Gian Maria Volonté, in prima fila a destra, nel film "Sacco eVanzetti" (Giuliano Montaldo) |
C'è un episodio, nella
lunga vita artistica di Gian Maria Volonté, che ben rappresenta la
grandezza dell'uomo e dell'attore, un episodio narrato dal regista
Giuliano Montaldo che diresse Volonté in due film fondamentali per
la sua carriera cinematografica: Sacco e Vanzetti, e Giordano
Bruno. Il regista racconta la preparazione e l'esecuzione di una
scena che a mio avviso esprime uno dei punti più alti delle decine e
decine di straordinarie interpretazioni di Gian Maria Volonté:
quella della dichiarazione d'innocenza che Bartolomeo Vanzetti
rilasciò prima della requisitoria conclusiva che portò alla
condanna (e alla successiva esecuzione) dei due anarchici, da parte
del giudice Webster Thayer. Dice Montaldo: “In genere Gian Maria si
preparava così tanto, che quasi sempre era buona la prima, girata.
Facendo la prova con lui sulla sua difesa in Sacco e Vanzetti,
come la diceva Gian Maria... io ascoltavo come il senso di una grande
romanza. E allora gli dissi: guarda Gian Maria, io la faccio tutta
unita, non faccio stacchi, farò un leggero movimento di macchina
indietro, ma tu devi sentirti libero e non vincolato agli attacchi,
gli stacchi, ma che sia tutta la produzione [al servizio] della tua
classe di attore, del tuo temperamento. La prova che fece fu
esemplare, e quindi era pronto. Abbiamo girato a Roma, e le due
guardie alle sue spalle erano due generici romani, con la faccia
giusta. [...] E allora, lentamente il carrello va indietro, alla
prima era perfetta, e scopro che c'è la guardia che piange. STOP! Ma
tu piangi... A me, me commuove questo!”
In questo breve ricordo
di Giuliano Montaldo compaiono due elementi della gigantesca figura
di Gian Maria: la maniacale professionalità che lo portava a uno
studio quasi ossessivo del soggetto da interpretare e l'estrema
capacità dell'attore di creare emozioni forti, dirompenti, di
entrare nel personaggio tanto da portare lo spettatore durante la
visione del film, ma anche dopo, a una totale identificazione,
visiva, mnemonica, del rappresentante con il rappresentato.
Nell'immaginario collettivo Vanzetti ha ormai la faccia di Volonté,
così come Giordano Bruno, e Enrico Mattei, Lucky Luciano, il bandito
Cavallero; sfugge a questa sovrapposizione solo il viso di Aldo Moro,
da Volonté egregiamente interpretato in due film (Todo modo di Elio
Petri e Il caso Moro di Giuseppe Ferrara), ma solo perché l'immagine
reale del segretario della Democrazia Cristiana ucciso dalle Brigate
Rosse è ancora viva proprio per la diffusione mediatica legata alle
vicende della sua tragica morte.
Gian Maria Volonté era
noto per avere una personalità difficile, un umore dai repentini
sbalzi, un carattere ombroso, e forse queste sue peculiarità
derivavano da quell'infanzia dura, in alcuni momenti drammatica –
inserita nel dramma ancor più vasto, di un'intera nazione – e da
una vita personale di cui non amava affatto parlare. Gian Maria
Volonté nasce a Milano il 9 aprile 1933 in un'agiata famiglia
lombarda. Nel 1939 nasce suo fratello Claudio. Il padre del piccolo
Gian Maria, nel 1944 costituisce la Brigata Nera di Chivasso e
durante un'azione di rastrellamento di partigiani, ne uccide due e ne
ferisce un altro. Questo episodio gli costerà, nel '46, una condanna
a trent'anni di reclusione e l'esclusione dall'amnistia. Morirà in
carcere. Gian Maria, che non può certo definirsi uno studente
modello, a tredici anni si ritira da scuola e decide di cominciare a
lavorare. A sedici anni emigra in Francia (lavora come raccoglitore
di mele) dove scopre la passione per la lettura (i francesi Sartre e
Camus, Pavese, e i grandi della letteratura americana). Tornato in
patria frequenta l'ambiente del teatro e inizia a girare l'Italia con
I carri di Tespi, compagnia itinerante che batteva la provincia
italiana mettendo in scena un vasto repertorio di commedie popolari.
Qui svolge la più dura delle gavette, visto che prima di poter
calcare il palcoscenico, all'inizio con parti di poco conto poi da
protagonista, deve svolgere ogni necessario lavoro, dall'aiutante di
scena, al segretario, al trovarobe.
L'anno di svolta nella
vita di Volonté è il 1954, quando varca la soglia dell'Accademia di
Arte Drammatica. Degli anni di studio in accademia, Glauco Onorato,
suo compagno di corso, racconta: “Alcuni di noi si sono resi subito
conto che avevamo a che fare con un giovane di grande talento, già
di partenza, anche se lui aveva un carattere chiuso, piuttosto
ombroso, ma io ho anche capito il motivo per cui... perché lui,
poverino, se la passava malissimo, non aveva borsa di studio e di
conseguenza non sapeva come vivere. Devo dire che qualche volta
dormiva addirittura nelle macchine, quelle che trovava aperte lì a
Piazza della Croce Rossa. La mattina, poi, quando andavamo in
accademia, io a volte lo andavo a svegliare, lo tiravo fuori e
andavamo al Bar della Gazzella a fare colazione, cappuccino e
cornetto”. Da lì i primi successi in teatro, la televisione e la
meritata fama nel cinema. Ma l'esistenza di Volonté ha conosciuto
pochi momenti di serenità. Nel 1977 il fratello Claudio, anch'egli
attore, con il quale Gian Maria ha sempre avuto un rapporto
difficile, una sera, dopo aver bevuto, armeggiando con un coltello,
senza volerlo uccide un suo caro amico. Inspiegabilmente la stampa
scandalistica coinvolge in questo dramma il noto attore. Claudio, in
carcere in attesa di giudizio, s'impicca alle sbarre della cella.
Nella primavera del 1980, poi, Gian Maria Volonté scopre di avere un
tumore e si sottopone a un'operazione da cui uscirà senza un
polmone.
Come dicevo, non proprio
un'esistenza tranquilla e serena, quella del grande attore, che in
parte spiega alcuni suoi tratti caratteriali. Di contro, Gian Maria
Volonté era dotato di qualità che lo rendevano, a detta di tutti
quelli che lo hanno conosciuto, un grande uomo oltre che il grande
attore che sappiamo. L'impegno in prima persona, la prassi
quotidiana, il “metterci la faccia”, erano per lui elementi
imprescindibili del suo mestiere d'attore e la visione chiara e
semplice di questo suo coinvolgimento è impressionante: “Essere
attore è una questione di scelta che si pone innanzitutto a livello
esistenziale: o si esprimono le strutture conservatrici della società
e ci si accontenta di essere un robot nelle mani del potere, oppure
ci si rivolge verso le componenti progressiste di questa società per
tentare di stabilire un rapporto rivoluzionario tra l'arte e la vita”
dice durante un'intervista del 1984.
Altro tratto distintivo,
conseguente al primo, era la coerenza, che riusciva a portare fino ai
più estremi effetti. Volonté era capace tanto di lottare per
questioni, ad esempio, quali la sovrapposizione voce/volto, dunque
contro il doppiaggio che a suo dire snaturava, creava una frattura
nell'interpretazione dell'attore, quanto di scioperare sul set di un
film perché il “cestino delle pause pranzo” dei tecnici e degli
operai fosse uguale a quello degli attori e del regista. Per non
parlare di quando rinunciò, dopo aver dato il suo assenso e avere
addirittura iniziato le riprese, a quella grossa produzione
cinematografica che nel 1968 rappresentava Metti una sera a cena, per
la regia di Giuseppe Patroni Griffi. “Non voglio diventare
strumento nelle mani di persone che perseguono interessi che non sono
i miei” affermò all'epoca, lasciando tutti di stucco.
Come non parlare poi
della profonda amicizia di cui era capace, un'amicizia che lo portò
a rischiare persino la propria libertà, come nel caso dell'espatrio,
o meglio della fuga in Francia di Oreste Scalzone, leader di
Autonomia Operaia coinvolto nelle inchieste sugli anni di piombo e
“accompagnato” prima in Sardegna e poi in Corsica proprio da
Volonté, a bordo della sua barca a vela, la Arzachena. Per non dire
dell'amicizia per il suo collega Ennio Fantastichini, in nome della
quale rinunciò a partecipare al film Lamerica di Gianni Amelio, nel
quale egli aveva il ruolo del protagonista, solo perché la parte di
Fantastichini, inizialmente fondamentale nella vicenda narrata, era
stata ridimensionata fin quasi a relegare l'attore a un ruolo di
comparsa.
Ma non vorrei che queste
sue importanti caratteristiche, l'impegno, la coerenza, la capacità
di amicizia che lo rendevano come detto un grande uomo, mettessero in
secondo piano ciò che Gian Maria Volonté era: un validissimo
attore, per me il più bravo di tutti, senza voler mancare di
rispetto agli altri grandi nomi che il cinema italiano ha espresso.
Nessuno come Volonté è
stato così eclettico, capace di interpretare una serie di personaggi
tanto diversi tra loro, di penetrare e rendere in modo così incisivo
il carattere del bandito messicano, del poliziotto con delirio di
onnipotenza, dell'intellettuale in esilio, del militare ribelle alle
gerarchie, del giornalista consapevolmente strumento di
disinformazione, del mafioso, del sindacalista, dell'operaio
sfruttato e vittima di un ingranaggio che lo stritola, dell'anarchico
già condannato prima che il processo cominci.
Nessuno come Volonté è
stato capace di imporsi, con il suo ruolo di attore nella storia da
raccontare, pretendendo di interagire continuamente con il regista
(fino ad arrivare, in qualche caso, a veri e propri momenti di
rottura), senza mai rinunciare al suo apporto nei dialoghi, nello
svolgimento delle vicende, aggiungendo, togliendo, proponendo e in
qualche modo modificando la resa finale, sempre con ottimi risultati,
sembra di poter dire.
La testimonianza
del vice-questore
Nessuno come Volonté è
stato così alla ricerca della perfezione, in modo quasi maniacale,
arricchendo continuamente la sua tecnica di appropriazione del
personaggio da interpretare. “Lavoro sui miei personaggi come chi
svolge un'inchiesta, e raduno tutta la documentazione possibile. Mi
preparo dunque su un piano giornalistico, più che drammatico, usando
lo stesso materiale usato dagli sceneggiatori. [...] Passo in seguito
a una preparazione critico-analitica sul personaggio, sulla sua
psicologia: il che mi porta a determinare l'atteggiamento generale
che devo tenere nel film. Infine subentrano i rapporti dialettici
normali tra l'attore e il regista: discutiamo fino a raggiungere
insieme la visione del problema da risolvere, beninteso lasciando a
chi dirige l'ultima decisione in merito”. (da Venti e una voce
per Gian Maria Volonté, di Aurelio Minnone, in Un attore
contro. Gian Maria Volonté, a cura di Franco Montini e Piero
Spila, Rizzoli 2005).
Con queste parole Gian
Maria Volonté lascia intendere che la costruzione del personaggio è
qualcosa di graduale e costantemente in evoluzione, il carattere
viene plasmato e prende forma nella ricerca di informazioni nuove,
nella ripetizione dei gesti fino a sentirne la naturalezza, nella
scoperta minuziosa di particolari per altri ritenuti superflui, un
tic facciale, un modo di camminare, di sorridere, un'inflessione.
“Ricordo i suoi
quaderni” racconta il regista Giuliano Montaldo. “Lì, scriveva a
mano le battute (non solo le sue, quelle dell'intero copione, nda).
Poi le annotava una seconda volta su un altro quaderno con dei segni
rossi. Poi su un altro quaderno ancora, aggiungendo altri segni blu.
Alla fine componeva una specie di spartito musicale, dove erano
evidenziate le sospensioni, le pause, le diverse modalità di
interpretazione di una parola. Molte battute semplicemente sparivano,
perché erano sostituite dall'intensità del suo sguardo, che era più
eloquente di mille frasi”. (Un uomo contro, un attore geniale.
Francesco Rosi/Giuliano Montaldo/Felice Laudadio, cura di Federico
Pontiggia, in Micromega6/2010). In un'intervista Volonté aggiunse
che l'ultimo atto di quell'accurata opera di appropriazione del
personaggio consisteva nella trascrizione, a memoria, su un ultimo
quaderno, di tutte le parti, dopo la completa metabolizzazione
dell'opera.
Ma per capire quanto
queste tecniche, come vedremo in alcuni momenti degne quasi di uno
studio psicanalitico, fossero indispensabili per la riuscita del
film, credo che sia opportuno lasciare la parola ai suoi compagni di
lavoro, attori, sceneggiatori e registi, con aneddoti e testimonianze
dirette, sul campo.
Racconta Ugo Pirro,
sceneggiatore di numerose e importanti pellicole interpretate da
Volonté (Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto,
La classe operaia va in paradiso, A ciascuno il suo,
Todo modo), che durante la lavorazione di A ciascuno il
suo, girato in Sicilia, e precisamente a Cefalù, a un tratto
Volonté sparì dalla circolazione mettendo in grande agitazione
l'intera troupe, impossibilitata a girare. L'attore fu rintracciato
nel bel mezzo di un crocchio di pescatori del luogo, come loro
vestito, perfettamente a suo agio e soprattutto completamente calato
nella parte tanto da non poter essere immediatamente identificato
dalle persone sguinzagliate dal regista alla sua ricerca.
Per girare Banditi a
Milano, il regista Carlo Lizzani chiamò, in qualità di consulente,
il vice questore Ernesto Panvini – poliziotto che concorse alla
cattura di un membro della banda che attuò la tragica e sanguinosa
rapina del 25 settembre 1967 a Milano – il quale affiancò Gian
Maria Volonté e lo vide all'opera nella costruzione del personaggio
chiamato a interpretare: quello del bandito Pietro Cavallero.
Racconta Panvini: “Mi colpì la professionalità di questo signore,
il quale mi sottopose a degli interrogatori veramente
approfonditissimi. Insomma, io che di solito ero additato come uno
che stava lì a spaccare il capello in quattro, non ero nessuno al
suo confronto. Io non credevo che all'epoca, un attore fosse
costretto a studiare così intensamente, così attivamente, non solo
la vita, il modo di agire delle persone che doveva interpretare, ma
anche, come dire, le cose più intime, anche le sensazioni che questi
esseri provavano”.
Da Ennio Fantastichini
giunge una testimonianza a dir poco sbalorditiva. Narra l'attore che
durante le riprese del film Porte aperte di Gianni Amelio –
uno dei tanti lavori tratti da opere di Leonardo Sciascia
interpretati da Volonté – egli tentò in più di un'occasione di
incontrare e salutare quello che sinceramente reputava un vero
maestro e sul quale riversava un'ammirazione quasi sconfinante in una
sorta di venerazione. Volonté, per tutta la realizzazione della
pellicola, trattò sempre con molta freddezza, anzi con manifesta
ostilità il suo giovane collega, gettando quest'ultimo nello
sconforto, incapace come era di comprendere la ragione di tanta
avversione. Una volta terminate le riprese, Fantastichini ricevette
del tutto inaspettatamente una telefonata di Gian Maria Volonté, il
quale molto cordialmente lo invitava a casa sua per una cena. Nel
corso della piacevole serata venne a galla il motivo del
comportamento scostante del vecchio attore. “Adesso possiamo
diventare amici” disse Volonté a uno sbigottito Fantastichini.
“Prima non potevamo, perché eravamo antagonisti nel film”.
Sulla stessa lunghezza
d'onda la testimonianza del regista Giuliano Montaldo quando riporta
alcuni comportamenti di Volonté sul set di Sacco e Vanzetti, nel
quale risulta ancor più evidente la sovrapposizione tra vita reale e
vita catturata da una macchina da presa, tra la persona Volonté e il
personaggio interpretato, transfert che, ripeto, potrebbe
tranquillamente essere oggetto di un caso clinico in psicoanalisi:
“Lui viveva molto intensamente i personaggi interpretati e
continuava a vestire quei panni anche nei momenti di pausa nelle
riprese, anche lontano dal set. Insomma diventava quello che doveva
essere, e credo che, alla ricerca della perfezione, si sia consumato
dentro i suoi personaggi. Ricordo che durante la lavorazione di Sacco
e Vanzetti, Volontè interpretava il ruolo di Vanzetti, ovvero il più
forte e deciso dei due anarchici italiani. Come il personaggio nel
film cerca di proteggere e si prende cura di Sacco, così Gian Maria
aveva nei confronti di Riccardo Cucciolla un atteggiamento molto
protettivo”. (da Non gli piacevano i cineasti, di Giuliano
Montaldo, in Un attore contro. Gian Maria Volonté, a cura di
Franco Montini e Piero Spila, Rizzoli 2005).
Gian Maria Volonté in "Uomini contro" (Francesco Rosi) |
In mare aperto
Di episodi del genere se
ne potrebbero citare a centinaia, perché ad ogni film si ripeteva la
maniacale ricerca della perfezione, come nella camminata di Enrico
Mattei ne Il caso Mattei, nel sorriso/ghigno diabolico di
Lucky Luciano nel film omonimo (di questo personaggio Francesco Rosi
racconta due aneddoti molto significativi: un ergastolano – al cui
cospetto viene portato Volonté in veste del noto mafioso – che
alla vista dell'attore sviene di schianto nella sua cella; l'ultima
amante di Luciano, oramai anziana, che alla vista di Volonté, che
sul set si muove nei panni del boss, esclama, colpita: E' isso!),
nelle fattezze dure del viso del commissario in Indagine su un
cittadino al di sopra di ogni sospetto, ottenute applicando dei
pezzetti di carta igienica arrotolata tra gengiva e interno del
labbro superiore...
Gian Maria Volonté ci
lascia il 6 dicembre 1994, a Florina in Grecia, durante le riprese
del film Lo sguardo di Ulisse, di Theo Angelopulos. Così il
regista greco, che fu il primo a scoprire il corpo esanime di
Volonté, ricorda le ultime ore dell'attore: “Abbiamo preso un
autobus per arrivare a Florina, passando per Scopje. Gian Maria è
seduto in fondo all'autobus, da solo in ultima fila. Beveva e
cantava. Io penso che abbia cantato tutte le canzoni che conosceva,
da 'Avanti o popolo alla riscossa, bandiera rossa', ho sentito tutte
le canzoni che io conoscevo della sinistra italiana. Ma credo che ci
fosse qualcosa che non era vera gioia. Sembrava come un addio...”.
A me piace pensare che
Gian Maria Volonté si sia solo assentato temporaneamente, per
studiare a fondo il personaggio che forse più di tutti gli sarebbe
piaciuto interpretare: quello dell'uomo finalmente libero, del
marinaio che salpa e va in mare aperto a bordo della sua barca, sulla
cui vela sono stampati i versi di Paul Valery, che ama recitare a
squarciagola nel vento. Le vent se lève... II faut tenter de
vivre! / L'air immense ouvre et renferme mon livre, / La vague en
poudre ose jaillir des rocs! / Envolez-vous, pages tout éblouies! /
Rompez, vagues! Rompez d'eaux réjouies / Ce toit tranquille où
picoraient des focs! (S'alza il vento... Bisogna osar di vivere!
/ L'aria immensa apre e chiude il mio quaderno, / Fra le rocce osa
l'onda, e si frantuma! / Volate via, pagine accecate! / Rompete,
flutti, di festose ondate, / Quel quieto tetto in cui beccavan
fiocchi!)
A rivista anarchica anno
45 n. 399 giugno 2015
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