Una pagina sui “Quattro Canti” di Vincenzo Consolo da Il Teatro del Sole, Interlinea, Novara. Pour n’oublier pas Palerme. (S.L.L:)
Là, dentro il teatro del Sole, la piazza Villena o Quattro Canti, il cerchio dei miti e dei simboli, la rappresentazione gerarchica dei poteri, là, ogni volta che ero a Palermo, non potevo fare a meno di sostare, leggere le quinte di quella fastosa scenografia di marmo, con le fontane, le Stagioni, i Filippi di Spagna, le Vergini sante, gli stemmi spiegati sopra i fastigi, e colonne paraste festoni volute angeli mascheroni a ogni ripiano.
Là era il libro di storia più chiaro, il nuovo libro che i viceré avevano scritto sopra un altro più antico e consunto. La Strada Nuova o Maqueda che aprirono ortogonale alla vecchia del Càssaro creava un nuovo assetto urbanistico, delineava i quattro rioni o mandamenti, l’Albergherìa, il Capo, la Kalsa, la Loggia, difesi entro le mura, i bastioni, ma poneva soprattutto la gran croce reale e simbolica, sopra l’intrico di vie e viuzze, il labirinto di cortili e casipole del vetusto abitato musulmano: la vittoria di Lepanto e le imprese di Carlo V in Tunisia legittimavano ormai nuove visioni e nuove progettazioni.
Lungo i bracci della croce, sugli spazi resi vuoti dalle demolizioni, i nobili e i religiosi poterono costruire i loro immensi palazzi, i loro conventi, e monasteri chiese collegi noviziati oratori. Questa piazza dei Quattro Canti divenne allora il baricentro, il fulcro, il palcoscenico di vita, di feste e parate, il punto di convergenza e di fuga. “Ai quattro punti del Mondo /muovono Arcangeli il vento e i colori” (Lucio Piccolo).
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