Valentina e il Vampiro in una tavola di Crepax |
Se
fino a oggi l'avete immaginato scarno, pallido e con i canini aguzzi, ebbene,
sappiate che questo non è l'unico vampiro in circolazione: l'aristocratico
zannuto imposto dalla fiction ha infatti una serie di antichissimi antenati,
del tutto diversi ma non meno allarmanti. Alquanto paffuti, rubizzi e privi di
zanne, costoro non sempre succhiano il sangue (e quando lo fanno preferiscono
un buon morso al torace invece che sul collo): piuttosto danno il via ad
epidemie di peste e di colera, oppure si dedicano alla bollitura di giovani
donne o a stupidi dispetti. Ben più numerosi e fantasiosi della semplice
treccia d'aglio, della croce e del paletto nel cuore, sono, inoltre, i modi per
neutralizzarli ed eliminarli, ed esiste addirittura una casistica che consente
la «diagnosi precoce» del vampirismo.
A
parte il comune stato di non-morti e la maligna costanza con cui perseguitano i
vivi, dunque, il conte Dracula e il vampiro contadino non hanno granché da
spartire: ce lo rivela Vampiri, sepoltura
e morte (Pratiche editrice, trad. di Chiara Gabutti, pp. 322, £. 38.000),
un curioso saggio di Paul Barber, professore di storia del folclore
all'università di Princeton, che ha dedicato anni allo studio di quanto, nella
tradizione popolare, è connesso alla figura del revenant.
Nella
ricchissima letteratura scientifica sull'argomento, il libro di Barber occupa
un posto a parte, perché è forse il primo a raccogliere una enorme messe di
informazioni sul vampiro, finalizzandole soprattutto alla comprensione dei riti
di sepoltura e del rapporto complessivo che le popolazioni europee hanno avuto,
in un passato neanche troppo remoto, con la morte.
Il
dato saliente che emerge da questa minuziosa ricerca è (oltre al rigetto della
diversità, così dirompente che neppure la tomba riesce a contenerla) il timore
del «contagio»: la morte viene dai morti, e i vivi devono guardarsi da quanti,
non rassegnati ad abbandonare il mondo, vanno freneticamente in cerca di energia
vitale. L'attività del defunto è tale che la terra della sepoltura non basta a
frenarla, e i segni della decomposizione finiscono per apparire manifestazioni
di una seconda nefandissima «vita». È per questo che il morto sospetto va
ucciso due volte, attraverso esumazioni e complicati rituali: il tempo
necessario a renderlo inoffensivo (cioè a «stabilizzare» i suoi resti) è troppo
lungo per i vivi, troppo inquietante e pericoloso. Solo il nudo scheletro o la
cenere della cremazione potranno rassicurare i sonni di chi resta, ed ecco le
pire funebri davanti al villaggio riunito, e gli ossari delle cripte offrirsi
alla contemplazione.
Barber
sostiene che per comprendere ed interpretare tutto questo, cioè il dato
folclorico, dobbiamo prima cancellare l’immagine del vampiro letterario e
cinematografico. Ma sarebbe forse più interessante indagare sul bizzarro
innesto tra immaginario preindustriale e nuovi media che, tra la fine del
diciottesimo secolo e la metà del nostro secolo, ha prodotto un ibrido inarrivabile
come Dracula e i suoi molti fratelli. Doppio revenant che ha succhiato sangue e
vita dal suo modello arcaico, il vampiro «mediale» è, infatti, un autentico e
singolarissimo esempio di folclore moderno, che come tale va studiato.
“il manifesto”, 14 luglio 1994
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