Leonardo Boff |
Leonardo Boff , francescano brasiliano, è considerato da
molti l’esponente più significativo della “teologia della liberazione” e di
quel cattolicesimo che nel subcontinente latino-americano aveva scelto di stare
dalla parte dei poveri e delle loro lotte. Per questo aveva subito dal
Vaticano dei veri e propri processi e la
sua opera era stata sconfessata e condannata soprattutto durante i papati di
Wojtila e Ratzinger. A sorpresa oggi Boff, a pochi mesi dalla elezione a
pontefice di Bergoglio, ha salutato in costui un vero innovatore, scrivendo
addirittura un libro che lo connette al santo di cui porta il nome, Francisco de Assis e Francisco de Roma (Editora
Mar de Ideias, Rio 2013). Una sorta di sintesi delle ragioni di Boff si ritrova
nell’editoriale qui “postato” che “il manifesto” ha collocato in prima pagina,
tradotto da Flora Misitano. La mia impressione è che egli affidi troppe
speranze al nuovo papa. Non credo che la radicale rivoluzione che Boff già vede
in atto sia nella volontà di Bergoglio e ancor meno nelle sue effettive
possibilità. E tuttavia ritengo utile, nel mio piccolo, di far circolare le sue
tesi, perché siano conosciute e discusse. (S.L.L.)
È azzardato fare un bilancio del
pontificato di Francesco, è passato ancora troppo poco tempo per averne una
visione d'insieme. In una sorta di lettura braille, che coglie solo i punti
rilevanti, potremmo qui elencarne alcuni.
1. Dall'inverno ecclesiale alla
primavera: veniamo da due pontificati che sono stati caratterizzati da un
ritorno alla grande disciplina e dal controllo delle dottrine. Tale strategia
ha dato luogo a una specie di inverno che ha congelato molte iniziative. Con
Papa Francesco, venuto da fuori della vecchia cristianità europea, dal Terzo
Mondo, è arrivata una ventata di speranza, di sollievo, di allegria di vivere e
pensare la fede cristiana. La Chiesa è tornata ad essere una casa spirituale.
2. Da fortezza a casa aperta: i
due Papi precedenti avevano lasciato l'impressione che la Chiesa fosse una
fortezza, accerchiata da nemici dai quali avremmo dovuto difenderci, in
particolare il relativismo, la modernità e la post-modernità. Papa Francesco ha
detto chiaramente: «Chi si avvicina alla Chiesa deve trovare porte aperte, non
dei doganieri della fede»; «Preferisco una Chiesa incidentata perché è uscita
in strada a una Chiesa malata perché chiusa». Più fiducia, quindi, e meno
paura.
3. Da Papa a vescovo di Roma: tutti i Pontefici
precedenti si consideravano Papi della Chiesa universale, portatori del supremo
potere su tutte le altre chiese e su tutti i fedeli.
Francesco preferisce definirsi
vescovo di Roma, recuperando la memoria più antica della Chiesa. Vuole
presiedere nella carità e non come previsto dal diritto canonico,
considerandosi solo il primo tra uguali. Rifiuta il titolo di Sua Santità,
ricordando che «siamo tutti fratelli e sorelle». Si è spogliato di tutti i
titoli di potere e onorifici. Il nuovo Annuario Pontificio appena uscito, sulla
cui pagina iniziale dovrebbe esserci il nome del Papa con tutti i suoi titoli,
reca semplicemente: Francesco, vescovo di Roma.
4. Dal palazzo al convitto: il
nome Francesco è più che un nome, sta a indicare un altro progetto di Chiesa
sulle orme di San Francesco d'Assisi: «Una Chiesa povera per i poveri», come ha
detto, umile, semplice, con «l'odore delle pecore» e non dei fiori dell'altare.
Per questo ha lasciato il palazzo apostolico per andare a vivere in un
convitto, in una camera semplice, e mangia alla mensa con gli altri ospiti.
5. Dalla dottrina all'esperienza:
Francesco non si presenta come dottore, ma come pastore. Parla partendo dalla
sofferenza umana, dalla fame nel mondo, dagli immigrati africani sbarcati a
Lampedusa. Denuncia il feticismo del denaro e il sistema finanziario mondiale
che martirizza interi Paesi.
Con questi atteggiamenti riprende
le basi della teologia della liberazione, senza bisogno di citarla. Dice: «Oggi
come oggi, se un cristiano non è un rivoluzionario, non è cristiano; deve essere
rivoluzionario per la grazia». E continua: «Coinvolgersi in politica è un
obbligo per il cristiano, perché la politica è una delle forme più alte di
carità». E alla Presidente Cristina Kirchner ha detto: «È la prima volta che
abbiamo un Papa peronista», non ha infatti mai nascosto la sua simpatia per il
peronismo. I Papi precedenti gettavano una luce sospetta sulla politica,
adducendo un'eventuale ideologizzazione della fede.
6. Dall'esclusività
all'inclusione: i Papi precedenti, e in particolar modo Benedetto XVI, hanno
enfatizzato l'esclusività della Chiesa Cattolica, unica erede di Cristo, al di
fuori della quale si è a rischio di perdizione. Francesco, il vescovo di Roma,
preferisce il dialogo tra le Chiese in una prospettiva di inclusione anche con le
altre religioni, per rinsaldare la pace mondiale.
7. Dalla Chiesa al mondo: I Papi
precedenti davano centralità alla Chiesa, rafforzandone le istituzioni e le
dottrine. Per Papa Francesco i punti cardine sono: il mondo, i poveri, la
tutela della Terra e l'attenzione nei confronti della vita. La questione è:
come le Chiese aiutano a difendere la vitalità della Terra e il futuro della
vita?
Come si percepisce, sono un nuovo
vento, una nuova musica, nuove parole per i vecchi problemi, che ci permettono
di pensare ad una nuova primavera della Chiesa.
“il manifesto”, 23 luglio 2013
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