12.7.15

L'interdetto, l'amalgama e il controllo dell'oblio. (Franco Fortini)

Da un ampio scritto di Franco Fortini sulla memoria, attualissimo pur risalendo al 1982, riprendo un brano che mi pare assai denso e profondo. (S.L.L.)

Anni fa, quando mi chiedevo come fosse stato possibile che, nella prima metà degli anni Trenta, dei genitori antifascisti fossero stati — non sempre ma spesso — incapaci di spiegare ai loro figli adolescenti che cosa era stato il regime prefascista (ed erano trascorsi poco più di dieci anni dalla Marcia su Roma) lo attribuivo al desiderio di rimuovere un passato sgradevole o di preservare i figli da possibili rischi. Non mi rendevo conto che a quella rimozione si aggiungeva la nostra complicità di adolescenti, un non voler saper la realtà in termini adulti, dunque un rifiuto di crescere.
Sgomenta il peso delle questioni che la nozione di memoria (storica e personale) porta alla luce. Ad esempio, sono bastati gli ultimi sei o sette anni di terrorismo, di politica della unità nazionale e di inflazione e di scandali (aggiungi le interpretazioni dei maggiori eventi mondiali, proposte dalle ideologie dominanti) perché interi blocchi di problemi venissero rimossi e considerati inesistenti non pochi sperimentati principi di interpretazione. (In simili operazioni di sgombero quel che mi stupisce sempre è la fretta, la rozzezza e l’eccesso di zelo.) Ecco perché è assolutamente impossibile, oggi, trasmettere a chi ha diciotto anni una qualche verità non convenzionale su quello che da loro dista appena un decennio (il periodo 1962-1972), quando i loro padri, oggi smarriti o rassegnati quarantenni, li issavano sulle spalle nelle manifestazioni per il Vietnam. E di quella incapacità siamo colpiti noi medesimi che la lamentiamo. Come mille volte è stato rappresentato dal teatro comico, finiremo col credere che le cose siano andate in modo diverso dal vero. E che altre siano state le nostre convinzioni da quelle che, giuste o sbagliate, furono veramente.
Sappiamo come si fa a dimenticare e a far dimenticare. Il controllo dell’oblio, ci dice Le Goff, è uno dei più spietati strumenti del potere. Ne sanno qualcosa anche gli odierni cittadini degli Imperi. L’interdetto della memoria — questa affascinante istituzione che varia di età in età e di tirannia in tirannia, fino a noi — non opera mai da solo, ha bisogno di un’altra istituzione sorella, il cui nome risale alla rivoluzione giacobina: l’amalgama. Con il principio dell’amalgama, soprattutto se introdotto o coltivato dalla legislazione, si possono estendere criminalizzazione e ostracismo a strati sempre più vasti. L’importante è che, anche se in minima misura, ognuno sia colpevole o colpevolizzabile; dunque bisognoso di dichiararsi «uomo» di qualcuno, di chiedere una qualsiasi protezione. Così si controlla il consenso (ma si rende irriducibile il dissenso).
Questo processo di asservimento, generalizzato mediante l’attenuazione, la dormienza o la scomparsa delle garanzie giuridiche, non sarebbe possibile se non ci fosse, come si è detto, l’oblio indotto, che appoggia e, come può, fomenta la resistenza «naturale» del figlio a conoscere la storia sua e dei suoi. Non è un caso che nelle grandi e vere rivoluzioni padri e figli combattano fianco a fianco. Né che in tanti miti la rivelazione della storia prenatale faccia scattare nell’eroe il passaggio alla auto-coscienza e alla maturità. Negli anni Sessanta i giovani rifiutarono le forme nelle quali i padri avevano mummificata la resistenza e andarono a cercarsi altrove, in Vietnam o a Cuba, una storia «paterna»; in Germania, il rifiuto dei padri avvenne invece come scoperta dell’orrore nazista che quelli avevano voluto seppellire nell’oblio. La sola veramente traumatica è, sempre, la storia cui dobbiamo la nascita.


Da Perché non vogliamo ricordare sul “Corriere della Sera”, 24 febbraio 1982 poi in Insistenze, Garzanti, 1985 - con il titolo Il controllo dell'oblio.

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