18.8.13

Elogio di Pietro Germi. Un deamicisiano nell'Italia cialtrona (Gianni Rocca)

Sul finire dell’89, in una con l’implosione delle cosiddette “democrazie popolari”, Antonello Trombadori, un tempo custode dell’ortodossia stalinista e togliattiana nella politica culturale, nel quadro di una autocritica precipitosa che lo avrebbe precipitato nel pentitismo, scrisse su “la Repubblica”: “Con Germi abbiamo sbagliato”. Gianni Rocca sullo stesso quotidiano ne approfittò per lanciare un’invettiva contro l’ex campo socialista e tutti quelli che l’avevano sostenuto, Trombadori incluso. Nella replica di Rocca tuttavia c’è una parte di lode a Germi che mi pare ampiamente condivisibile. E’ quella che qui riprendo con una riflessione aggiuntiva.
C’è un pezzo di cultura e di politica nell’Italia e nell’Europa del dopoguerra che non si può ricondurre agli schemi della guerra fredda. Si tratta di personalità e di persone “a Dio spiacenti ed ai nimici suoi”, di uomini e donne che si opposero al comunismo stalinista e al regime capitalistico-clericale dell’Italia democristiana rifiutando di scegliere il meno peggio e cercando piuttosto, con fatica, di affermare - su alcune questioni concrete - principi di giustizia sociale e di laica uguaglianza. Alcuni di loro vanno oltre gli schemi della democrazia “borghese” e sono riconducibili a un avanzato socialismo: figure come Codignola, Cassola, Bianciardi, Binni, Capitini e – appunto – Pietro Germi, alle quali vanno riconosciuti, oltre allo spessore etico, gli specifici contributi utilissimi a costruire una civiltà umana fraterna e solidale. (S.L.L.)
Pietro Germi nel "Ferroviere"
Per quanti anni nell'ambiente cinematografico-zdanovista (o alicatiano) italiano non si ripeté che i film di Germi erano socialdemocratici, riformisti, deamicisiani? Che la sua ottica era piccolo-borghese, lacrimevole, priva degli influssi storicistici e gramsciani?
Ma se io, sessantenne, mi volgo all' indietro e cerco di ricordare una figura operaia, non mi viene in mente altro che il ferroviere di Germi, quella vita opaca, esclusa, fatta di sacrificio e di qualche fiasco di vino, alle prese con i reali problemi del lavoro e di una società spietata con i deboli e con i loro errori.
E per quanti bei film sul fenomeno mafioso io ricordi, nessuno cancella il primo della serie, quel In nome della legge che proprio Germi ci propose nell' immediato dopoguerra, con l'immancabile sconfitta del magistrato coraggioso (quanta preveggenza...).
E tra le improbabili figure di commissari, sul miserabile sfondo di un delitto, che i nostri registi ci hanno propinato in questi cinquant' anni, certo non inserirei quella di Ingravallo, stupendamente realizzato e recitato dallo stesso Germi nel Pasticciaccio brutto di via Merulana.
Deamicisiano, riformista? Averne...
Ma l'Italia col boom cambiava. In peggio, in meglio? Il socialdemocratico Germi fu tra i primi a coglierne con garbo, umiltà, acutezza, i risvolti affaristici, amorali, cialtroni, cinici, in una gamma ricca di annotazioni e di colori. Da Divorzio all'italiana, a Sedotta e abbandonata a quell'inimitabile Signore e signori che per primo penetrò la sonnolenta provincia italiana, in superficie immobile ma in realtà attraversata da tutti i fremiti e le stoltezze di una mutazione repentina, quasi genetica, la stessa che sta alla base del vero miracolo italiano (che ha appunto in provincia le sue vere e solide basi).


“la Repubblica”11 novembre 1989

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