15.3.12

La Malinche, Cortéz e la Conquista:attualità d'una leggenda (di Clara Gallini)

Un'antica illustrazione con la Malinche e Fernando Cortéz
Malinche, Malitzin, Mallena, Malena, Marina, Maria... Dell' amante e interprete di Fernando Cortéz neppure il nome è certo. O forse i suoi nomi furono molteplici, plasmabili, variabili... ma in rapporto a che? Variabili perché in momenti diversi della sua vita o della memoria della sua vita qualcun altro declinò il suo nome in termini diversi, ora ponendo l'enfasi sul suo carattere originario - indio, azteco - ora quasi translitterandoli in termini cristiani? Oppure fu lei che decise di cambiarli, come si potrebbe cambiare vestito a seconda delle occasioni e del mutare dei referenti sociali? Perché, come vedremo, Malinche (o com'altro si sia chiamata) fu signora della parola e proprio attraverso questo dominio riuscì a riscattarsi da una condizione servile. Malinche-Maria... Oscillazioni giocate da chi? O forse rimandi biunivoci, di cui sarebbe impossibile individuare il primo motore? Ma sappiamo che così non può essere stato. Ci fu un evento. Questo evento fu la Conquista.
Connesso al nome della Malinche è anche quello della Llorona, la Grande Piangente. La Llorona è stata vista e udita da molti di quella varia popolazione, meticcia e povera, che affolla le vecchie case coloniali del centro storico, ormai fatiscente, della capitale, ma si è ripresentata anche altrove, al centro e al Sud del Messico. Piange il suo bambino morto, in uno sconsolato vagare notturno, alla ricerca del suo piccolo corpo insepolto. Il fantasma della Llorona ha trasmesso per secoli la memoria della Conquista vissuta come un genocidio e come drastica interruzione di quelle discendenze, che solo la disponibilità di una donna può assicurare. Immagine di una sofferenza senza possibilità di estinzione, il suo pianto è un memento solenne e tragico, necessario perché i ricordi si conservino intatti. Ma nel "non più" di questo iterato lamento possono anche annidarsi sconsolate constatazioni che nulla più rimanga da fare.
Ma della Malinche, per così dire, in vita, si raccontano altre storie, almeno fin dai tempi in cui furono redatte le più antiche Cronache della conquista, perfino confermate dal ritrovamento di alcuni documenti degli archivi coloniali. Nata da una famiglia india del Sud-Est che l'avrebbe precocemente venduta come schiava-bambina, la Malinche avrebbe conosciuto diversi passaggi di mano fino poi a far parte di un pacchetto-dono di una dozzina di ragazzine offerte ai conquistatori e di qui arrivata al loro capo, Fernando Cortéz, di poco sbarcato sulle coste messicane assieme al suo drappello di predoni dotati delle armi più moderne. Siamo nel 1521, ma questa memoria continua a bruciare.
Schiavitù e poliginia in quegli anni erano accettate e praticate tra i ceti alti sia del Messico pre-coloniale sia della cattolicissima Spagna. Per tutti gli anni in cui rimase in questa parte del Nuovo Mondo, Cortéz si tenne la Malinche come principale concubina, ma la Malinche - così si racconta - si fece cristiana col battesimo e seppe guadagnarsi al fianco del suo signore e padrone un potere di tipo nuovo e inedito in entrambi i paesi che si affacciano sulle due sponde dell'Oceano. Doveva aver capito qualcosa di fondamentale: che nessun padrone fa mai lo sforzo di imparare una lingua straniera, specie se minoritaria. E che arrivare a possedere le chiavi della comunicazione poteva essere una strategia vincente.
Nel corso della sua giovinezza da schiava, la Malinche aveva cambiato padroni e residenze, e proprio nei segreti circuiti delle donne aveva di volta in volta affrontato e risolto il problema di parlare una lingua nuova e diversa. Apprese infine progressivamente le due lingue allora dominanti: il quechua, che era parlata dagli Aztechi, quindi lo spagnolo. La sua carriera si trasformò. Divenne l'interprete ufficiale di Cortéz, che per esperienza - come tutti i conquistatori, che furono coinvolti in problemi analoghi - conosceva bene quanto ci si dovesse cautelare da interpreti inetti o malfidi. Fu questa la strada che le consentì di esercitare un insostituibile ruolo diplomatico per tutto quel lasso di tempo in cui Cortéz intrattenne rapporti di pace e di guerra con i vari capi locali: una diplomazia violenta e complessa, protrattasi oltre l'uccisione di Montezuma, morte in un certo senso preparata anche col contributo di colei che le Cronache avrebbero indicato come Doña Malinche.
Nei codici illustrati in cui si narrano questi episodi della Conquista la Malinche è sempre raffigurata in una posizione di rispetto: o sola o a fianco di Cortéz, comunque all'interno di composizioni grafiche che raffigurano due aspetti salienti degli scambi, materiali e simbolici, al cui centro essa si pone. La prima scena è quella che la rappresenta nell' atto di ricevere i tributi dalle popolazioni che, per opporsi all'egemonia di Montezuma, avevano pensato bene di allearsi con gli spagnoli - forse, alcuni storici ipotizzano, Malinche proveniva proprio da un paese ostile agli Aztechi. La seconda scena, che è anche la più bella e più nota, è quella del Codice Fiorentino, in cui si rappresenta la Malinche al centro, tra Cortéz e Montezuma, mentre porge dalla sua mano il glifo della parola. Questa posizione del glifo implicherebbe l'idea della complessità di ogni pratica comunicativa.
La storia, in breve, continua così. Cortéz, prima di tornare in patria, cede questa donna preziosa e insostituibile a un amico e collega perché la prenda in moglie. Comunque, da Cortéz la Malinche aveva già avuto un figlio maschio - dunque, un meticcio - che fu battezzato e riconosciuto e del padre portò il nome terribile e potente, sì che da grande gli sarebbe perfino succeduto nell'esercizio di alcune cariche politico-amministrative. Pochi cenni farebbero intendere dell'esistenza di una figlia, avuta da non si sa chi, e sua pallida ombra.
Il fascino esercitato dalla storia della Malinche consiste forse nell'ambiguo segreto di cui detenne le chiavi. Per essere pieno ed efficace, il maneggio della parola dovette passare attraverso complicate procedure di adeguamento di stili linguistici e culturali diversi. A questo proposito Zvetlan Todorov nella Conquista dell'America ricorre al termine di mediazione culturale per definire le operazioni messe in atto dalla Malinche: ma quello di mediazione mi sembra un termine neutro, insufficiente ad esprimere le condizioni reali , i complicati nessi di potere e dipendenza, al cui interno la Malinche generò parole e figli, entrambi bastardi marcati dalla violenza, ma entrambi per lei inevitabili.
Due Malinche, dunque: una Piagnona, una Stratega? Una leggendaria, una storica? O non piuttosto parti diverse di un'unica narrazione, comunque esercitata attorno a temi oggi più attuali che mai: la conquista e il potere, le armi e la parola, gli spazi di libertà e di scelta, di radicali affrontamenti e di realistici compromessi ... E dentro a questo, l' opposizione tra il mito di un passato puro, di un Paradiso indio da sognare e rivendicare e, d'altro lato, il riconoscimento di origini spurie della storia di un paese, nato da una violenza di cui una donna si fece carico. Questioni non solo etiche, ma anche politiche, di piena attualità, attraversano gli attuali ripensamenti di questo personaggio.
La varietà dei giudizi attraverso cui è storicamente passata la figura della Malinche nell'età moderna è un indizio molto preciso di quanto aperte siano queste questioni: per quanto più strettamente attiene la storia del Messico dall'Ottocento in poi, fece parte integrante del suo mito nazionalistico anche la stigmatizzazione della figura della Malinche rappresentata come traditrice del suo popolo di appartenenza. E' in questo quadro che la borghesia creola, artefice della rivoluzione e della costituzione dello stato-nazione ha anche coniato il termine di malinchismo per indicare ogni forma politica di sottomissione allo straniero, nella fattispecie lo spagnolo.
"La Malinche, figura fondamentale della storia del Messico, è stata investita di un alone di sospetto che la identificò con Eva a partire dalla sua espulsione dal paradiso; condannata al silenzio e trasformata in uno dei personaggi più frequentati della letteratura creola. Deificata da alcuni e satanizzata da altri, ha ispirato tragedie, drammi romantici, cronache, poemi e perfino caricature". Questa sintetica informazione viene fornita al lettore della quarta di copertina di un libro uscito nell'autunno scorso presso le edizioni Taurus del Messico: La Malinche, sus padres y sus jijos curato da una storica, Margo Glantz, che raccoglie una serie di saggi di vari studiosi e letterati, capaci di interrogare assieme miti ancora attuali e vicende narrate dalle antiche cronache, nel principale intento di ritrovare le tracce delle procedure culturali messe in atto da questa impareggiabile donna nell'invenzione del suo ruolo. Pernio di molti discorsi è l'ambiguità del binomio "traduttore"-"traditore". Le diverse letture "al femminile" del nostro personaggio insistono molto su questo tema del tradimento, quasi trasformandolo in un nuovo mito fondatore di quei processi di ibridazione culturale, di cui si sottolinea il valore, anche nel confronto oppositivo rispetto ai miti neorazzisti della purezza etnica. Più in generale la questione è sentita e dibattuta in tutta l'America Latina, anche con non secondari risvolti nei confronti di un certo radicalismo indigenista, di cui si denunciano limiti e chiusure.
La Conquista de la Malinche, edizioni Diana, è un altro testo uscito nelle librerie in significativa coincidenza col precedente. Ne è autrice Anna Lanyon, una storica che viene dall'Australia e, dopo aver letto tutto il leggibile sulla Malinche, si ingaggia in una sorta di viaggio iniziatico lungo un percorso che attraversa tutto il Messico, dal Nord fin giù ai confini dello Yucatan, per seguire le tracce degli antichi movimenti della Malinche. Non vi sembra straordinaria questa capacità seduttiva, che dura fino ad oggi? E' dal suo racconto di pellegrinaggio che ho appreso le narrazioni sulla Llorona, diffusi almeno da Città del Messico a Tlaxcala e ancora più a Sud, in quelle regioni dove nell' età precoloniale non era ancora giunto il feroce dominio degli Aztechi e dove la Malinche avrebbe tratto i natali, forse cadetta di una famiglia nobile che, se fosse vissuta nell' Europa cristiana, non sarebbe finita schiava ma monaca. Sempre da lei ho appreso che la memoria della Malinche è conservata in corsi di fiumi, dorsi di montagne, chiamati ciascuno con una delle tante varianti del suo nome, disseminate lungo tutto il territorio del Messico.
Personaggio davvero poliedrico e misterioso, il suo. Perché di lei, della sua parola, nulla è rimasto se non il detto da altri su di lei, che pure della parola fu signora in una difficile strada di conquista di una possibile libertà. Ma anche da questa espropriazione - dunque, da questa violenza - ha trovato sviluppo tutto un processo riflessivo vitale ed aperto, che coinvolge anche noi, nel preciso momento in cui le coercizioni di un'economia globalizzata e del più forte inducono processi rispetto ai quali la storia della Malinche sembra quasi essere il vivente apologo.

"il manifesto" 20.02. 2002

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