con orgoglio i dirigenti – è stato finanziato attraverso
risorse interne e ricorrendo al sistema creditizio che ha creduto
nelle potenzialità del progetto. A fronte di questo nostro sforzo
economico, e sulla base della convezione stipulata, gestiremo
l'immobile per 15 anni dopodiché tornerà nella disponibilità del
Comune di Perugia”.
L'attività gestionale è
affidata ad una Cooperativa, affiliata all'Arci, che ha un nome che
piacerebbe a Landini, “Officina sociale”.
Lo spazio, circa 900
metri quadrati al coperto più 2000 all'aperto, è così diviso. Sul
piano più alto stanno il bar, la cucina bene in vista, i ristoranti
(due nel progetto, di cui per ora solo uno in funzione), le sale coi
tavoli, una sala conferenze. Al piano intermedio è prevista la
collocazione di un supermercato. Da basso altre sale e l'apertura
sull'esterno con un bar. A me sembra che integrazione tra le nuove
esigenze mercantili e l'originaria struttura medievale sia riuscita.
Una grandissima parte dei prodotti del market, come delle materie
prime della ristorazione dovrebbe provenire dalla produzione
regionale e a tale proposito è stata stipulata una convenzione con
la Confederazione Italiana Agricoltori dell'Umbria. Sarà anche
possibile scegliere personalmente i prodotti da farsi cucinare a
vista.
L'impresa commerciale non
nasconde grandi ambizioni, ma noi non sappiamo valutare se i gestori
di Umbrò rispetteranno l'impegno di prezzi equi e se riusciranno,
nel contempo, a far quadrare i conti e a pagare i debiti contratti.
Tutto sembra studiato con attenzione, ma non sempre le cose vanno
secondo le previsioni. Quello che tuttavia sembra mancare quasi del
tutto è il progetto associativo e culturale. La socializzazione, che
viene indicata come una delle finalità più importanti
dell'iniziativa, è totalmente subordinata al consumo e non è
dissimile da quella dei grandi centri commerciali. L'Arci insomma
sembra totalmente rinunciare alla ricerca di rapporti interpersonali
più autentici, di una solidarietà non retorica. E molte cose
lasciano pensare che Umbrò non sarà molto accessibile a immigrati,
lavoratori, studenti squattrinati.
Per quel che riguarda le attività culturali, che potrebbero spaziare dalle conferenze agli spettacoli musicali e alle performance teatrali, Umbrò non ha progettato nulla di preciso. Si descrive come contenitore aperto, si offre (non si sa bene se gratis o a pagamento) a tutti coloro che hanno da proporre qualcosa alla città. Il sospetto è che questa disponibilità, il foglio bianco ove si può scrivere quel che si vuole, sia conseguenza di una sottovalutazione, della convinzione che la cultura sia contorno o addirittura decorazione e che la polpa dell'operazione sia rappresentata dalle attività di compravendita nel settore del “magna e beve”. Perfino la libreria specializzata infatti, pur essendo i volumi d'arte e di gastronomia in vendita, sembra risentire del primato dei “gourmands”. I libri sono collocati qua e là per tutti gli spazi. “Libreria diffusa”, dicono. A noi sembra libreria dispersa.
Per quel che riguarda le attività culturali, che potrebbero spaziare dalle conferenze agli spettacoli musicali e alle performance teatrali, Umbrò non ha progettato nulla di preciso. Si descrive come contenitore aperto, si offre (non si sa bene se gratis o a pagamento) a tutti coloro che hanno da proporre qualcosa alla città. Il sospetto è che questa disponibilità, il foglio bianco ove si può scrivere quel che si vuole, sia conseguenza di una sottovalutazione, della convinzione che la cultura sia contorno o addirittura decorazione e che la polpa dell'operazione sia rappresentata dalle attività di compravendita nel settore del “magna e beve”. Perfino la libreria specializzata infatti, pur essendo i volumi d'arte e di gastronomia in vendita, sembra risentire del primato dei “gourmands”. I libri sono collocati qua e là per tutti gli spazi. “Libreria diffusa”, dicono. A noi sembra libreria dispersa.
micropolis, giugno 2015
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