Da “micropolis” di maggio 2006 offro ai visitatori di questo blog un pezzo di Maurizio Fratta che illustra come sovente i letterati di valore riescano ad avere contemporaneamente lo sguardo lungo e lo sguardo penetrante. L’articolo è stato scritto, quando in molti, incluso Maurizio, nutrivamo qualche speranza sulle capacità di governo dell’Unione, allora raccolta intorno a Romano Prodi.
Descrizione di un Cavaliere: “Un uomo non più giovane … la parte superiore del cranio quasi calva … una pettinatura ridicola ma …portata con una tale sicurezza di sé che la sensibilità del pubblico restava muta e repressa”. E ancora: “il tipo del ciarlatano, del buffo chiacchierone …, personaggio che è dato oggi incontrare solamente in Italia, in esemplari abbastanza ben conservati … con impressione di buffoneria fantastica e reclamistica”. Un Cavaliere “artista del divertimento, forzatore, illusionista e prestigiatore”, pronto ad esibirsi “in un salone che durante l’estate aveva servito alla proiezione di pellicole”, con “una lavagna posta su un cavalletto in primo piano a sinistra” sulla quale impostare “alcuni giochi di numeri tanto semplici quanto stupefacenti”.
Se ci si chiedesse a quale Cavaliere corrisponda una siffatta descrizione, immaginandoselo in azione ospite di Vespa nel presentare il contratto con gli italiani o a inventarsi fantasmagoriche trovate per convincere il pubblico di Ballarò, la risposta sembrerebbe scontata.
Più sorprendente è sapere che il testo in questione si riferisce al racconto Mario e il Mago di Thomas Mann pubblicato nel 1930 ed ambientato in una località balneare dell’Italia dei primi anni dell’era fascista. Protagonisti della narrazione sono una famiglia di stranieri con bambini in vacanza, la comunità locale di residenti e villeggianti, non soltanto italiani, un cameriere, Mario, ed un Mago, il Cavalier Cipolla.
Una serie di odiose e vessatorie discriminazioni, che coinvolgono gli stessi bambini, ed un clima xenofobo e nazionalista sembrano convincere gli ospiti stranieri, “assediati dalla mediocrità umana e dalla marmaglia borghese”, ad interrompere la vacanza. Eppure si decide di restare. E nel restare c’è l’opportunità di assistere ad uno spettacolo di un illusionista.
Sarà nel corso della rappresentazione che il Cavalier Cipolla svelerà la sua vera natura, non quella di mero illusionista esperto in giochi di destrezza, quanto di istrionesco coartatore della volontà delle sue vittime selezionate tra il pubblico. In un crescendo grottesco, sconcio ed allucinante, lo spettacolo si tramuterà in tragedia con l’uccisione del Mago. A partire da una esperienza autobiografica, Mann compone così una straordinaria allegoria del totalitarismo fascista e nazista, che profeticamente può aiutarci a comprendere più moderne forme di dominio.
L ‘editoriale di “micropolis” di marzo, Parole di verità, prende spunto da un articolo di Jacques che sul “The Guardian” definisce Berlusconi “la più temibile minaccia per la democrazia occidentale dal 1945 ad oggi” affermando che “si trova in linea di discendenza diretta con Mussolini”. Sin dal suo apparire sulla scena politica il Cavalier Berlusconi non ha fatto mistero sulle sue simpatie. All’epoca dell’interim relativo alle dimissioni del ministro Renato Ruggero, si disse, con arguzia e preoccupazione, che finalmente, dopo tanto tempo, un fascista era alla Farnesina in attesa che Fini occupasse quella posizione. Seguirono le interviste concesse a corrispondenti della stampa estera con i giudizi sul confino come luogo ameno di vacanza e sulle doti di statista del Cavalier Mussolini che “non aveva mai ammazzato nessuno”. Si potrà obiettare: giudizi, parole. Ben più evidenti in effetti sono apparsi gli atti concreti come il disertare sistematicamente qualsivoglia cerimonia ufficiale che rievocasse la natura antifascista della Costituzione repubblicana o le alleanze elettorali con la nipote del Duce.
Da qualche tempo, anche tra gli osservatori più moderati, nell’accennare al berlusconismo ci si spinge alla definizione di regime mediatico connotandone il carattere eminentemente populista.
Acqua sotto i ponti dagli esiti sciagurati della Riforma Bicamerale ne è passata e di fronte al disastro si avverte finalmente il bisogno di un’analisi efficace. A ben guardare una radice del berlusconismo affonda nel terreno del fascismo inteso come ideologia, insieme di strumenti per tramite dei quali ottenere piuttosto che imporre una dominazione. Come l’apparato ideologico di Mussolini utilizzò i mezzi di comunicazione di massa cogliendo le opportunità che le nuove tecnologie dell’epoca offrivano (dalla capillarità alla simultaneità del messaggio radiofonico, ai processi di identificazione generati dal cinema), così l’affermazione totalizzante del sistema televisivo, la sua specifica unidirezionalità e perentorietà hanno consentito a Sua Emittenza di mietere i successi politici degli ultimi anni. E dunque una valutazione dei risultati del monopolio ideologico e del sistema di valori sotteso nel quarto di secolo che vede la graduale ascesa al potere del Cavaliere di Arcore è l’aspetto col quale fare i conti.
Dirimere il conflitto tra gli interessi economici e politici che rappresenta e la salute della democrazia in Italia è la priorità assoluta dopo la sua sconfitta, ma nel farlo non si potrà fare a meno di riflettere sulla funzione manipolatrice dei mass-media e sugli effetti devastanti di una televisione sempre più specchio del deserto della dimensione mercificata dell’uomo.
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