“Regime reazionario di massa”. L’espressione paradossale fu usata negli anni Trenta da Togliatti, nelle sue Lezioni sul fascismo. Coglieva una contraddizione intrinseca del Regime: esso da una parte consolidava i privilegi delle classi proprietarie e impediva agli operai e ai proletari ogni libertà di organizzazione e di lotta, ma dall’altra aveva bisogno di irreggimentare e, all’occorrenza, mobilitare le “masse”, di estendere il dominio dalla vita pubblica alla vita privata. In questo i “regimi” del Novecento (il fascismo e il nazismo più del falangismo) rivelavano la loro modernità e si mostravano diversi dalle forme tradizionali di reazione autoritaria, militarista e poliziesca del passato. Quelli escludevano con la forza i ceti popolari da ogni partecipazione politica e ne favorivano una totale atomizzazione e passivizzazione; il fascismo invece, se bloccava con la violenza il farsi “classe” degli operai e dei proletari, li integrava come singoli e come gruppi nella “totalità” della “Nazione” attraverso le corporazioni e il dopolavoro.
Momento fondamentale della direzione delle masse erano le grandi manifestazioni, nelle quali si realizzava un rapporto diretto tra il “capo” e il “popolo”, un rito collettivo di identificazione in cui era importante anche la quantità. “Il numero è potenza” – era la frase del Duce utilizzata come slogan per la campagna demografica, per spingere gli italiani a prolificare. Ma vale a comprendere anche il significato delle “adunate oceaniche” davanti a palazzo Venezia e la loro moltiplicazione nelle città e nella provincia in occasione delle visite del Duce o surrogando la sua presenza fisica con l’amplificazione dei discorsi radiofonici o la proiezione dei Film Luce. L’“essere in tanti” dà a chi partecipa un’impressione di forza, come è ben evidente anche in movimenti collettivi progressisti e di sinistra; la differenza è che nelle autocrazie totalitarie (stalinismo incluso) il rapporto di ciascuno con gli altri non è mai diretto, ma mediato dal “capo”, il demiurgo, l’artefice che dà “forma” oltre che forza a una massa di per sé informe oltre che inerte.
Il berlusconismo, seppure in linea con questa tradizione, presentava un grande elemento di novità connesso alle sue origini telecratiche. Le organizzazioni di massa, come pure le adunate oceaniche, non sembravano più necessarie, visto che a plasmare ideologicamente il “pubblico” era la scatola maledetta che entra nelle case e s’insinua nelle teste, con lo stesso meccanismo di persuasione e di imbonimento che presiede alla pubblicità. Da qui il disprezzo dei berlusconidi per i partiti strutturati e per le organizzazioni di massa, ritenuti strumenti arcaici ed obsoleti, praticamente inservibili.
Il “piazzista”, insomma, non ha mai avuto bisogno di grandi spazi all’aperto e della connessa numerica potenza: gli bastava e gli avanzava la piazza mediatica. Del resto con un'azzeccata sceneggiatura era sempre possibile mostrarlo tra folle osannanti e sottolineare così l’inscindibile legame con il popolo minuto. Tutto ciò gli consentiva di irridere sprezzante le grandi piazze della sinistra. Al tempo di Cofferati, quando masse di lavoratori e cittadini riempirono spazi enormi attorno al Circo Massimo, il Cavaliere si permise di dire:“E se anche fossero un milione? Vuol dire che 57 milioni di italiani sono rimasti a casa!”.
E’ solo agli inizi del secondo governo Prodi, quando era in evidente difficoltà, che l’ometto di Arcore si pose il problema della piazza e indisse una manifestazione centrata su presunti brogli elettorali della sinistra (proprio mentre lui stava al governo e controllava ministeri e prefetture!). I suoi giornali e le sue televisioni parlarono di un successo e la piazza fu effettivamente riempita, ma assai al di sotto delle cifre che si sparavano. Oltre tutto mancò l’apporto dell’Udc, il che segnalava una grave debolezza politica. Si parlò allora di un declino di Berlusconi almeno fino a quando non concorsero a rilanciarlo le ricorrenti tensioni nel centrosinistra e l’aiuto del “buon Veltroni”. Dopo il discorso del “predellino” perfino Fini lo aveva spernacchiato. La sua arma segreta furono invece l’entusiasmo del neosegretario del neonato Pd e la stupidissima dichiarazione di costui: “Correremo da soli”.
Tornato trionfalmente a palazzo Chigi il Cavaliere sembrava avere dalla sua parte anche le emergenze, che inevitabilmente spingono a cercare la protezione del governo: dal crac finanziario mondiale al terremoto. Ma nonostante il tentativo di rappresentare un’Italia felice e contenta, anche citando stravaganti cifre di stravaganti sondaggi, la crisi morde soprattutto alcuni elettori-tipo di sua Emittenza: la casalinga di Voghera o il pensionato di Centuripe che escono poco di casa e si informano solo attraverso la Tv. Di fronte al figlio senza lavoro e ai soldi che non bastano, la credibilità delle favole di Emilio Fede vacilla. Al Cavaliere restano fedeli il pizzaiolo, il bottegaio, il meccanico a cui, da capo del governo, aveva permesso la grande rapina dell’euro, il sostanziale raddoppio dei prezzi. Ma quanto durerà la gratitudine se non ci sono più clienti?
Gli ultimi eventi, d'altra parte, hanno fatto crescere il sospetto che Berlusconi non sia solo un magnate birichino che ama circondarsi di belle ragazze e trombare qualche escort, ma che intorno a lui sia cresciuta una cricca di ladroni che, nel vivo della crisi, si ingrassa delle disgrazie altrui. Pertanto non gli basta più scatenare la canea contro i magistrati persecutori, i pubblici dipendenti inevitabilmente assenteisti, i marocchini che spacciano, gli zingari che rubano, i negri che violentano. O suscitare l’odio verso i politicanti e i sindacalisti (sempre e solo di sinistra) che s’arricchiscono senza avere fatto un tubo nella vita. Al Nord gli umori di destra restano dominanti, ma sembrano orientarsi verso il “sano” e organizzato razzismo dei leghisti, che, pur coinvolti nel “magna-magna” delle doppie e triple cariche, riescono a rimanere fuori dagli scandali più grossi e accrescono il consenso con una costante attenzione al territorio. Da ultimo la ridicola figura in occasione della presentazione delle liste ha colpito il Cavaliere nell’aspetto della sua immagine pubblica a cui sembrava più tenere, quello dell’efficienza. Tutto dunque lascia prevedere un aumento dell’astensionismo che colpisce più il Pdl che il centrosinistra e uno spostamento di consensi di destra verso la Lega al Nord e anche al Centro.
La manifestazione di piazza di sabato scorso era un risposta, tra l’obbligato e il disperato, a questa situazione. Berlusconi si illudeva che tra precettazioni e rimborsi avrebbe fatto il pienone e che ciò gli avrebbe consentito di uscire dall’angolo. La manifestazione è fallita, né bastano a darle forza le incredibili e stupide contumelie verso il questore o promesse assurde come quella di “sconfiggere il cancro in tre anni”. Senza un partito organizzato le manifestazioni falliscono. E, alla fine del giro, si perdono anche i voti. Ha roteato il coltello nella piaga Bossi che ha detto:“Io potevo portarne a Roma dieci milioni, ma ho preferito lasciarli a casa”. Insomma, il Cav è indebolito e le prossime elezioni, comunque vadano, per lui andranno male. Se anche i suoi vincessero in tutte le Regioni dove c’è partita, e non succederà, le elezioni al Nord gliele vincerebbe Bossi e a Roma gliele vincerebbero i preti.
Tutto questo non può consolare le persone di sinistra. Di questa debolezza, infatti, stanno approfittando la Confindustria e tutto il padronato per ottenere un mutamento di regime sociale attraverso continui, ripetuti e silenziosi colpi di stato: sui contratti nazionali di lavoro, sui licenziamenti eccetera eccetera. Se si leggono gli organi ufficiali di questo mondo, il “Corsera” e il “Sole 24 Ore”, verso Berlusconi si avverte una certa freddezza, ma non una vera presa di distanza: è il classico “va avanti tu che a me viene da ridere”; ed è anche un cinico passare all’incasso di tutto l’incassabile. Nell’ottica di lor signore e lor signori la restaurazione sociale resisterà anche dopo l’uccisione del vitello grasso. Eppure neanche per loro o per i curiali del Vaticano, che fanno un gioco sporco dello stesso tipo, c’è molto da ridere. Una bestia ferita reagisce in modo imprevedibile e i pericoli per la democrazia, per noi tutti, ma perfino per gl’industriali e per i preti, aumentano.
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