Quella di Roberto Conte nella lista “Alleanza del Popolo”, in appoggio all'aspirante presidente della destra, Caldoro, è tra le candidature più controverse nelle elezioni regionali campane. Il Conte, appena un anno fa, era stato condannato per un patto di scambio politico-mafioso con il camorrista Giuseppe Misso, detto “‘o nasone’”, uno dei boss del quartiere Sanità a Napoli. La sentenza spiega come nelle elezioni del 2000, l’uomo, assessore provinciale uscente e candidato alla Regione per i Verdi, avesse ottenuto dal Misso, da poco uscito dal carcere, una attività di galoppinaggio casa per casa che si estendeva a tutta la città, grazie all’amicizia con i clan di altre aree (Marianella, Miano, Secondigliano). Conte pagò il Misso, gli consentì di aprire una sede dei Verdi in un circolo che era stato una bisca clandestina, promise qualche appalto regionale per il clan. Non c’è dubbio che l’operazione deve essere stata favorita dalla scarsa o nulla vigilanza del partito che era allora guidato da Pecoraro Scanio, napoletano con dichiarate venature giustizialiste. Era stato proprio l’Alfonso, del resto, ad introdurre nel giro dei Verdi il Conte, che proveniva dall’azione Cattolica e dalla Dc, e a sostenerlo negli inizi della sua carriera politica nel Sole che Ride.
Ma non devono essere stati solo i Verdi a vigilare poco e male. Infatti, quando nel movimento qualcuno cominciò a chiedere chiarezza, Misso cambiò bandiera; passò senza ostacoli nella Margherita, in cui al tempo brillava l’astro di De Mita. Come margheritino venne rieletto in Regione nel 2005: ben 33 mila preferenze. Durante la legislatura, specie dopo la nascita del Pd, passò tra i bassoliniani. I giornali nel 2008 annunciarono l’arresto con titoli di questo tenore: Roberto Conte, l’uomo di Bassolino voluto dalla camorra.
La responsabilità della sua candidatura era stata attribuita al “casalese” Cosentino, mancato candidato della destra alla presidenza della Regione e coordinatore campano del Pdl. Ha detto che no, che lui risponde solo dei candidati della lista ufficiale; ma ha lasciato intendere che non ci vede nulla di male e se l’è presa con la magistratura. Il candidato presidente Caldoro, che a quella responsabilità non può sottrarsi, ridimensiona la candidatura di Conte, la definisce “di servizio”, non “politica”, cioè a sostegno del capolista Sommella.
Una vicenda emblematica del degrado in cui è arrivata in certe aree del nostro paese la politica, di destra e di sinistra. Certo, oggi pare che sia la destra berlusconica a raccogliere intorno a sé il peggiore pattume politico campano. Ma quella candidatura a presidente di De Luca da parte del centrosinistra è lì a fungere da giustificazione per tutto ciò, ad impedire ogni discorso di radicale risanamento. Ed è estremamente povera e banale l’argomentazione che il sindaco di Salerno è rinviato a giudizio “soltanto” per corruzione ed ha buone carte per la propria difesa: lì, più che in ogni altro posto, andava salvaguardato il principio di candidature inattaccabili. Una doppia occasione mancata: così si perderà (e non era detto) e si permetterà alla destra qualsiasi ammiccamento, qualsiasi gioco sporco.
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