Giuseppina Ciuffreda ci
ha lasciato pochi giorni fa. Era stata tra i fondatori del
“manifesto” (gruppo, rivista e quotidiano): negli anni successivi
con molto coraggio aveva tentato una sintesi non eclettica tra
comunismo, femminismo, ecologismo. A lungo è stata titolare della
rubrica Ambiente viziato, da
cui è tratto l'articolo che segue. Mi pare che ne documenti la
cultura ampia, l'intelligenza critica, la capacità di porre i
problemi fondamentali. (S.L.L.)
Contadini. Una foto di Walker Evans |
Mentre a Parigi sta per
esplodere la rivoluzione, in un piccolo villaggio inglese a sud-ovest
di Londra, un parroco ha appena pubblicato un libretto che diventerà
uno dei testi più diffusi in Gran Bretagna. “The Natural
History and Antiquities of Selborne” (1789) raccoglie le
lettere indirizzate dall’autore, Gilbert White, allo zoologo Thomas
Pennant e all’avvocato naturalista Daines Barrington, una miniera
di informazioni su flora, fauna, clima, abitanti, siti storici della
sua parrocchia. A differenza dei testi in voga all’epoca, ha
pochissime immagini ed è il frutto, e qui sta il suo valore, di
un’osservazione diretta, sul campo. È l’inizio di una scienza
naturalistica che esce dai laboratori tassonomisti.
White individua specie
nuove, mette in relazione, capisce il ruolo positivo del lombrico per
la fertilità del suolo, studia il comportamento, anche sessuale,
degli animali, in particolare degli uccelli, attento ai suoni e al
canto, con la curiosità e l’acutezza con le quali Jane Austen
penetrava nella natura umana del vicino piccolo mondo di Steventon.
La storia naturale di Selborne è ritenuto il testo pionieristico
della storia ambientale, una nuova disciplina, nata con i movimenti
ambientalisti negli anni Settanta, che riporta la natura nella
storia. La ricerca prende in esame diversi ambiti: i cambiamenti
lenti dei tempi biologici e le trasformazioni storiche; l’ecologia;
la sensibilità e le idee di natura; la conservazione e i movimenti
ambientalisti. Alfred Crosby, Jared Diamond, Richard Grove, Donald
Hughes con un manipolo di altri storici, Piero Bevilacqua in Italia,
hanno dato il giusto rilievo ai grandi passaggi tecnologici e
culturali dell’umanità che hanno mutato profondamente l’aspetto
fisico e l’equilibrio del pianeta - l’agricoltura nel neolitico,
il colonialismo e la rivoluzione industriale - seguendo le tracce
lasciate da un altro pioniere, George Perkins Marsh (Man and
Nature, 1864). In un colloquio avuto con lei mentre scriveva il
suo testo sulla rivoluzione ecologica nel New England, Carolyn
Merchant sottolineava ad esempio gli effetti negativi
dell’agricoltura imposta dai coloni inglesi che soppianta la
gestione femminile in sintonia con l’ambiente regionale.
Quando la natura entra
nelle discipline, modifica la prospettiva con cui gli avvenimenti
sono stati osservati in precedenza. In un testo utile per capire
tante crisi contemporanee, “Dust Bowl: the Southern Plans in the
1930s”, Donald Worster racconta le tempeste di sabbia che negli
anni Trenta hanno flagellato le grandi pianure statunitensi,
provocando quell’esodo di milioni di contadini verso gli stati
vicini seguito da Steinbeck in Furore, fotografato da Dorothea
Lange e Walker Evans. Non furono un inaspettato fenomeno naturale,
sostiene, ma la conseguenza di un’imprevidente forzatura
sull’ambiente: l’aver sviluppato un’agricoltura industriale,
che impoverì ancora di più il suolo, in una regione non adatta, da
sempre arida, poco piovosa. Una siccità più forte e lunga, il vento
e il terreno eroso provocarono la polvere. Non ci fu raccolto, i
contadini non riuscirono a pagare i debiti contratti con le banche
che li avevano incoraggiati ad abbandonare la piccola agricoltura, e
le banche si presero la terra e le aziende. Nella Grande Depressione
le erronee politiche economiche ed ecologiche giocarono dunque un
ruolo centrale.
“il manifesto”, 24
dicembre 2011
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