8.10.11

Napolitano ad Aosta e Dogliani. Il Lord Protettore di tutte le "caste"

Tra ieri sera e stamane i tg di Berlusconi non hanno assegnato il primo posto alla notizia delle grandi manifestazioni studentesche, forse l’avvio di una possibile stagione di dure lotte sociali, e neanche alla promessa del Cav di un decreto-sviluppo senza condoni, ma al Presidente della Repubblica Napolitano e alle sue esternazioni tra gli studenti di Aosta.
Non è un caso. In quella nordica città, infatti, l’inquilino del Quirinale ha parlato di tutto e di più: (l’euro e l’Europa, il federalismo fiscale e i rapporti Nord-Sud, i suoi poteri e la sua serenità). Oramai il suo interventismo politico supera quello della buonanima Cossiga. Se quel sardegnolo soleva togliersi i sassolini dalle scarpe, questo partenopeo lancia in cielo palloni gonfi di retorica.
Due sono i punti che i cavallereschi telegiornali hanno sottolineato: le dichiarazioni sull’unità e la concordia e quelle sul ruolo della politica.
La parola d’ordine “abbandonare le contrapposizioni cieche e faziose” si presta evidentemente ad una interpretazione filogovernativa, del resto autorizzata dall’ormai collaudato cerchiobottismo del presidente. Ieri gl’interpreti autorizzati dei presidenziali oracoli spiegavano: “Vuole un governo di tregua”; un governo nuovo dunque. Oggi il suo discorso autorizza i berlusconidi a dire: “Vuole un’opposizione di tregua”; col governo in carica naturalmente.
Il passaggio più rivelatore è tuttavia quello sulla politica. Napolitano dice: “non è cosa sporca, può essere bella e perfino entusiasmante”. L’aggettivazione è presa in prestito da un Veltroni d’altri tempi, ma si poteva sperare che Napolitano spiegasse. Ci si poteva aspettare che al termine "politica" attribuisse il valore che era un tempo tipico della sinistra: la partecipazione di molti, se possibile di tutti, al governo della “polis”, una politica cioè fatta da lavoratori, studenti,  cittadini, che si informano, discutono, esprimono idee, progetti e rappresentanza.
Invece no, per Napisan “politica” è soprattutto un mestiere. Così da una parte dice che "la politica siamo tutti noi", ma subito aggiunge che "è anche un lavoro, quando si hanno responsabilità istituzionali". Per non lasciare dubbi il Presidente fa poi un paragone: "La politica dovrebbe passare ai volontari, come è avvenuto nelle Forze Armate, e bisognerebbe studiare per farla".
L’espressione “dovrebbe passare” in realtà non significa un fico secco: non esiste oggi un reclutamento politico obbligatorio che assomigli al servizio militare di leva di un tempo, l’attività politica è già oggi una libera scelta delle persone non una coscrizione coatta. Ma la cosa più subdola è quel “volontari”, che sulle prime fa pensare al “volontariato”, cioè ad una attività prestata gratuitamente, per solidarietà e civismo, ed, al contrario, è collegata da Napolitano alle Forze Armate, a una professione retribuita, a un ingaggio mercenario.
La ciliegina sulla torta è comunque rappresentata da quel “bisogna studiare”. Per questa via la politica, resa volutamente difficile, viene riservata a una cerchia di esperti, che devono studiarne forme e riti (possibilmente alla Luiss o in altre università private) come fanno i preti in seminario. Neppure una parola, invece, l’ottimo presidente ha riservato agli odiosi privilegi della casta di politicanti “volontari” e “studiosi” che oggi imperversano, al loro rifiuto di un benché minimo sacrificio in un momento drammatico per la società italiana.
L’unità nazionale che egli propugna è dunque, in realtà, l’Union sacrée, l’unità di tutti i potenti contro la “canaglia pezzente”, l’unità di tutte le caste privilegiate: dei politicanti, degli industriali, dei finanzieri, dei petrolieri, dei vescovi e dei prelati, dei magistrati, dei manager, dei banchieri, dei generali, dei farmacisti, dei notai... Ed è una unità contro le tutele sanitarie, le pensioni, i diritti (contrattuali e non) dei lavoratori,  la scuola e l’università pubblica e le speranze della gioventù. Tutto ciò è considerato uno spreco o un lusso di quelli da eliminare subito in ossequio agli appelli a “fare presto” per la "crescita".
Non credo che fosse questa, come qualcuno stalinisticamente pensa, la fine logica del suo percorso di “migliorista” del Pci: ce ne sono di miglioristi dignitosi. E' invece una scelta di oggi, che il politicante mediocre e con scarso coraggio che occupa il Quirinale considera obbligata dal ruolo di Presidente, quella stessa che lo spinge a incoraggiare e benedire i bombardamenti in Libia.

P.s. Napolitano oggi è andato a Dogliani per commemorare Einaudi, nuovamente occupando il primo o il secondo posto nei tg. Naturalmente ha taciuto delle idee einaudiane sulla imposta patrimoniale e sull'abolizione del prefetto e delle province e ha preferito parlare di “nobiltà” della politica, così vellicando i cultori di antichi pettegolezzi sulla sua improbabile nascita regale o almeno principesca.
Intanto smentiva l’interpretazione del suo apprezzamento per il “governo di tregua” fatto l’altro ieri. A quanto pare il Presidente parlava del “governo Pella” senza allusioni al presente; ma, dopo le berlusconiane “dichiarazioni con smentita incorporata”, il gioco del “qui lo dico qui lo nego” è diventato un po’ stucchevole.
In ogni caso il riferimento a Pella e al suo governo merita qualche chiarimento. Quel gabinetto nacque per il mancato accordo tra la Dc e gli alleati centristi: è tra loro che si realizzava la tregua. Quel governo che i democristiani chiamarono “amico” (perché non lo consideravano espressione diretta del partito) era molto più amico delle banche, di Valletta e di Confindustria, ambienti dai quali venivano i suoi “tecnici” e non era affatto di tregua, ma di guerra dichiarata contro il movimento operaio e contadino, il Pci, il Psi e la Cgil. Tanto per rinfrescare la memoria a chi l’ha smarrita, nel periodo del governo Pella la FIAT licenziò a decine gli operai di sinistra, costruì i reparti confino per i pochi che non poté licenziare e con questa odiosa repressione organizzò la sconfitta della Fiom nelle elezioni per la Commissione interna. Lo stesso clima da caserma, di repressione antisindacale e antioperaia si instaurò a cascata in quasi tutte le fabbriche italiane. Nelle campagne della Sicilia intanto la mafia del feudo ammazzava a decine i sindacalisti delle Camere del Lavoro e Pella accusava in Parlamento chi le denunciava: “Volgari speculazioni comuniste”. Insomma, quando Napolitano spiega che elogiava solo il governo Pella, la toppa è peggiore del buco.      

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