Per il cinquantenario dei Beatles, sotto il titolo Quei ragazzi che cambiarono il mondo Mariella Venegoni rievoca per “La Stampa” gli esordi dello straordinario gruppo musicale. Ho scoperto che Lennon aveva una zia Mimì. Anch’io. Antipaticissima! (S.L.L.)
Fu in un club un po' così di Amburgo, «The Indra», ai bordi del quartiere a luci rosse, con i tendoni polverosi e pesanti che non si erano ancora decisi ad abbandonare gli svolazzi del cafè chantant, che il 17 agosto 1960 - cinquant'anni fa - si consumò la prima serata musicale di un contratto firmato a nome «The Beatles». Fin lì John Lennon, che già era il piccolo boss della formazione, si era cimentato prima di partire da Liverpool nell'invenzione dei nomi più fantasiosi, finché se n'era uscito con «Silver Beetles», scarafaggi d'argento, per fare il verso ai «Crickets» (grilli) di Buddy Holly, uno dei suoi modelli; poi, in uno di quei giochi di parole di cui andava fiero, aveva optato per «Beatles», in aperto omaggio al movimento beat.
Quando arrivarono ad Amburgo, i Beatles erano cinque ragazzotti dai vent'anni in giù: le foto ce li mostrano magri e ancora piccoli, con un sogno negli occhi e l'aria povera distratta dal (mai) troppo futuro che si vedevano davanti. C'è il batterista Pete Best con bananone, e poi al basso (con gli occhiali neri da maledettino) Stuart Sutcliffe, l'amico del cuore di Lennon fin dai tempi dell'Art School: che ebbe un ruolo fondamentale nella storia dei poi Fab Four per almeno due motivi. Primo, perchè di lui si innamorò all'istante Astrid Kirchherr, genialoide ai primi vagiti pure lei e futura celebre fotografa, che fu poi l'autrice del look e del taglio di capelli di tutta la band, destinati a lasciare un segno nell'epoca. Secondo, perché un giorno, passeggiando per Amburgo, Stuart si imbatté in un altro liverpoodiano appena arrivato a suonare in città, Ringo Starr e lo invitò a incontrare gli altri amici. Come raccontò più tardi Ringo: «Una mattina, quando per la prima volta andai in Germania, ho incontrato Stuart nella Grosse Freiheit. Non lo conoscevo, ma mi invitò in un bar che vendeva pancakes e mi ha procurato il mio primo pranzo».
Stuart abbandonò poi la band, rimase ad Amburgo con Astrid e morì due anni dopo, nel '62, di emorragia cerebrale, a soli 21 anni. Gli altri membri della formazione erano, ovviamente: John Lennon, Paul McCartney e George Harrison, che di tutti aveva l'aria più smarrita ed era anche il più giovane, anzi ancora minorenne: tanto che quando poi in novembre la polizia lo scoprì, lo rimandò a casa perché non poteva lavorare in un quartiere a luci rosse. Il contratto (che ancora esiste, ancorchè bruciacchiato in un incendio), firmato con l'impresario Bruno Koschmider, legava i cinque speranzosi fino alla fine del 1960; ma il 3 ottobre la protesta dei vicini per il rumore si incattivì a tal punto che i ragazzi furono costretti ad alzare le tende e andare a suonare in un altro locale, dello stesso proprietario. Senza, peraltro, cambiare lo stile di vita dei primi mesi: suonavano otto ore per notte, sette sere la settimana. Dormivano in tre stanzini sopra l'«Indra», senza finestre, alle spalle lo schermo di un cinema sporco e malfamato come tutto il quartiere; si lavavano e cambiavano nella toilette dei frequentatori del club, mangiavano sul palco.
Di tali ricordi non rimase traccia, quando tornarono a Liverpool e Lennon sbarcò a casa da zia Mimì raccontando invece un'esperienza di virtuoso visitatore di musei. Più tardi, avrebbe confessato che era stato, quel palco, una scuola di libertà musicale senza paragoni: «Ad Amburgo abbiamo fatto davvero progressi. Provavamo tutto ciò che ci passava per la testa, senza copiare da nessuno perché mancava la materia prima. Suonavamo e ai tedeschi andava bene così, purché il volume fosse alto». Altre testimonianze d'epoca lo danno per gigioneggiante sul palco e non solo: si legge che non si facesse scrupolo a usare un linguaggio volgare, o a fingere crisi convulsive mentre suonavano Hound Dog. Piu' tardi, al Kaiserkeller, l'altro locale dove i Beatles si esibirono, faceva il passo dell'oca e il saluto alla Hitler, innervosendo l'ex soldato e proprietario Koschmider. Nessuno, allora pensava che i Beatles sarebbero poi diventati «quei» Beatles: ma già il 17 dicembre '60, al ritorno a Liverpool, i cartelli che annunciavano il loro primo concerto a casa, al Casbah, urlavano «Il ritorno dei favolosi Beatles». Una leggenda era cominciata. Cinquant'anni dopo, Ringo il pigro ha appena compiuto 70 anni e Paul McCartney e' impegnato in un tour negli Stati Uniti che è fra i pochi a sbancare i botteghini in una stagione che fa piangere i promoter yankee; chissà se troverà il tempo per ricordarsi di chi non c'é più. Delle mattane di John, e di George che era troppo giovane, quella volta all'Indra di Amburgo.
“La Stampa” 18 luglio 2010
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