Sul finire dell’89, in una con
l’implosione delle cosiddette “democrazie popolari”, Antonello Trombadori, un
tempo custode dell’ortodossia stalinista e togliattiana nella politica
culturale, nel quadro di una autocritica precipitosa che lo avrebbe precipitato
nel pentitismo, scrisse su “la Repubblica”: “Con Germi abbiamo sbagliato”.
Gianni Rocca sullo stesso quotidiano ne approfittò per lanciare un’invettiva
contro l’ex campo socialista e tutti quelli che l’avevano sostenuto, Trombadori
incluso. Nella replica di Rocca tuttavia c’è una parte di lode a Germi che mi
pare ampiamente condivisibile. E’ quella che qui riprendo con una riflessione
aggiuntiva.
C’è un pezzo di cultura e di
politica nell’Italia e nell’Europa del dopoguerra che non si può ricondurre
agli schemi della guerra fredda. Si tratta di personalità e di persone “a Dio
spiacenti ed ai nimici suoi”, di uomini e donne che si opposero al comunismo
stalinista e al regime capitalistico-clericale dell’Italia democristiana
rifiutando di scegliere il meno peggio e cercando piuttosto, con fatica, di affermare - su alcune questioni concrete - principi di giustizia sociale e di laica uguaglianza.
Alcuni di loro vanno oltre gli schemi della democrazia “borghese” e sono
riconducibili a un avanzato socialismo: figure come Codignola, Cassola, Bianciardi,
Binni, Capitini e – appunto – Pietro Germi, alle quali vanno riconosciuti, oltre allo
spessore etico, gli specifici contributi utilissimi a costruire una civiltà umana fraterna e solidale. (S.L.L.)
Pietro Germi nel "Ferroviere" |
Per quanti anni nell'ambiente
cinematografico-zdanovista (o alicatiano) italiano non si ripeté che i film di
Germi erano socialdemocratici, riformisti, deamicisiani? Che la sua ottica era
piccolo-borghese, lacrimevole, priva degli influssi storicistici e gramsciani?
Ma se io, sessantenne, mi volgo
all' indietro e cerco di ricordare una figura operaia, non mi viene in mente
altro che il ferroviere di Germi, quella vita opaca, esclusa, fatta di
sacrificio e di qualche fiasco di vino, alle prese con i reali problemi del
lavoro e di una società spietata con i deboli e con i loro errori.
E per quanti bei film sul
fenomeno mafioso io ricordi, nessuno cancella il primo della serie, quel In nome della legge che proprio Germi ci
propose nell' immediato dopoguerra, con l'immancabile sconfitta del magistrato
coraggioso (quanta preveggenza...).
E tra le improbabili figure di
commissari, sul miserabile sfondo di un delitto, che i nostri registi ci hanno
propinato in questi cinquant' anni, certo non inserirei quella di Ingravallo,
stupendamente realizzato e recitato dallo stesso Germi nel Pasticciaccio brutto di via Merulana.
Deamicisiano, riformista?
Averne...
Ma l'Italia col boom cambiava.
In peggio, in meglio? Il socialdemocratico Germi fu tra i primi a coglierne con
garbo, umiltà, acutezza, i risvolti affaristici, amorali, cialtroni, cinici, in
una gamma ricca di annotazioni e di colori. Da Divorzio all'italiana, a Sedotta
e abbandonata a quell'inimitabile Signore
e signori che per primo penetrò la sonnolenta provincia italiana, in
superficie immobile ma in realtà attraversata da tutti i fremiti e le stoltezze
di una mutazione repentina, quasi genetica, la stessa che sta alla base del
vero miracolo italiano (che ha appunto in provincia le sue vere e solide basi).
“la Repubblica”11 novembre 1989
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