Simenon si occupa di politica solo sotto il profilo psicologico. Quando la tira in ballo, nelle inchieste del commissario Maigret come nei romanzi-romanzi, è per studiarne i meccanismi, indagare le dinamiche. Non prende partito, se non quando gli serve. E se lo fa, sono le circostanze a dettare le sue posizioni. Capita però che siano i libri a parlare per lui, a sua insaputa. Il Presidente, romanzo che scrisse nel 1957 (da cui Verneuil trasse un film interpretato da Jean Gabin) - ora in uscita da Adelphi (trad. di Luciana Cisbani, pp. 155, e16) - è dedicato alla figura di un uomo politico che, approdato alla vecchiaia, vive in bilico tra i ricordi di un passato in prima linea e il nulla del presente, con la minaccia della morte che pesa su di lui e potrebbe bussare alle finestre da un momento all'altro. Augustin ha tenuto le redini del Paese come presidente del Consiglio ed è stato al centro di eventi storici di prima importanza. Ottantaduenne, è ormai fuori dai giochi e trascorre giornate tutte uguali sulla costa normanna, agli Ebergues, una tenuta a mezza strada tra Etretat e Fécamp, al riparo da sguardi indiscreti. Diminuito nel fisico, è discretamente assistito da tre medici, un'infermiera, una segretaria, una cuoca, una domestica e un autista, (fin troppo) attenti a ogni suo gesto e istruiti sul da farsi in caso di emergenza.
Dietro alla figura austera di Augustin, le biografie ci invitano a vedere quella di un uomo politico reale che terminò la sua esistenza in isolamento riflessivo dopo una lunga vita trascorsa a decidere dei destini del Paese: Georges Clemenceau. Negli Anni Trenta, Simenon aveva conosciuto e frequentato un suo ex segretario poi diventato ministro degli Interni, Georges Mandel, uomo che secondo Churchill avrebbe potuto essere la voce della Francia libera ma che fu molto sospettato di collaborazionismo. Tra le alterne vicende della sua esistenza, gli accadde di essere fatto arrestare da un Pétain appena arrivato al potere. Ebreo, venne in seguito rinchiuso in un campo di sterminio, ma poi fatto liberare nel '44 dallo stesso Pétain, che mandò i miliziani a prelevarlo in macchina. A Fontainebleau lo fecero scendere e lo ammazzarono. Ufficialmente, sarebbe stato assassinato dai partigiani (l'attuale presidente francese, Nicolas Sarkozy, ne ha scritto una biografia trasformata in pellicola da Goretta).
Habitué del Café de Paris, negli anni ruggenti dell'approdo al successo, ai soldi e alla mondanità, Simenon vi incontrava Rothschild e Mandel. Lo aveva impressionato una frase che sarebbe stata pronunciata dal presidente Clemenceau sul suo segretario: «Io scoreggio, e lui si porta dietro il fetore». Augustin, nel romanzo, è davvero fuori dai giochi come sembra? Quando fisico e mente glielo consentono, scrive le sue memorie, e i contenuti di quegli scritti fanno gola a più d'uno. La Francia sta vivendo una grave crisi istituzionale, e il Presidente della Repubblica ha incaricato Philippe Chalamont, indipendente di sinistra, di formare un governo di larga coalizione. Entro il mattino si saprà se ha accettato l'incarico. Augustin segue i notiziari per radio. Chalamont era stato un tempo suo segretario e protetto. Poi lo aveva allontanato da sé con l'accusa di alto tradimento e lo aveva costretto a firmare una dichiarazione in cui riconosceva le sue colpe. Adesso quel foglio si e' fatto bruciante: l'ex presidente lo nasconde tra le pagine di un libro, lì agli Ebergues, ed è convinto che nella notte Chalamont verrà. Potrebbe precederlo, e con una telefonata distruggerlo. Esita. Gli piace pensare che ha ancora in mano la Storia, ma allo stesso tempo la cosa lo turba. Saprà essere la Tigre di un tempo? Vuole esserlo?
Per Simenon non c'è alternativa possibile. Politica è sinonimo di corruzione. Una massima di Augustin, quando era al governo, cancellava l'individuo di fronte alla funzione. Che ne è oggi di quella massima? Simenon gode, e ci attira con lui, a insinuarsi nelle contraddizioni di una mente che apparentemente oscilla.
Contraddittorio e ambiguo dal punto di vista ideologico, Simenon lo fu quant'altri mai. Capace di tuonare come il più integerrimo dei moralisti dalle colonne della cattolica e conservatrice Gazette de Liège contro la prostituzione e al tempo stesso suo fruitore quasi giornaliero. In fatto di politica, preferiva affermare il suo disinteresse, ma se la cavò in modo da non perdere mai un possibile vantaggio immediato. Quando giovane giornalista si stava facendo un nome (all'epoca firmava Sim), assecondò la linea della “Gazette de Liège” scrivendo una serie di articoli pesantemente antisemiti, nei quali metteva in guardia contro «la piovra ebraica» e giustificava gli argomenti aberranti dei Protocolli dei Saggi di Sion prendendoli per buoni. A tempo debito, avrebbe poi rinnegato queste sue esternazioni protestando amicizia per gli ebrei.
Ma aveva saputo anche radicalizzare le posizioni del suo giornale, quando aveva denunciato il «complotto giudeo-massonico contro la religione e lo Stato», e additato i massoni come gli alleati dei figli d'Israele nel progetto di instaurare nel mondo intero un «supergoverno ebraico» con l'aiuto dei puritani inglesi e delle dittature comuniste. Purché lo pubblicassero e lo pagassero, scriveva per chiunque: anche per il giornale nel quale era implicato il fratello Christian, la cui partecipazione al massacro di Courcelles Simenon coprì, per ragioni familiari. Negò a posteriori ogni accusa di collaborazionismo durante la seconda guerra mondiale, adducendo ragioni di salute, sue e del figlio Marc, per certi comportamenti ritenuti sospetti, ma i soldi guadagnati in quegli anni, i libri pubblicati e i film realizzati nonostante l'occupazione, varie amicizie pericolose, da Robert Courtine a Arletty, da Drieu La Rochelle a Robert Brasillach, sono innegabili. Come la partenza per gli Stati Uniti, finita la guerra: anelito modernista, per sé e per il figlio Marc, o paura delle ritorsioni e del comunismo?
Piccolo borghese di nascita, «populista» e impareggiabile conoscitore delle «petites gens» che non si stancò mai di scrutare nei suoi romanzi, ma puntando all'alta borghesia agiata come classe da disprezzare e conquistare insieme, Simenon fece apparentemente tutto quello che volle rimanendo però per se stesso un assoluto mistero. Come scrisse a uno dei primi e più convinti ammiratori della sua scrittura, Andrè Gide: «L'unico terreno proibito alla conoscenza non e' forse il proprio io? Io ne sono convinto ed e' per questo che spesso baro con me stesso. Faccio finta di non sapere per non sfidare il destino».
"La Stampa - Tuttolibri" 1-09-2007
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