Dall’edizione italiana di Le Monde diplomatique n.10 di ottobre 2011 riprendo questa recensione firmata Cla. Fi. (quasi certamente Claudio Finelli) di Quando eravamo froci, un libro di Andrea Pini appena pubblicato sa Il Saggiatore. (S.L.L.)
Già dal titolo che Andrea Pini, insegnante e militante «storico» del movimento gay italiano, ha scelto per il suo libro, Quando eravamo froci, è possibile cogliere la complessità ed il senso di un’operazione che non si limita ad illustrare gli aspetti meramente storico-documentari relativi alla vita degli omosessuali nell’Italia del dopoguerra, ma cerca con grande sensibilità e delicatezza di approfondire un ritratto antropologico-sociale della comunità gay di quegli anni. Anni in cui l’omosessualità era considerata un’ignominia immonda e conosceva l’ostilità ed il disprezzo della politica, della Chiesa e del diffuso perbenismo borghese che rappresentava la grigia trave maestra che reggeva l’intera struttura di valori e disvalori del tempo. L’originalità e l’interesse suscitato da Quando eravamo froci risiede nel fatto che, se da un lato l’autore porta a termine con encomiabile precisione un lavoro di verificabile rigore scientifico, consegnandoci un ritratto della vita omosessuale tra gli anni ’50 e ’60 che palesa un carattere decisamente divulgativo, perfino didattico, dall’altro le molte testimonianze, raccolte tra personaggi in vista della vita gay del tempo, sembrano stemperare tra nostalgia e divertita ironia la sofferenza di una condizione per cui – come ci ricorda lo stesso Pini – non esistevano né modelli né punti di riferimento, poiché non esistevano singoli omosessuali riconosciuti come tali non esistevano coppie gay o lesbiche alla luce del sole, non esisteva neppure il concetto di coppia omosessuale capace di vivere una relazione. Così, stupisce e fa riflettere l’atteggiamento manifestato da molti degli intervistati, tra cui raffinati intellettuali come Gilberto Severini o Gian Piero Bona o Riccardo Peloso, allorché mettono in discussione l’urgenza di visibilità e riconoscimento avanzata dai movimenti di liberazione omosessuale negli ultimi decenni: gli intervistati individuano, infatti, nella maggiore visibilità dell’omosessuale un motivo di facile esclusione ed isolamento, piuttosto che un progresso auspicabile nell’ottica delle conquiste civili, etiche e giuridiche di una società. Alcune testimonianze risultano, poi, delle perle rare di saggezza, sensibilità ed intelligenza, come quella di Giò Stajano, giornalista e scrittore/scrittrice protagonista degli scandali e degli eccessi della dolce vita romana, morto/a purtroppo qualche mese fa, considerato/a il primo omosessuale italiano dichiarato, oppure quella di Paolo Poli, attore e regista di grande successo, capace di un’autoironia e di un’arguzia travolgenti, divertentissimo nel proporre una sorta di mappatura etno-antropologica della prostituzione gay dei nostri giorni. Infine, impossibile non ricordare la delicatezza di un grande poeta, Elio Pecora, che, intervistato da Andrea Pini, conclude la sua testimonianza con un piccolo e prezioso inno all’amore: Credo ancora oggi nell’amore e lo perseguo quotidianamente…Mi capita ancora di incontrare un uomo o un ragazzo che si lascia attrarre e con cui si rinnova un piacere grande e colmo, che non esito tuttora a chiamare amore.
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