21.3.10

La cacciata del bimbo straniero. Gli effetti del "tetto" della Gelmini

Sono stati pubblicati l’altro ieri dal Ministero dell’Istruzione i dati del “Focus sulla presenza di alunni stranieri nelle scuole statali”. La loro diffusione è connessa con l’attuazione del cosiddetto “tetto” del 30 per cento di presenze “straniere” per classe. Com’è noto una prima interpretazione che includeva nella dicitura “stranieri” i figli di immigrati nati in Italia, benché privi di cittadinanza italiana. Le proteste di molti dirigenti scolastici come di molte associazioni, nonché le difficoltà di attuazione pratica di una misura così drastica portarono i collaboratori della Gelmini ad escludere i nati in Italia dal computo.

Restano comunque più di 10 mila le classi scolastiche coinvolte nella tagliola predisposta a viale Trastevere: 7279 nella scuola primaria e 3122 nella scuola media. Le regioni più interessate al fenomeno sono la Lombardia, l’Emilia Romagna e l’Umbria.

Gl’ideatori della misura hanno fornito in sostanza due motivazioni, una buona e una cattiva. Quella buona, “politicamente corretta”, è che il tetto serve ad impedire la formazione di classi ghetto, di classi interamente composte da ragazzi di origine non italiana e a favorire per questa via l’integrazione. La motivazione cattiva, leghista, è che i piccoli “stranieri” devono sapere sempre chi è il padrone di casa e chi l’ospite”. A mio avviso, senza quest’ultima stupida sottolineatura che si legge in alcune dichiarazioni, la misura non meriterebbe una critica distruttiva a priori: scoraggiare forme di segregazione e agevolare il confronto e il dialogo tra culture è un’esigenza condivisibile. Ma la regola del tetto ha un gravissimo difetto. Per ragioni facilmente comprensibili gli immigrati tendono a concentrarsi in talune borgate, in taluni quartieri, al alcune frazioni urbane. Lì non c’è spalmatura che basti: i bambini ed i ragazzi sono più del 30 per cento nel complesso della scuola e, di conseguenza, in molte classi. Di conseguenza il tetto diventa una misura discriminatoria: molti alunni dovranno spostarsi in altre scuole con gravi difficoltà per le loro famiglie, quasi sempre composte da persone che lavorano. E sarà un problema per le scuole scegliere i criteri della selezione.

E’ questo l’aspetto che l’Unicef ha criticato in un suo recente documento, insieme a quel sostrato razzistico che qua e là si intravede. Un ultimo dato del focus parla di una frenata nella crescita del numero di alunni stranieri nelle scuole: per il prossimo anno gli iscritti sono il 9,6% in più dell’anno scorso, un incremento sensibilmente inferiore al 14,5% registrato l’anno scorso. Al ministero giudicano il fatto “connesso alla crisi economica mondiale”. In soldoni: più la crisi marcia più i poveri rinunciano a mandare i figli a scuola. Anche se fosse del tutto vero, al ministero di un governo democratico sarebbe lecito chiedere cosa faccia per evitare queste dispersioni, queste discriminazioni e autoemarginazioni. Ma questo non è un governo democratico e la spiegazione non spiega un bel niente. Il clima razzistico, che incide anche sugli esiti scolastici e che la misura del tetto alimenta, è il fattore decisivo della crescente sfiducia nella scuola italiana da parte degli immigrati.

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