Ho già inserito in questo blog alcune pagine di vita di Liliana Genovese, mia madre (http://salvatoreloleggio.blogspot.com/2010/02/e-gli-anni-passano-di-liliana-genovese.html). Oggi pubblico uno dei suoi quadri floreali, pur sapendo che nella riproduzione si perde molto del colore che li impreziosisce.
Aggiungo due nuovi racconti. Del secondo, brevissimo, il protagonista è mio padre, insofferente verso ogni servilismo. La sua foto, sebbene un po' rovinata, lo fissa nel tempo in cui dovrebbe essersi svolta la scena narrata (S.L.L.).
Si era nell’anno del Signore 1971. Finalmente la casa nuova era pronta. Mio marito non aveva fatto una cosa che non mi piacesse. Mi aveva fatto scegliere le ceramiche dei pavimenti, gli infissi, i mobili per arredarla, le piastrelle della cucina che arrivavano fino al soffitto, i bagni. La mia felicità era totale.
Dei miei cinque figli il più grande aveva 23 anni ed era già laureato. Io avevo 41 anni, mi sentivo giovane e amavo teneramente mio marito.
La mia amica Rosaria telefonò un giorno e con voce angosciata mi disse: “Liliana, con la mia famiglia ho rotto. Dopo la morte di mia madre, i miei fratelli e le mie sorelle hanno deciso di svuotare la casa. I mobili non li vuole nessuno e io non so dove metterli. Mi faresti il favore di sistemarli nel tuo scantinato? Per poco, così ho il tempo di pensare”.
Commossa risposi che certo, tutto era a sua disposizione, che portasse pure i mobili che voleva. Mio marito si mostrò un po’ contrariato, ma non volle che mi prendessi un dispiacere. Tanto si trattava di poco tempo.
Venne il camion, aprii lo scantinato e gli operai sistemarono tutto. Rosaria volle che io vedessi una piccola bara, dove era stata deposta una sua sorellina morta in tenera età. Poi l’avevano seppellita in un’altra e questa era un ricordo molto caro per lei.
Passarono una quindicina di anni e un giorno mio marito, che doveva sistemare una botticella di vino, notò la cassetta, e, non sapendo cosa fosse, pensò che andasse proprio bene per metterla sotto a reggere la botte. Era solida e sembrava fatta apposta.
Di anni ne sono trascorsi almeno altri 15 e Daniele, rumeno, che mi aiuta in casa, vedendo i mobili di Rosaria nello scantinato mi fa: “Signora, a me servire questi. Non avere niente in casa. La prego, me li regali”. Non potevo dargli mobili che non erano miei. Telefonai alla mia amica: “Fai un’opera di bene. Daniele e la sua famiglia sono poveri. Con i tuoi mobili risolverebbero qualche problema”. Mi rispose che si era riappacificata coi suoi e che ci voleva almeno il permesso di suo cognato, preside in pensione. Mi avrebbe dato la risposta entro tre giorni. Il primo passò e non successe niente. Così il secondo. Il terzo ero nervosa e ansiosa. “Fa che suoni” – pensavo – “e che sia lo squillo giusto”. Fatto sta che il telefono trillò e compresi che era proprio la risposta che aspettavo.
“Pronto Liliana. Ho parlato con mio cognato e mi ha detto di no. Ma poi è successa una cosa incredibile. Mi ha richiamato e mi ha detto che era stato miracolato. Ha cambiato parere. Dai pure tutto a quei poveri e che il Signore ci aiuti”.
Arrivò Daniele che caricò il mobilio sul furgoncino. Tutto meno la bara, che giace in pace sotto la botticella del vin santo.
*****
La passeggiata
Anno del signore 1956. Era domenica e mio marito passeggiava in piazza con un amico. La piazza del paese era la sua casa. Ci era nato, vissuto e cresciuto, essendo lì l’abitazione dei suoi genitori, il suo negozio, la casa dei miei genitori. La piazza era stata complice del nostro amore. Se ripenso a quei tempi un nodo mi prende la gola.
Un signore che era stato fascista e gerarca aveva anche lui la casa in piazza. La moglie era una maestra. A guerra finita era diventato democristiano, ma faceva ancora sentire la sua voce. Lui e la moglie credevano nella superiorità delle loro persone.
Mio marito passeggiava. Forse pensava a me quando si sentì urlare “Lo Leggio” e fece finta di niente. La maestra si era affacciata e continuava a gridare “Lo Leggio”.
L’amico che camminava con mio marito gli disse: “Lillo, ti chiamano”. Mio marito lentamente si accostò e infine alzò la testa, guardò la donna e disse: “Dica, Curto”.
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