Della piazza berlusconiana di ieri si è detto di tutto: se ne sono notati gli aspetti preoccupanti e quelli francamente ridicoli, non senza accennare al fatto che gli uni e gli altri potrebbero coincidere. L’elemento istrionico, buffonesco che c’era in quella oratoria, in quel vociare e gesticolare, in quel giurare e pregare, in quel dialogo tra la “folla” e il suo “capo” potrebbe preludere, come è già avvenuto, allo scatenarsi di autentiche tragedie collettive, che poi si moltiplicano in migliaia e migliaia di tragedie individuali. A volte, per farci coraggio, ci diciamo che nulla di veramente grave può accadere, che oggi la civiltà, la democrazia, l’Unione europea impediranno il peggio; non scordiamoci però che anche in altri tempi si ricorreva a simili esorcismi e che essi non funzionarono, specie di fronte all’incanaglirsi delle culture e delle persone.
Andiamo dunque ad alcune domande politiche, di quelle tagliate con l’accetta. E’ riuscita o no la grande adunata di sabato? Io credo di no. Essa ha confermato come una parte consistente di elettorato, per amore o per convenienza, sia disposta a seguire Berlusconi in ogni possibile avventura, ma che essa non è per quantità ed entusiasmo in grado di dare la spallata decisiva, di produrre i mutamenti costituzionali e istituzionali sufficienti a definire un nuovo regime. Questo fatto non scongiura del tutto i pericoli di forzature e di strette autoritarie e anticostutuzionali. L'ometto, anche in questa occasione, ha mostrato qualche segno di follia: è davvero capace di tutto e nella sua compagnia non si vede chi possa avere il coraggio di fermarlo.
La manifestazione ha peraltro mostrato con chiarezza che oggi chi fa le carte è Bossi con la sua Lega. Da una parte l’ideologia comunitarista che si nutre dell’odio per l’immigrato, per il diverso, per l'intellettuale e per il pensiero, dall'altro una pratica che realizza a tutti i livelli, cominciando dal basso, la mediazione tra gli interessi economici e sociali in gioco sono i pilastri del crescente successo leghista. La strategia di Bossi in questo momento sembra concentrarsi su un obiettivo: occupare il centro.
L’espressione va intesa in un duplice significato. Il primo è quello di interpretare il ruolo che fu un tempo della Dc e cioè di rappresentare politicamente il ventre della società, quei ceti medi di coltivatori, allevatori, bottegai, artigiani, medi e piccoli industriali, camionisti, geometri, farmacisti eccetera eccetera che, specie in un momento di crisi, cercano una protezione pubblica per esigenze che considerano vitali. Il ceto politico leghista si pone come necessario elemento di intermediazione garantendo il perdurare del lassismo fiscale, l’assegnazione amicale di commesse pubbliche, l’accesso al credito, le provvidenze regionali, provinciali e comunali, i rapporti di questi ceti medi con pezzi importanti di mondo operaio e di popolo minuto in nome di una presunta purezza etnica contro gli “intrusi”. Questa operazione esige l’irregimentazione e la neutralizzazione progressiva di un certo “buonismo” cattolico che, soprattutto sulla questione dell’immigrazione, potrebbe confliggere con l'intento di “mostrare i muscoli” e di praticare ogni possibile vessazione al fine di "tenere sotto" i nuovi arrivati. La presenza sempre più massiccia della Lega nel governo locale dovrebbe aiutarla peraltro a comprarsi i preti e i cattolici militanti mettendo nelle loro mani pezzi di pubblica assistenza (droga, handicap, anziani, indigenti), finanziando comunità di recupero, oratori e movimenti per la vita, agevolando cooperative e imprese benefiche. Un punto chiave di questa strategia risulta essere il rapporto con le finanza cattolica, con quella che controlla le grandi banche, ma ancora di più con quella ramificata e diffusa nei territori attraverso le casse rurali e artigiane, le casse di risparmio rimaste indipendenti, il credito cooperativo. Nella conquista dell’egemonia rispetto a questo mondo il modello a cui rifarsi non può essere la Dc che ne era l’espressione diretta, ma segue due direttrici: il leghismo storico, puro e duro, continuerà a trattare con le Curie e le parrocchie da potenza a potenza, ma contemporaneamente si favorirà la nascita di una corrente leghista all’interno dello stesso mondo cattolico. Era una carta che Bossi giocò già con la figura della Pivetti e che tiene in serbo per il prossimo futuro. Sono pronto a scommettere che tra i leghisti emergenti ce ne sarà più d'uno "di chiesa".
Una seconda declinazione della parola d’ordine “occupare il centro” riguarda la geografia del movimento leghista, che trova oggi nel Veneto e nella Lombardia i punti di massima forza, ma che molti segni danno in espansione in direzione delle storiche “regioni rosse” dell’Italia mediana. Le recenti elezioni europee hanno dimostrato una grande capacità di attrazione in tutta la provincia emiliana, nelle Marche, in alcune aree della Toscana e dell’Umbria. Il senatore Torri, di Parma, uno degli artefici dei recenti successi, si attende in Emilia risultati clamorosi alle regionali. Aggiunge che stanno funzionando, a pieno regime, due forni: uno rappresentato dall’elettorato storico della sinistra, cui non sembra dispiacere una Lega che “gira all’antica”; l’altro dai quadri della vecchia Forza Italia, i cui consiglieri comunali, in molti centri emiliani, trasmigrano nel movimento di Bossi. In Toscana e in Umbria si tende a sottovalutare il fenomeno leghista, i cui esponenti sono degli sconosciuti e sembrano degli sprovveduti, ma la probabile conquista di seggi alla Regione già dal 29 marzo darà fiato a virulente campagne anti immigrati. Esse sembrano già cominciate, persino in aree come l’Aretino o il Perugino, in cui l’alta percentuale di stranieri presenti non aveva mai dato luogo a tensioni significative. Il voto leghista, del resto, potrebbe essere considerato un rifugio per quegli elettori di destra un po' nauseati dell'affarismo e dalla bella vita dei berlusconidi, visto che il movimento di Bossi non è finora coinvolto in grandi scandali e i suoi capi conservano un look ruspante.
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