1.3.13

Il mito e il Novecento. L'Ulisse di Savinio (di Piero Cudini)

Da un articolo dell'italianista Cudini (Normale di Pisa) dedicato ad alcuni romanzi sul football e la scuola, recupero un pezzetto acuto e stimolante. (S.L.L.)
Capitano Ulisse alla Biennale di Venezia  del 2009 (foto Bortot - Nicoletti)

Il Novecento ha decostruito e ricostruito i miti classici facendoli reagire con la contemporaneità, con ciò trasformandoli proprio nel riaffermarne la validità archetipica, di riferimento, al momento stesso in cui ha inteso distanziarsene.
L'Ulisse che, al termine della pièce di Savinio (Capitano Ulisse,1925 – ed. Adelphi, 1989) sceglie di non rimanere a Itaca accanto alla sua Penelope e di non affrontare il "folle viaggio", ma, borghesemente abbigliato, scende dal palco e s'allontana, insieme con uno spettatore, verso il fondo della sala, rinuncia alle possibili realizzazioni del suo destino mitico, e rende realizzabile una normale vita da essere umano.
Come scrive Savinio, «le apparenze tentatrici, le seducenti assurdità, Ulisse se le è buttate dietro le spalle. Ora che dopo tanto ha finalmente imparato a vivere, Ulisse, quando ne avrà voglia, potrà anche morire».
E, a me sembra, un modo esemplare di attualizzare - non necessariamente, secondo certi malintesi canoni novecenteschi, di "degradare" - il mito; che del resto ha insieme, nella sua stessa essenza, i caratteri dell'attualità continua, non meno che quelli della storicità.

da "La Rivista dei Libri" - Luglio/Agosto 2000

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