Nel giugno scorso, in occasione
della pubblicazione per l'editore Gallimard - nella prestigiosa "Bibliothèque
de La Pléiade" - delle opere autobiografiche complete
(Œuvres autobiographiques complete)
di Blaise Cendrars (due tomi in cofanetto, più di duemila pagine), la
recensione del quotidiano “Le Monde” è stata affidata alla bella penna di
Jannelle. La posto qui nella mia traduzione. (S.L.L.)
Spesso Guillaume Apollinaire è
stato chiamato "l'Enchanteur"
(“l’Incantatore”); l’epiteto potrebbe
altrettanto bene applicarsi a Blaise Cendrars (1887-1961). Durante la sua
giovinezza egli fu celebre soprattutto come poeta : nel 1912, la sua Pasqua a New York fa ascoltare una voce potente, fino ad allora
sconosciuta. Dopo la Grande Guerra, è un romanzo, L'Oro, qui gli procura il suo primo successo tra il gran pubblico nel
1925. Infine, a partire dagli anni Trenta, lo si conosce come reporter et
"bourlingueur" (giramondo)
; è lui, da allora, a far entrare con il significato di “girovagare” il verbo
"bourlinguer" nel
dizionario francese.
Sotto ciascuna delle sue facce,
Cendrars est lo scrittore del movimento, di chi va, dell’inatteso. La Prose du transsibérien, il suo grande
poema apparso nel settembre del 1913 nella forma di un libro verticale illustrato
da une "armonia di colori" con la tecnica del pochoir (una sorta di stampino) da Sonia Delaunay, ne è il simbolo
: "Allora ero nella mia adolescenza / Avevo appena sedici anni e non mi
ricordavo più della mia infanzia / Ero lontano dal luogo di nascita, a 16.000
leghe di distanza". La musica era stata l'arte “sorella” della letteratura
nell’epoca simbolista; all’inizio degli anni Dieci, sono la pittura e l’insieme
delle arti plastiche a giocare questo ruolo: all’amore della melodia si
sostituisce una ricerca di simultaneità. La vettura, il treno, l'aereo, il telefono,
la radio ... : è il tempo della velocità.
Un tutto coerente
Non è né il poeta, né il
romanziere d’avventure, né il giramondo che entra oggi nella "Pléiade", ma l’ultimo Cendrars, il
più attraente forse, l’autore di quegli strani libri, che egli descrive come
delle "Mémoires sans être des
Mémoires..." ("memorie senza essere memorie").
L'Homme foudroyé
(1945), La Main coupée (1946), Bourlinguer (1948) et Le Lotissement du ciel (1949) formano un
tutto coerente, che alcuni sorprendenti testi giovanili completano. Accanto a
loro si trovano in particolare i frammenti di un primo progetto autobiografico,
al quale Cendrars aveva pensato di dare questo titolo luminoso: Sotto il segno di François Villon. Ma non stupiamoci: lo scrittore
non ha mai seguito un piano; in ciascuno dei suoi libri egli inventa una
maniera totalmente inedita di raccontarsi. La tetralogia propone nondimeno una voce particolare, che fa di Cendrars uno dei grandi autobiografi del secolo scorso,
con André Gide, Jean-Paul Sartre, Michel Leiris o Nathalie Sarraute.
Già professore a Parigi-Nanterre,
Claude Leroy realizza qui l'esito finale di tutta una carriera votata
all’erudizione cendrarsiana. Una erudizione che tempera, in questa edizione
della "Pléiade", una vera empatia per lo straordinario "mitobiografo"
che fu Blaise Cendrars. La sua amputazione, durante la guerra, del braccio destro
("son bras d'écrivain et de guerrier")
costrinse il poeta a rinascere alla scrittura dal suo lato sinistro. Gli
accadde allora di doversi reinventare nel dolore e nella goffaggine, ma liberato
delle vane rivalità di Saint-Germain des Prés e dei canoni del buonsenso
estetico.
In Cendrars la distinzione tra
sincerità, mitomania e finzione non ha più corso. Rovesciando radicalmente ogni
cronologia, egli tralascia i personaggi storici a vantaggio di sconosciuti che
egli erige in figure indimenticabili. Per esempio un tal Oswaldo Padroso, il
cui vero nome era Luiz Bueno de Miranda, proprietario della fazenda del Morro Azul nello Stato di
San Paulo, che inventa une costellazione battezzata "Tour Eiffel sidérale" (mai riconosciuta, e a ragione, dalla Société astronomique de France), vissuto
a lungo in reclusione a causa del suo amore per Sarah Bernhardt, cui scriveva
ogni notte poemi nascosti con cura in una cassaforte.
Cendrars fa della propria vita una
serie di episodi più sbalorditivi di quelli del romanzesco più sfrenato, ma lo
stile è di una sofisticazione e di una bellezza pari a La Règle du jeu (1948-1976), di Michel Leiris. Tutto è soggetto a
un incantamento simile a quello del giovane Cendrars che osserva a 11 anni, “pettinato,
lustrato, cosmetico”, la bella Liane de Pougy, il suo primo amore da uomo,
avenue Victor-Hugo : "Quando lei scendeva la scala dal suo mezzanino, io
le cedevo il passo schiacciandomi contro il muro e le rivolgevo una grande
scappellata arrossendo fino alla radice dei capelli, io m’inclinavo
profondamente per nascondere la mia emozione ma anche per seguire con gli occhi
la sua veste frusciante che gorgogliava dietro di lei, cadendo a cascata da un
fianco sull’altro fino alla base della scala a chiocciola, il che mi riempiva
di un turbamento fatto d’ammirazione e di costernazione e mi faceva girare la
testa con più forza della vertigine dei suoi effluvi che turbinavano nella sua
scia”.
Non è il caso di aggiungere che
il suo “angelo” (la formula risale a Balzac) non lo ha mai notato. Marcel, il
narratore di A la recherche du temps
perdu, usava lo stesso sotterfugio per avvicinare la duchessa de
Guermantes. In Cendrars, nessuna strategia per accedere ai salotti più
esclusivi dell’aristocrazia, nessuna riconquista di un tempo perduto; il
passato è da catturare a scatti, come quel colpo d’occhio sul frou frou di una veste. Egli è tenero e
crudele, divertente e mistico, eterogeneo eppure sempre sorprendente come il
primo sguardo.
" Le Monde", Le Monde des livres, 13.6.2013
Traduzione Salvatore Lo Leggio
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