Un sistema (omicida) che tutti
conoscono ma nessuno denuncia
Guadagnano venticinque euro al giorno.
Raccolgono pomodori e angurie, chini per dodici ore sotto il sole
cocente. Arrivano dall’Africa sui barconi in cerca di libertà e
finiscono a lavorare come schiavi nei campi del Salento. A una
manciata di chilometri da spiagge affollate e discoteche, dai porti
in cui sono ormeggiati gli yacht dei miliardari e dagli stabilimenti
balneari in cui i giovanissimi di mezza Italia trovano il paradiso
del divertimento. Per i migranti impiegati come stagionali nelle
aziende agricole di Nardò e del suo hinterland a poca distanza da
Lecce, invece, Salento è sinonimo di inferno.
Dramma che ogni anno ritorna puntuale
come l’estate e si concretizza grazie a una rete di silenzi
istituzionali e connivenze. Delle aziende agricole in primis.
Come raccontano i numeri della stagione 2014, che parlano di 152
contratti di lavoro regolari registrati alle liste di collocamento a
fronte di una presenza di almeno 500 immigrati. Per la maggior parte
di loro il lavoro è un favore concesso dal caporale di turno, che
mette insieme le sue squadre e ogni mattina fa la spola tra i
casolari diroccati per raccogliere i braccianti e portarli sui campi.
Ai “capi neri” bisogna pagare tutto: l’affitto del posto letto
(circa 200 euro a stagione) su materassi poggiati a terra in
strutture fatiscenti prive di servizi igienici dove la doccia si fa
con le taniche riempite alla stazione di servizio e i bisogni
corporali sotto gli ulivi, il passaggio in auto verso il posto di
lavoro (5 euro), il cibo per il giorno (4 euro per un panino e due
bottigliette d’acqua) e quello per la sera (altri 4 euro ai
ristoranti completamente abusivi nei casolari). Al tramonto a chi
guadagna 20-30 euro al giorno, non restano che pochi spiccioli. E la
paura di non essere richiamati il giorno successivo. E di dover
sopportare soprusi e vessazioni da parte di quegli intermediari che
tre anni fa finirono in carcere e oggi sono di nuovo a Nardò, a
fungere da anello di congiunzione tra aziende agricole che vogliono
risparmiare sulla manodopera per incrementare i profitti e disperati
che vagano da una parte all’altra dell’Italia seguendo il ritmo
delle stagioni e delle colture.
I sudanesi, tunisini, ghanesi, algerini
che ogni anno tornano in Salento sono gli stessi che transitano dalla
porta di Lampedusa, d’inverno lavorano in Calabria, nella Piana di
Gioia Tauro o nella Sibaritide per la raccolta delle arance, e poi si
spostano nel Foggiano per caricare i camion di pomodori. Schiavi in
ogni angolo della Penisola, senza tutele e senza diritti. Soprattutto
senza santi protettori nei palazzi del potere.
La Cgil – che insieme ad associazioni
di volontariato da anni si batte per portare la situazione nell’alveo
della legalità e dell’umanità – punta il dito contro
macroscopiche omissioni “da parte degli organi ispettivi della
Direzione territoriale del lavoro, dell’Inps e delle forze
dell’ordine, che attuano controlli inadeguati e insufficienti”.
Accertamenti scarsi e in più di un’occasione annunciati
preventivamente agli imprenditori (come dimostrano le intercettazioni
di un’inchiesta condotta dalla Procura di Lecce qualche anno fa),
che hanno tutto il tempo di nascondere situazioni di eventuale
illegalità. Dopo le pressioni degli anni scorsi, seguite alla
rivolta dei braccianti del 2011, i tentativi di regolamentazione del
mercato del lavoro hanno sortito effetti apparentemente positivi con
l’introduzione delle liste di prenotazione, a cui le ditte
dovrebbero attingere per assumere manodopera regolare, e la firma di
un Protocollo sulla raccolta dei prodotti stagionali tra sindacati e
associazioni datoriali. In teoria conquiste importanti per i
braccianti, nella pratica poco più che pezzi di carta,
sistematicamente ignorati dagli imprenditori che regolarizzano solo
una parte dei migranti per mostrare una parvenza di regolarità
all’atto del controllo e impiegano gli altri completamente in nero.
Senza garanzie e senza tutele.
E, da quest’anno, senza nemmeno la
parvenza dell’assistenza sanitaria che nelle scorse stagioni veniva
fornita dal camper di Emergency in virtù di una convenzione con la
Regione Puglia. Nel 2015 niente firma e dunque niente medici nei
campi. Solo volontari che provano a tappare le falle di un sistema
che non funziona. Nel quale tutti sanno e nessuno denuncia.
Narcomafie, 22 lug 2015
http://www.narcomafie.it/2015/07/22/il-caporalato-quel-sistema-omicida-che-tutti-conoscono-ma-nessuno-denuncia/#sthash.pQWXMk5v.dpuf
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