Dal sito “COMUNITA' PROVVISORIA - terra, paesi, paesaggi, paesologia” recupero un post ottimamente scritto da Franco Arminio, una sorta di reportage da Pagani, che cerca di intenderne le costruzioni e le distruzioni, anche attraverso la voce di Isaia Sales, un tempo militante ed esponente della sinistra politica, più di recente autore di libri importanti sulla camorra.
Solo una piccola osservazione. Di Alfonso Maria Liguori, detto Alfonso Maria dei Liguori per nobilitarne le origini, e della sua “casistica” m’è già accaduto di scrivere in questo blog, in un testo dedicato al Cavaliere e a Monsignor Fisichella (http://salvatoreloleggio.blogspot.com/2010/04/la-casistica-di-fisichella-e-la.html ). Non ho letto La pratica del confessore del santo vescovo campano, ma Carmela, che mi fu a lungo compagna di vita e mi resta carissima, l’aveva fatto nella prima giovinezza: mi diceva che una buona parte del manuale era dedicata agl’interrogatori sul sesso e che pertanto esso risultava una sorta di Kamasutra, ma di molto più morboso. E’ un giudizio di cui mi fido. In ogni caso non basta questo suo cimento da scrittore pornografico o quasi a farne un “Voltaire”: al posto di Arminio darei un giudizio più cauto. (S.L.L.)
L'interno della Basilica di sant'Alfonso a Pagani |
Ritorno alla paesologia
Pagani
E’ la prima volta che vado a trovare una persona più che un paese. Isaia Sales mi aspetta all’uscita del casello autostradale. Sa bene che non è facile dare appuntamento a un forestiero al centro del paese, ammesso che uno riesca a identificare il paese in cui è arrivato. Lo seguo in macchina fino a casa sua.
Sales ha abbandonato la politica attiva, ha scritto un libro sulla camorra e uno sui rapporti tra i preti e i mafiosi, ma non ha certo smesso di pensare in termini politici. Io torno dopo molti mesi in uno di quelli che definisco paesi giganti. Vorrei capire meglio cosa è successo negli ultimi cinquant’anni in cui è stato distrutto questo territorio, vorrei capire le ragioni degli artefici, i torti delle vittime. La prima parola che scrivo sul taccuino è “cartuccia”. E’ il soprannome di una persona che abitava in una casa castello nel punto più elevato del paese, qualcosa di simile accadeva anche a Ottaviano con il castello abitato dai familiari di Cutolo.
Qui le visioni si susseguono, il paese ha trentaseimila abitanti, concentrati tutti in pochissimo spazio. Passiamo davanti alla scultura di una grande tammorra. Vorrebbe essere il simbolo di Pagani che l’amministrazione descrive come paese di santi, artisti e mercanti. La tammorra è la protagonista della festa della Madonna delle galline. È una festa nobile e antichissima, all’incrocio tra paganesimo e cristianesimo. Io sono mai stato, ma sono giornate brulicanti di suoni e sudore, in cui tutto il paese è intriso di folklore non ancora annacquato.
Isaia mi porta in alto, verso il valico di Chiunzi. Oltre la montagna c’è un’altra storia: Ravello, Amalfi, Positano. La città stesa sotto di noi potrebbe sembrare una copia arrangiata di Napoli perché c’è il Vesuvio in fondo e poi il mare, invece è la piccola pianura dell’Agro nocerino-sarnese con i paesi che arrivano tutti insieme fino al vulcano e fino al mare. In effetti il Vesuvio è l’unica cosa ferma in questa zona. E se non ci fosse sarebbe più evidente la gigantesca eruzione urbanistica degli ultimi cinquant’anni. Ci sono tra le case piccoli spazi di verde e piccoli quadrati luccicanti delle serre, cemento e concime di un terra che ha rottamato troppo in fretta le sue origini contadine.
A Pagani l’unico spazio vuoto è il campo sportivo. Isaia mi ha portato a vedere uno dei miracoli della civiltà del cemento. Siamo saliti in alto solo per questo, per vedere come i paesi si sono incollati tra loro e si incollano un po’ a caso anche i nostri discorsi. Ora la mia preziosa guida mi parla di un bosco di lucciole sotto Cuma, lucciole futuriste, prodotte dal fatto che lì non si è potuto costruire per la presenza di un depuratore.
Prima di tornare nella pianura passiamo in un posto che si chiama Corbara, è un paese che pare avere la testa sotto la ghigliottina della montagna. Chi vuole scampare la peste della pianura potrebbe venire a vivere qua, ma secondo i geologi questo paese è ad altissimo rischio e nel secolo scorso la montagna è caduta già due volte. Passiamo per un altro luogo appena più in alto rispetto alla pianura, Sant’Egidio. Qui l’aria è un poco dimessa, il paese sembra abitato da un’umanità che non ha il vento in poppa. A volte basta stare cento metri più in alto per essere fuori dall’animoso delirio che ha piantato le case sulla terra come se fossero alberi, alberi che non danno frutto. Le case che vedo già mostrano i segni della precoce vecchiaia del cemento. Quando fra pochi anni lo spazio disponibile sarà completamente esaurito, le palazzine degli anni sessanta avranno un aspetto decrepito. In fondo questa è una zona di rovine. Siamo sulla statale 18 che da Nocera porta a Pompei. La sequenza è questa: Nocera Superiore, Nocera inferiore, Pagani, San Lorenzo, Angri, Scafati. Sales sa bene che ognuno di questi posti ha una sua storia, umori diversi, rivalità e sfumature ignare al visitatore occasionale. Nocera inferiore è assai diversa da Pagani, diversità dovuta a tanti fattori, compreso il famoso manicomio che c’era una volta. Qui lavorava il professor Levi Bianchini, il primo traduttore italiano di Freud. Al cimitero di Nocera fu seppellito l’anarchico Carlo Cafiero dopo il ricovero al manicomio. Sono storie che nulla c’entrano con le storie di oggi, ma sono storie assai diverse dagli ambulanti e di Pagani. Il paese è conosciuto per il grande mercato ortofrutticolo che non è più tanto grande (e solo una piccola parte della merce proviene da queste terre) più che per il santo Alfonso Maria dei Liguori, un santo che non fece miracoli (e per questo non porta turisti) però scrisse anche canzoni, tra cui la famosissima Tu scendi dalle stelle. Un santo che era un intellettuale sofisticato, una sorta di Voltaire cattolico. La grande chiesa che lo accoglie fino a pochi decenni fa era circondata dal verde, adesso esibisce da un lato un auditorium con una facciata copiata dagli outlet, dall’altra parte un gruppo di case sfondate e incredibilmente abitate, una sorta di piaga da decubito aperta nel cuore del paese. Le due ali ai lati della cattedrale sono un perfetto riassunto dello stato dei luoghi, ma qui una cosa brutta è solo la premessa ad ulteriori brutture che sono più avanti. E così arriviamo a Scafati, vera apoteosi della speculazione edilizia. Il paese è attraversato dal fiume Sarno, la più grande fogna d’Italia. Scendiamo dalla macchina, ci fermiamo su un ponte a immaginare molto banalmente come poteva essere bello questo posto prima della guerra scatenata dalle betoniere.
E’ ora di pranzo, torniamo a Pagani. La moglie di Isaia già la conosco, faccio conoscenza con due dei suoi tre figli. Dopo pranzo tutta la famiglia guarda con attenzione il documentario sulla paesologia. Mi fa uno strano effetto vedere i miei luoghi in una casa di Pagani, mi pare di vederli da un altro mondo. Ed è lungo alla fine il discorso sulla Campania che non è mai stata veramente una regione, su Napoli, città mondo, che proprio non vuole saperne di ridursi a capoluogo di regione. Parliamo dell’assenza di veri luoghi di ritrovo. Pagani è un polso tra il gomito della costiera e il palmo della mano rappresentato da Napoli e allora qui passano i nervi, le vene, ma la vita sembra doversi raccogliere altrove. La Napoli borbonica ha fatto la storia di questi luoghi usando le campagne dei cafoni per sfamarsi. Poi è venuta la Napoli democristiana e comunista che ha usato la terra per espandersi. La cosa è evidente a Scafati. Lì tra i palazzi resistono ancora piccoli appezzamenti di terra coltivati. Non sono giardini o piccoli orti, è proprio la vecchia agricoltura che resiste. È un verde provvisorio, con le annate contate. Ogni raccolto potrebbe essere l’ultimo. Oltre alla fertilità del suolo, queste sono anche terre d’ingegno. Basti pensare alle industrie conserviere che esportano in tutto il mondo (i pomodori che mandano in Giappone sono molto più buoni di quelli che riservano al mercato nazionale). In effetti qui la produzione di pomodori è quasi scomparsa e molti immaginavano anche la scomparsa delle industrie. D’estate per due mesi una perenne colonna di tir scarica qui tutti i pomodori che si producono in Puglia. Per lavorarli ci vuole tanta acqua, che qui non manca, ma anche extracomunitari malpagati e una bravura artigianale che i pugliesi non hanno acquisito.
Il figlio di Isaia è molto lucido, si impegna in un associazione di ragazzi che provano a fare politica. Forse sarà dai ragazzi come lui che arriverà il vento nuovo di cui si parla in questi giorni. Mi parla delle televisioni locali, del loro ruolo che è quasi sempre quello di megafono delle amministrazioni. Le televisioni locali hanno clamorosamente smentito l’illusione che l’informazione più vicina ai territori avrebbe aiutato la crescita civile e portato una critica spietata ai governanti del posto.
Torniamo in paese, questa volta per camminare lungo il corso dove entrando in ampi portoni si arriva nei tipici cortili, variamente rimaneggiati: ci puoi trovare case fatiscenti o palazzine e un’umanità costretta ad arrancare alla larga del rispetto delle leggi. Per molti pagare le bollette della luce o dell’immondizia significherebbe affondare il bilancio familiare. E quando si guarda con orrore alle palazzine venute su negli anni sessanta, bisogna considerare che per molti quelle palazzine significavano avere finalmente un bagno in casa e una camera per i ragazzi. Il problema è che l’altezza delle case è stata raggiunta senza una parallela crescita del livello di civiltà. Che senso ha avere una casa meno fatiscente se poi la muffa e l’incuria si trasferiscono nella propria testa? Per vincere le elezioni in questi paesi bisogna chiudere più di un occhio, bisogna credere all’incuria, più che alla programmazione.
Sales riconosce onestamente che nei dieci anni in cui ha governato il suo partito non sono riusciti a imprimere una svolta. Adesso però sarebbe possibile, adesso bisognerebbe amministrare questi comuni con la gomma in mano. Proprio di fronte al municipio di Pagani, accanto alla chiesa della Madonna delle galline c’è un’incongrua palazzina, forse un giorno non lontano a qualcuno verrà in mente di buttarla giù e di creare un po’ di vuoto. Qualche tempo fa una piazza adiacente, piazza Corpo di Cristo, fu intitolata a Marcello Torre, il sindaco ucciso dalla camorra, ma la potente chiesa del posto si oppose e la piazza è tornata al suo vecchio nome.
Questi paesi hanno un disperato bisogno di vuoto, ma ancora non lo sanno. Potrebbe sembrare strano che luoghi così rovinati siano sempre più abitati, ma la forza e il sollievo vengono dal fatto che ci si può spostare. In fondo non si sta a Pagani, ma in un posto che è vicino Napoli, vicino Salerno, vicino Amalfi e a Pompei. La statale, l’ autostrada e la ferrovia attraversano il paese, si vive in un a sorta di tapis roulant, un movimento frenetico che non fa nascere l’idea di fuggire da questi luoghi.
Sales ha abbandonato la politica attiva, ha scritto un libro sulla camorra e uno sui rapporti tra i preti e i mafiosi, ma non ha certo smesso di pensare in termini politici. Io torno dopo molti mesi in uno di quelli che definisco paesi giganti. Vorrei capire meglio cosa è successo negli ultimi cinquant’anni in cui è stato distrutto questo territorio, vorrei capire le ragioni degli artefici, i torti delle vittime. La prima parola che scrivo sul taccuino è “cartuccia”. E’ il soprannome di una persona che abitava in una casa castello nel punto più elevato del paese, qualcosa di simile accadeva anche a Ottaviano con il castello abitato dai familiari di Cutolo.
Qui le visioni si susseguono, il paese ha trentaseimila abitanti, concentrati tutti in pochissimo spazio. Passiamo davanti alla scultura di una grande tammorra. Vorrebbe essere il simbolo di Pagani che l’amministrazione descrive come paese di santi, artisti e mercanti. La tammorra è la protagonista della festa della Madonna delle galline. È una festa nobile e antichissima, all’incrocio tra paganesimo e cristianesimo. Io sono mai stato, ma sono giornate brulicanti di suoni e sudore, in cui tutto il paese è intriso di folklore non ancora annacquato.
Isaia mi porta in alto, verso il valico di Chiunzi. Oltre la montagna c’è un’altra storia: Ravello, Amalfi, Positano. La città stesa sotto di noi potrebbe sembrare una copia arrangiata di Napoli perché c’è il Vesuvio in fondo e poi il mare, invece è la piccola pianura dell’Agro nocerino-sarnese con i paesi che arrivano tutti insieme fino al vulcano e fino al mare. In effetti il Vesuvio è l’unica cosa ferma in questa zona. E se non ci fosse sarebbe più evidente la gigantesca eruzione urbanistica degli ultimi cinquant’anni. Ci sono tra le case piccoli spazi di verde e piccoli quadrati luccicanti delle serre, cemento e concime di un terra che ha rottamato troppo in fretta le sue origini contadine.
A Pagani l’unico spazio vuoto è il campo sportivo. Isaia mi ha portato a vedere uno dei miracoli della civiltà del cemento. Siamo saliti in alto solo per questo, per vedere come i paesi si sono incollati tra loro e si incollano un po’ a caso anche i nostri discorsi. Ora la mia preziosa guida mi parla di un bosco di lucciole sotto Cuma, lucciole futuriste, prodotte dal fatto che lì non si è potuto costruire per la presenza di un depuratore.
Prima di tornare nella pianura passiamo in un posto che si chiama Corbara, è un paese che pare avere la testa sotto la ghigliottina della montagna. Chi vuole scampare la peste della pianura potrebbe venire a vivere qua, ma secondo i geologi questo paese è ad altissimo rischio e nel secolo scorso la montagna è caduta già due volte. Passiamo per un altro luogo appena più in alto rispetto alla pianura, Sant’Egidio. Qui l’aria è un poco dimessa, il paese sembra abitato da un’umanità che non ha il vento in poppa. A volte basta stare cento metri più in alto per essere fuori dall’animoso delirio che ha piantato le case sulla terra come se fossero alberi, alberi che non danno frutto. Le case che vedo già mostrano i segni della precoce vecchiaia del cemento. Quando fra pochi anni lo spazio disponibile sarà completamente esaurito, le palazzine degli anni sessanta avranno un aspetto decrepito. In fondo questa è una zona di rovine. Siamo sulla statale 18 che da Nocera porta a Pompei. La sequenza è questa: Nocera Superiore, Nocera inferiore, Pagani, San Lorenzo, Angri, Scafati. Sales sa bene che ognuno di questi posti ha una sua storia, umori diversi, rivalità e sfumature ignare al visitatore occasionale. Nocera inferiore è assai diversa da Pagani, diversità dovuta a tanti fattori, compreso il famoso manicomio che c’era una volta. Qui lavorava il professor Levi Bianchini, il primo traduttore italiano di Freud. Al cimitero di Nocera fu seppellito l’anarchico Carlo Cafiero dopo il ricovero al manicomio. Sono storie che nulla c’entrano con le storie di oggi, ma sono storie assai diverse dagli ambulanti e di Pagani. Il paese è conosciuto per il grande mercato ortofrutticolo che non è più tanto grande (e solo una piccola parte della merce proviene da queste terre) più che per il santo Alfonso Maria dei Liguori, un santo che non fece miracoli (e per questo non porta turisti) però scrisse anche canzoni, tra cui la famosissima Tu scendi dalle stelle. Un santo che era un intellettuale sofisticato, una sorta di Voltaire cattolico. La grande chiesa che lo accoglie fino a pochi decenni fa era circondata dal verde, adesso esibisce da un lato un auditorium con una facciata copiata dagli outlet, dall’altra parte un gruppo di case sfondate e incredibilmente abitate, una sorta di piaga da decubito aperta nel cuore del paese. Le due ali ai lati della cattedrale sono un perfetto riassunto dello stato dei luoghi, ma qui una cosa brutta è solo la premessa ad ulteriori brutture che sono più avanti. E così arriviamo a Scafati, vera apoteosi della speculazione edilizia. Il paese è attraversato dal fiume Sarno, la più grande fogna d’Italia. Scendiamo dalla macchina, ci fermiamo su un ponte a immaginare molto banalmente come poteva essere bello questo posto prima della guerra scatenata dalle betoniere.
E’ ora di pranzo, torniamo a Pagani. La moglie di Isaia già la conosco, faccio conoscenza con due dei suoi tre figli. Dopo pranzo tutta la famiglia guarda con attenzione il documentario sulla paesologia. Mi fa uno strano effetto vedere i miei luoghi in una casa di Pagani, mi pare di vederli da un altro mondo. Ed è lungo alla fine il discorso sulla Campania che non è mai stata veramente una regione, su Napoli, città mondo, che proprio non vuole saperne di ridursi a capoluogo di regione. Parliamo dell’assenza di veri luoghi di ritrovo. Pagani è un polso tra il gomito della costiera e il palmo della mano rappresentato da Napoli e allora qui passano i nervi, le vene, ma la vita sembra doversi raccogliere altrove. La Napoli borbonica ha fatto la storia di questi luoghi usando le campagne dei cafoni per sfamarsi. Poi è venuta la Napoli democristiana e comunista che ha usato la terra per espandersi. La cosa è evidente a Scafati. Lì tra i palazzi resistono ancora piccoli appezzamenti di terra coltivati. Non sono giardini o piccoli orti, è proprio la vecchia agricoltura che resiste. È un verde provvisorio, con le annate contate. Ogni raccolto potrebbe essere l’ultimo. Oltre alla fertilità del suolo, queste sono anche terre d’ingegno. Basti pensare alle industrie conserviere che esportano in tutto il mondo (i pomodori che mandano in Giappone sono molto più buoni di quelli che riservano al mercato nazionale). In effetti qui la produzione di pomodori è quasi scomparsa e molti immaginavano anche la scomparsa delle industrie. D’estate per due mesi una perenne colonna di tir scarica qui tutti i pomodori che si producono in Puglia. Per lavorarli ci vuole tanta acqua, che qui non manca, ma anche extracomunitari malpagati e una bravura artigianale che i pugliesi non hanno acquisito.
Il figlio di Isaia è molto lucido, si impegna in un associazione di ragazzi che provano a fare politica. Forse sarà dai ragazzi come lui che arriverà il vento nuovo di cui si parla in questi giorni. Mi parla delle televisioni locali, del loro ruolo che è quasi sempre quello di megafono delle amministrazioni. Le televisioni locali hanno clamorosamente smentito l’illusione che l’informazione più vicina ai territori avrebbe aiutato la crescita civile e portato una critica spietata ai governanti del posto.
Torniamo in paese, questa volta per camminare lungo il corso dove entrando in ampi portoni si arriva nei tipici cortili, variamente rimaneggiati: ci puoi trovare case fatiscenti o palazzine e un’umanità costretta ad arrancare alla larga del rispetto delle leggi. Per molti pagare le bollette della luce o dell’immondizia significherebbe affondare il bilancio familiare. E quando si guarda con orrore alle palazzine venute su negli anni sessanta, bisogna considerare che per molti quelle palazzine significavano avere finalmente un bagno in casa e una camera per i ragazzi. Il problema è che l’altezza delle case è stata raggiunta senza una parallela crescita del livello di civiltà. Che senso ha avere una casa meno fatiscente se poi la muffa e l’incuria si trasferiscono nella propria testa? Per vincere le elezioni in questi paesi bisogna chiudere più di un occhio, bisogna credere all’incuria, più che alla programmazione.
Sales riconosce onestamente che nei dieci anni in cui ha governato il suo partito non sono riusciti a imprimere una svolta. Adesso però sarebbe possibile, adesso bisognerebbe amministrare questi comuni con la gomma in mano. Proprio di fronte al municipio di Pagani, accanto alla chiesa della Madonna delle galline c’è un’incongrua palazzina, forse un giorno non lontano a qualcuno verrà in mente di buttarla giù e di creare un po’ di vuoto. Qualche tempo fa una piazza adiacente, piazza Corpo di Cristo, fu intitolata a Marcello Torre, il sindaco ucciso dalla camorra, ma la potente chiesa del posto si oppose e la piazza è tornata al suo vecchio nome.
Questi paesi hanno un disperato bisogno di vuoto, ma ancora non lo sanno. Potrebbe sembrare strano che luoghi così rovinati siano sempre più abitati, ma la forza e il sollievo vengono dal fatto che ci si può spostare. In fondo non si sta a Pagani, ma in un posto che è vicino Napoli, vicino Salerno, vicino Amalfi e a Pompei. La statale, l’ autostrada e la ferrovia attraversano il paese, si vive in un a sorta di tapis roulant, un movimento frenetico che non fa nascere l’idea di fuggire da questi luoghi.
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