Un uomo viene pugnalato e invece di morire si mette a cantare.
George Bernard Shaw
Gli italiani sono un popolo ‘musicale’, la musica è fondamentale per loro sin dalla nascita e lo fanno nelle più disparate occasioni e addirittura quasi come a Rio de Janeiro durante la settimana del Festival di Sanremo non si parla d’altro.
La pubblicazione di questo interessante libro di Paolo Prato La musica italiana. Una storia sociale dall’Unità ad oggi (Donzelli, Roma 2010, pp. 526, € 22,00) è quanto mai opportuna nella ricorrenza dei centocinquanta anni della Unità di questo Paese, che nel 1861 non parlava nemmeno la stessa lingua da Nord a Sud, essendo stato per secoli “calpesto diviso” e anche deriso.
La musica di Verdi, nel cui nome i patrioti del Risorgimento si trasmettevano in codice il messaggio politico dell’Unità della penisola, insieme a quella di Bellini, Rossini, Puccini, Donizetti è ancora a livello internazionale il simbolo della cultura e dell’eccellenza italiana. Il melodramma italiano ha assunto la coloratura dell’universalità dei sentimenti e quando il cinema ha bisogno di rafforzare e sottolineare le sue immagini ancora oggi ricorre alle grandi arie dei melodrammi italiani, specialmente il cinema americano.
Le produzioni operistiche dei nostri enti lirici, che molta polemica hanno scatenato e scatenano in Italia per i loro costi, vengono esportate nel mondo come prodotto doc italiano ed è stato dimostrato che un euro investito in queste produzioni ne produce 20 di guadagno. Ma non si tratta solo della musica colta, un posto fondamentale nella storia di questo Paese ha avuto ed ha la canzone popolare. Non solo le classi colte e borghesi nelle cui case c’era sempre un pianoforte per la serata musicale in cui i membri della famiglia riunita suonavano, ma il popolo minuto cantava i versi di un poeta come Salvatore Di Giacomo: “era de maggio… core mio… e se tu rituorni a maggio, pure a maggio i stongo qua”.
Non si tratta solo di canzonette, c’è la poesia come una vena sotterranea che percorre e riemerge prepotente, arriva negli anni Sessanta, e caratterizza per esempio la scuola genovese dei cantautori da Fabrizio De André a Umberto Bindi, da Gino Paoli a Bruno Lauzi, che hanno unito il forte radicamento alla loro terra ad una capacità di ascolto di esperienze straniere, specialmente francesi, e le hanno sapute trasformare in un prodotto italiano di singolare fascino.
È d’obbligo inoltre richiamare l’apporto creativo ai grandi film di autori nazionali, e non solo, della musica di compositori come Nino Rota ed Ennio Morricone. La musica, la canzone italiana, insieme al melodramma, continua ad essere un’ottima ambasciatrice dell’identità italiana sebbene in questo paese imperi la ‘ineducazione’ musicale, che non è stata colmata dai tentativi di imporre lo studio di uno strumento nelle scuole primarie. Forse sarebbe meglio introdurre la disciplina di storia della musica e dello spettacolo nelle scuole secondarie, e questo di Paolo Prato sarebbe un ottimo manuale di studio per far comprendere appieno alle giovani generazioni quanto grande è il contributo alla vocazione culturale dell’Italia, da parte della musica nazionale declinata in tutti i suoi generi.
Da "Le Reti di Dedalus" rivista on line del Sindacato Nazionale Scrittori
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