Mi è già capitato di raccontare della possibile e paradossale dispersione di una scapola di Togliatti tra le reliquie di santi, beati e venerabili del convento perugino di Monteripido. Qui ripubblico un articolo di Piero Banucci, da "La Stampa" del 10 ottobre 2009 che fa traccia la storia delle reliquie prelevate dal cadavere di Galileo Galilei nel Settecento, della loro novecentesca scomparsa e del loro recente ritorno a Firenze. Un indice, un pollice, un dente saranno presto collocati accanto al dito del grande scienziato già conservato nel Museo di Storia della Scienza. (S.L.L.)
Pollice, indice, dente: si ricompone il puzzle Galileo
di Piero Banucci
Dai magazzini non sempre trasparenti delle aste riaffiorano tre reliquie laiche. Sono un dente, il dito pollice e il dito indice della mano destra di Galileo Galilei. I reperti si aggiungono ad altri resti del fondatore dell’astronomia moderna già noti al pubblico: il dito medio della mano destra, conservato a Firenze, e una vertebra conservata all’Università di Padova. La vicenda, che oscilla tra gusto macabro e feticismo, avrà una conclusione trionfale nella primavera del 2010, quando potremo contemplare le dita e il dente dello scienziato alla riapertura del Museo di Storia della Scienza di Firenze, ribattezzato per l’occasione «Museo Galileo». Si chiuderà così l’Anno internazionale dell’astronomia, proclamato dall’Onu per celebrare le prime osservazioni del cielo con un telescopio: proprio quattro secoli fa, il 30 novembre 1609, Galileo scopriva sulla Luna picchi assolati e pianure tenebrose. Sarà emozionante pensare che quelle tre dita lunghe rinsecchite, un po’ da pianista, costruirono il cannocchiale custodito nello stesso museo.
Poiché in passato il commercio delle reliquie religiose contraffatte era fiorente, si potrebbe dubitare anche dell’autenticità dei resti galileiani. Ma ci rassicura la expertise di Paolo Galluzzi, direttore del Museo di storia della Scienza e futuro «Museo Galileo», e della soprintendente Cristina Alcidini.
La storia inizia il 12 marzo 1737, quando le spoglie di Galileo, sepolte 95 anni prima in sordina sotto il campanile di Santa Croce, furono esumate per essere solennemente accolte nella tomba costruita di fronte al sepolcro di Michelangelo. Non fu una riconciliazione tra Curia e scienza. Fu anzi un messaggio politico che l’ultimo dei Medici, il granduca Gian Gastone, voleva inviare al Papa per affermare l’autonomia dello Stato. Alla cerimonia spiccavano i paladini del libero pensiero iscritti alle neonate logge massoniche. Tra questi, l’archeologo Anton Francesco Gori, il marchese Vincenzio Capponi e il medico Antonio Cocchi. Un notaio scrisse il minuzioso verbale dell’esumazione. Sappiamo così che quando il coperchio della bara fu sollevato il naturalista Giovanni Targioni Tozzetti estrasse un coltellino e sottrasse al cadavere di Galileo tre dita della mano destra (pollice, indice e medio), desistendo a malincuore dall’appropriarsi del cranio, sede del cervello che tanto aveva compreso dell’universo. La quinta vertebra lombare e un dente furono invece il bottino del medico Antonio Cocchi.
Il dito medio andò poi ad Angelo Maria Bandini, che lo espose nella Biblioteca Laurenziana. Nel 1841 fu trasferito nella «Tribuna di Galileo», appena inaugurata nel Museo di Fisica. Dal 1927 è patrimonio del Museo di Storia della Scienza di Firenze. La vertebra passò al figlio del Cocchi, poi al patrizio veneto Angelo Querini e al letterato vicentino Agostino Vivorio, amico del medico Domenico Thiene, che ottenne la vertebra il giorno di Natale del 1820 e la donò all’Università di Padova.
Le altre due dita e il dente passarono per molte mani, finché nel 1905 se ne persero le tracce. I cimeli sono riemersi con la vendita all’asta di un lotto di provenienza ignota: una teca di legno ottocentesca e un busto di Galileo. La teca custodiva un’ampolla contenente il dente e le dita. Il collezionista, che vuole restare anonimo, ha identificato i resti di Galileo e li ha consegnati al museo di Firenze. Lieto fine di un film horror.
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