Il confronto (indiretto)
tra cristianesimo e socialismo qui proposto da Engels contiene
implicazioni che solo la variante stalinista del marxismo ha valutato
in tutta la loro portata: un grande moto e un grande partito di
rivoluzione sociale non possono realizzare i loro obiettivi se non
sanno diventare “religione popolare”, se non permeano di sé la
vita quotidiana, se non producono fede, ritualità, capacità di
testimonianza, che a volte giunge fino al martirio.
Quella variante tuttavia,
insieme alle potenzialità implicite nella modificazione (un “partito
capace di aderire a tutte le pieghe della società” diceva
Togliatti, nell'elaborare la via italiana allo stalinismo), conteneva
il rischio di una chiesa dogmatica e autoritaria governata da una
burocrazia clericale (i preti rossi). Ne derivarono degenerazioni che
alla lunga hanno fatto morire di asfissia il progetto di
trasformazione egualitaria del mondo iniziato con la Rivoluzione
russa. Perfino il Partito fascista e il Partito nazionalsocialista
poterono far proprie, da destra, con basi sociali e progetti assolutamente divergenti, alcune caratteristiche di quel
modello, caso accentuando il fideismo acritico fino al “Duce tu sei la
luce” o alla elaborazione di Credo e
catechismi.
La
domanda che qui propongo è se non sia possibile un “socialismo”
come “religione aperta”, secondo la felice formula di Capitini, o
se non sia piuttosto necessario, cosa assai più difficile, fare come
diceva Leopardi, cioè portare la “filosofia”, il pensiero che
critica le religioni, tra il “volgo”, in modo che diventi senso
comune e alimenti l'onesto e retto conversar cittadino,
la giustizia e la
pietade. (S.L.L.)
Sono passati quasi
esattamente 1.600 anni da quando nell'impero romano agiva ugualmente
un pericoloso partito sovversivo. Esso minava la religione e tutte le
basi dello Stato; esso negava per l'appunto che il volere
dell'imperatore fosse la legge suprema; esso era senza patria,
internazionale; si estendeva in tutte le terre dell'impero, dalla
Gallia all'Asia, e al di là dei confini dell'impero. Esso aveva
fatto per un lungo periodo di tempo un lavoro segreto, sotterraneo,
di disgregazione; ma da parecchio tempo già si sentiva abbastanza
forte per mostrarsi alla luce del sole. Questo partito sovversivo,
conosciuto col nome di cristianesimo, era anche fortemente
rappresentato nell'esercito: intiere legioni erano cristiane. Quando
erano comandate a prestar servizio d'onore alle cerimonie dei
sacrifici della Chiesa di Stato pagana, i soldati sovversivi
spingevano la temerità sino a porre sui loro elmi in segno di
protesta dei distintivi particolari: delle croci. Persino le abituali
vessazioni di caserma dei superiori erano vane.
L'imperatore Diocleziano
non poté più assistere passivamente al modo come l'ordine,
l'obbedienza e la disciplina venivano minali nel suo esercito. Egli
prese misure energiche, mentre vi era cui cora tempo. Promulgò una
legge contro i socialisti, volevo dire contro i cristiani. Le
riunioni dei sovversivi vennero proibite; i loro locali vennero
chiusi o addirittura demoliti; i distintivi cristiani, croci, ecc.,
vennero proibiti come i fazzoletti rossi in Sassonia. I cristiani
vennero dichiarati incapaci a coprire cariche di Stato; essi non
potevano nemmeno essere caporali.
Siccome allora non si
disponeva ancora di giudici cosi ben addestrati alla «
considerazione delle persone », come li prevede il disegno di legge
del signor von Koller si proibì puramente e semplicemente ai
cristiani di domandar giustizia davanti ai tribunali. Anche questa
legge eccezionale rimase senza effetto. I cristiani la strapparono
dai muri per scherno; anzi, si dice che a Nicomedia essi avrebbero
incendiato il palazzo in cui si trovava l'imperatore. Allora questi
si vendicò con la grande persecuzione dei cristiani dell'anno 303
dell'era nostra. Essa fu l'ultima del genere. E fu cosi efficace che
diciassette anni dopo l'esercito era composto in gran maggioranza di
cristiani, e che il successivo autocrate di tutto l'impero romano,
Costantino, dai preti detto il Grande, proclamò il cristianesimo
religione dello Stato.
Da Marx ed Engels,
Scritti scelti, Editori
Riuniti, 1966
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