14.10.11

L'ansia di vita di Sonia Delaunay (di Arianna di Genova)

Corpi simultanei fuori dall’atelier

Una grande rassegna a New York rende omaggio alla stupefacente artista e designer di tessuti che «stampò» le avanguardie direttamente sulle sue stoffe, fra poesia e geometria
NEW YORK
L’avventura esistenziale e artistica di Sonia Delaunay ha segnato un intero secolo e si è basata sempre su uno stesso principio: il colore è un elemento vivo, con una sua personalità che sfugge a ogni classificazione, impossibile da imbrigliare e addomesticare. Partendo da qui, questa artista nata nel 1885 e vissuta fino al 1979, ha imbastito i suoi patchwork di stoffe che hanno reinventato il mondo. Un mondo speciale, da mettere direttamente addosso per rimodellare il corpo attraverso il dinamismo della modernità.
L’idea del frammento e del puzzle decorativo stazionava nel suo dna fin dalle origini: Sonia Delaunay era nata in un villaggio ucraino, era ebrea e a cinque anni venne spedita a vivere da uno zio materno molto ricco a san Pietroburgo, Henry Terk. Imparò tre lingue, s’innamorò della collezione dei dipinti della scuola di Barbizon che vedeva appesa alle pareti di casa, studiò in Germania e poi a Parigi e prese in mano pennelli e tavolozza grazie all’incoraggiamento di un amico di famiglia, l’impressionista Max Liebermann. È così che la ragazza ha cominciò a cucire insieme il suo mosaico di memorie biografiche, trasformandole in arte pura.
«Sono stata influenzata dai colori della mia infanzia ucraina – diceva - Ricordo sempre gli abiti rossi e verdi decorati con lunghi nastri che si gonfiavano nei balli dei matrimoni contadini della mia terra...».
Pur diventando più tardi moglie del celebre Robert Delaunay, padre del Cubismo Orfico, che sperimentò insieme a lei su diversi pattern, Sonia ha percorso sempre una sua strada originale. Per questo, il museo Cooper Hewitt di New York le ha dedicato una stupefacente mostra che testimonia il suo lavoro - e la sua rivoluzione estetica - in molti campi: dai costumi per il teatro, alla moda fino al design del tessuto. «Non mi sono mai sentita frustrata né ho considerato la mia arte come un genere minore... Al contrario, l’ho sempre vista come una estensione della mia creatività».
Curata da Matilda McQuaid e Susan Brown (visibile fino al 5 giugno) la retrospettiva presenta - fra le altre meraviglie - anche novanta piccoli schizzi, vivacissimi studi cromatici da applicare poi sui tessuti (sete, cotoni, velluti), coniugando con fantasia un’idea organica con una geometrica e razionale.
L’esistenza di Sonia, giovane donna della upper class, infarcita di curiosità intellettuale, sterzò bruscamente con l’arrivo di un ciclone dal nome di Robert Delaunay: era già sposata, unita al tedesco Wilhelm Uhde da un matrimonio di convenienza, ma divorziò e scelse l’artista che la «contagiava con la sua ansia di vita». Insieme, nella capitale francese, allora matrice di inedite esplorazioni contemporanee, guardavano il cielo parigino e la luce in movimento fra le nuvole ispirava le loro opere.
All’inizio, i vestiti simultanei di Sonia nacquero quasi per caso, per il guardaroba al figlio. Le piaceva lo «scontrarsi» dei colori, la loro lotta per lo spazio. Poi, divennero una professione, applicando poesia e geometria alle forme astratte che andavano a tingere le stoffe. Quando fu chiaro che i dipinti di Robert non potevano soddisfare i bisogni della famiglia, Sonia Delaunay aprì la sua Maison e battezzò l’atelier simultané. A Parigi, il mercato per la moda era ampio e apprezzatissimo.
Lei si schierò dalla parte della visionarietà e, con un intuito eccezionale, stampò sulle sue stoffe tutte le utopie delle avanguardie, racchiudendole in un métissage di forme e colori. Fra le sue prime clienti, ci furono le compagne degli artisti e architetti che la coppia Delaunay aveva conosciuto - Gropius, Breuer, Mendelsohn - poi le dive del cinema, dall’americana Gloria Swanson alle francesi Paulette Pax, Gabrielle Diorzat, fino alla scrittrice inglese Nancy Cunard. La sua fama crebbe in fretta, grazie pure alle foto che circolavano sulle riviste e ai costumi che Sonia fece per alcuni film dell’epoca (Le petit Parigot e Le Vertige). Lavorò anche Diaghilev: fu lei a vestire la Cleopatra dei Balletti russi. Collaborò con stilisti à la page, come Coco Chanel e Jeanne Lanvin e fu un punto di riferimento per Metz&Co a Amsterdam.
La sua «ditta» però chiuse quando la borsa crollò nel 1929 e gli ordini, dall’America in primis, si bloccarono. Non fu un male, raccontò in seguito Sonia Delaunay, ma piuttosto una liberazione da un tipo di lavoro molto stressante. Senza più i legacci della figura di «manager», tornò alla pittura mostrando i suoi murales all’Expo universale di Parigi del 1937.
Furono quelli anni durissimi: la guerra e poi nel 1941 il colpo più tremendo: la morte di Robert, colpito da cancro. Sonia proseguì da sola per altri 38 anni: «Ho condotto tre vite - confessò un giorno - una per Robert, una per mio figlio e i nipoti e una, la più breve, per me. Non ne avevo il tempo..»

Da ALIAS N. 17 - 30 APRILE 2011

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