11.3.12

Rossella Falk ricorda la Compagnia dei Giovani.

La Compagnia dei Giovani, fondata da tra gli altri da Romolo Valli, rappresenta un punto assai alto nella storia del teatro italiano. Io ho memoria delle trasposizioni televisive dei loro spettacoli; anche un ragazzo di paese come io ero poteva riconoscerne la classe, la cultura, l’intelligenza. Ricordo soprattutto i Sei personaggi: mi sorpresero e mi affascinarono (anche perché quasi nulla sapevo della grande invenzione pirandelliana). Nel trentennale della morte in un incidente di Romolo Valli, Rossella Falk, che con Valli, De Lullo e De Ceresa ne fu uno dei pilastri, ricorda la Compagnia e la sua storica esperienza. Credo che l’intervista, raccolta per “La Stampa” da Michela Tamburrino, confermi una mia convinta impressione: che nel nostro teatro tra gli anni Sessanta e Settanta i Giovani fossero una sorta di contraltare a Dario Fo. Fo in quegli stessi anni si politicizzava a sinistra e cercava di legarsi al mondo operaio e popolare cercando radici nell’arte giullaresca e nel teatro popolare di piazza e di mercato. I Giovani rappresentavano con coraggio e coerenza la scelta opposta, di un teatro, di pensiero e di parola, borghese. Anzi alto-borghese. (S.L.L.)
Rossella Falk con Romolo Valli
Solo a sentirla, Rossella Falk, s'intuisce. I lucciconi negli occhi ma il sorriso in volto perché lei, Romolo Valli e la storica Compagnia dei Giovani, se li ricorda con la gioia dei migliori anni della sua vita, «anni di pura felicità in un reciproco darsi e avere che ci ha arricchiti come attori e come persone».
Signora Falk, insieme dal 1954 al '74, quaranta spettacoli all'attivo, altrettanti successi. Quale era il vostro segreto?
«L'essere uguali, in tutto. Amici, con il desiderio di stare insieme, oltre il palcoscenico. A cena sull'Appia Antica da Romolo, le vacanze a Capri. Vede, ci davano degli snob ma non lo eravamo affatto. Solo provenivamo tutti dallo stesso milieu, il livello sociale ci accomunava e così ci siamo trovati persino su questo. Quando eravamo in tournée le grandi famiglie organizzavano pranzi per noi e il dopoteatro era in casa Agnelli o Rospigliosi. Così si e' creata attorno a noi un'aura algida che non ci apparteneva. Ma c'era dell'altro».
Vale a dire?
«Il nostro modo di recitare: il rigore, la pulizia, l'eleganza. Non per niente si andava a vedere uno spettacolo dei Giovani con aspettative alte».
La prima cosa che le viene in mente quando si nomina Romolo Valli?
«L'incredibile simpatia e il suo essere un grande affabulatore. La mamma di Reggio Emilia che ci cucinava i tortelli alla zucca. Tutti li trovavano fantastici e pure io, che detesto la zucca, li mangiavo di buon grado. E le risate in quei tre mesi di tournée in America Latina, le serate in nave, gli scherzi».
E che ricorda della maledetta sera di trent'anni fa?
«Ero a Berlino per vedere le repliche di Applause che io avrei dovuto riprendere. Mi telefonarono dall'Eliseo, presi di notte il primo aereo e andai in teatro dove c'era la camera ardente. Era di carnevale, tutta la strada era ricoperta di coriandoli e c'era tanta gente allegra in strada. Mi parve un'immagine surreale».
Di quell'incidente d'auto si sono dette tante cose...
«Io non ci vedo nulla di strano perché Romolo guidava malissimo. Una volta fece tutta via Montenapoleone a Milano in senso inverso. Ed era daltonico, così vedeva il colore del semaforo scambiato. Era uscito da un club dove era andato a una inaugurazione del grande amico Enrico Lucherini che aveva anche recitato con noi ai tempi dei Giovani. Forse la stanchezza, la sua storica distrazione. Io non sono più passata per il luogo dell'incidente. Dopo tutto è cambiato. Giorgio De Lullo, per il dolore, si è lasciato andare: troppo champagne, un anno dopo è morto. Non poteva vivere».
Il suo più grande rimpianto?
«Non siamo riusciti ad avere un teatro nostro, una casa. Ci abbiamo provato ma anche allora c'erano problemi politici. Un po' come oggi, con il governo completamente disinteressato alla cultura. Non mi stupisce che abbiano dimenticato di ricordare Valli, il teatro non piace più, meglio gli pseudovip, come televisione insegna. Io non farò più compagnia, basta, non ne ho più voglia. L'ultima volta ho lavorato con Cristina Comencini, una sua commedia per Raisat. Ma che crede, non la trasmetteranno mai». 

“La Stampa” 31 luglio 2010

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