13.8.13

Dracula & C. Vampiri folclorici e vampiri mediali (di Francesca Lazzarato)

Valentina e il Vampiro in una tavola di Crepax
Se fino a oggi l'avete immaginato scarno, pallido e con i canini aguzzi, ebbene, sappiate che questo non è l'unico vampiro in circolazione: l'aristocratico zannuto imposto dalla fiction ha infatti una serie di antichissimi antenati, del tutto diversi ma non meno allarmanti. Alquanto paffuti, rubizzi e privi di zanne, costoro non sempre succhiano il sangue (e quando lo fanno preferiscono un buon morso al torace invece che sul collo): piuttosto danno il via ad epidemie di peste e di colera, oppure si dedicano alla bollitura di giovani donne o a stupidi dispetti. Ben più numerosi e fantasiosi della semplice treccia d'aglio, della croce e del paletto nel cuore, sono, inoltre, i modi per neutralizzarli ed eliminarli, ed esiste addirittura una casistica che consente la «diagnosi precoce» del vampirismo.
A parte il comune stato di non-morti e la maligna costanza con cui perseguitano i vivi, dunque, il conte Dracula e il vampiro contadino non hanno granché da spartire: ce lo rivela Vampiri, sepoltura e morte (Pratiche editrice, trad. di Chiara Gabutti, pp. 322, £. 38.000), un curioso saggio di Paul Barber, professore di storia del folclore all'università di Princeton, che ha dedicato anni allo studio di quanto, nella tradizione popolare, è connesso alla figura del revenant.
Nella ricchissima letteratura scientifica sull'argomento, il libro di Barber occupa un posto a parte, perché è forse il primo a raccogliere una enorme messe di informazioni sul vampiro, finalizzandole soprattutto alla comprensione dei riti di sepoltura e del rapporto complessivo che le popolazioni europee hanno avuto, in un passato neanche troppo remoto, con la morte.
Il dato saliente che emerge da questa minuziosa ricerca è (oltre al rigetto della diversità, così dirompente che neppure la tomba riesce a contenerla) il timore del «contagio»: la morte viene dai morti, e i vivi devono guardarsi da quanti, non rassegnati ad abbandonare il mondo, vanno freneticamente in cerca di energia vitale. L'attività del defunto è tale che la terra della sepoltura non basta a frenarla, e i segni della decomposizione finiscono per apparire manifestazioni di una seconda nefandissima «vita». È per questo che il morto sospetto va ucciso due volte, attraverso esumazioni e complicati rituali: il tempo necessario a renderlo inoffensivo (cioè a «stabilizzare» i suoi resti) è troppo lungo per i vivi, troppo inquietante e pericoloso. Solo il nudo scheletro o la cenere della cremazione potranno rassicurare i sonni di chi resta, ed ecco le pire funebri davanti al villaggio riunito, e gli ossari delle cripte offrirsi alla contemplazione.
Barber sostiene che per comprendere ed interpretare tutto questo, cioè il dato folclorico, dobbiamo prima cancellare l’immagine del vampiro letterario e cinematografico. Ma sarebbe forse più interessante indagare sul bizzarro innesto tra immaginario preindustriale e nuovi media che, tra la fine del diciottesimo secolo e la metà del nostro secolo, ha prodotto un ibrido inarrivabile come Dracula e i suoi molti fratelli. Doppio revenant che ha succhiato sangue e vita dal suo modello arcaico, il vampiro «mediale» è, infatti, un autentico e singolarissimo esempio di folclore moderno, che come tale va studiato.

“il manifesto”, 14 luglio 1994


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