13.7.15

Maramaldeggiare (S.L.L.)

"Vile, tu uccidi un uomo morto". Così disse nel 1530 - secondo la tradizione - il capitano fiorentino Francesco Ferrucci al capitano calabrese Fabrizio Maramaldo, che dopo averlo sconfitto a Gavinana infieriva su di lui prigioniero, ammazzandolo brutalmente. Ne venne fuori il verbo maramaldeggiare, con il senso di "esercitare una violenza gratuita contro chi non ha difesa".
Della parola, della frase e dell'aneddoto, exemplum di retorica patriottarda, mi rammento tutte le volte che mi imbatto nella figura di Pietro Secchia, un comunista onesto, coerente e tutt'altro che chiuso, che nella storiografia ufficiale del PCI italiani passò per “stalinista ortodosso”, antagonista di Togliatti e ostile alla “via italiana al socialismo”, “ pacifica e parlamentare”, in nome dell'insurrezione popolare e della violenza rivoluzionaria. Ma la storiografia “ortodossa” (Paolo Spriano, per esempio) rispettò sempre la figura di Secchia e ne valorizzò il ruolo non solo nella Resistenza, ma anche negli anni più duri del “regime democristiano”, sottolineandone il responsabile comportamento da “pompiere” in quel luglio del 1948, quando l'attentato a Togliatti sembrava spingere la base comunista più legata alla lotta partigiana verso l'insurrezione armata.
Non così Simona Mafai nel libro del 1984, L'uomo che sognava la lotta armata: a poco più di dieci anni dalla morte di Pietro Secchia, “maramaldeggiava” su di lui, forse raccogliendo i rancori del suo compagno Giancarlo Pajetta, un capo comunista sempre irriso da Togliatti per uno scivolone “insurrezionalista” nell'estate del 1948, quando occupò manu militari la prefettura di Milano. La malevolenza contro Secchia, peraltro, ben si sposava al fiancheggiamento esplicito dei “miglioristi” di Giorgio Napolitano e alla fronda contro il segretario Alessandro Natta, nell'intenzione di far piazza pulita della berlingueriana “diversità” come della matrice “classista” e “rivoluzionaria”.
Più sottotraccia era stata l'ostilità a Enrico Berlinguer, il predecessore di Natta morto pochi mesi prima e di lui più popolare: Mafai trovò modo di “maramaldeggiare” anche contro costui, in un pamphlet del 1996, Dimenticare Berlinguer appunto.

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