Agatha Christie (seduta) con il secondo marito |
CATTOLICA
E' stata una brava
"fotografa" del suo mondo, oppure il trionfo dell'irrealismo? E'
stata una scrittrice, o soltanto una "scrivente"? E' stata un'artigiana
dallo stile sciatto, o si è deliberatamente servita di un linguaggio semplice e
piano per condurre in porto il suo "progetto letterario"? Ha agito
lealmente verso i lettori, mettendo a loro disposizione tutti i dati necessari
per vincere una ingegnosa sfida mentale, o è stata invece una banale,
compilatrice di cruciverba, capace anche, all'occorrenza, di barare? E ancora:
le generazioni future continueranno a leggere i suoi romanzi, oppure sarà ben presto
dimenticata, perché irrimediabilmente superata dai tempi?
A queste e ad altre domande era
chiamato a rispondere il "processo" che si è aperto venerdì scorso
nell' austera sala del Consiglio Comunale di Cattolica, nell' ambito del quinto
Mystfest - il festival del giallo e del mistero - e nel quale l'imputata era
Agatha Christie, la gentile signora che durante la sua lunga esistenza ha
assassinato con la penna settecento persone senza mai sporcarsi di sangue, e
che con questo processo ha probabilmente vissuto - dall'alto dei cieli del
giallo - la vicenda meno "thrilling" della sua carriera. Perché, come
è ovvio, l'esito del processo - non già il verdetto, che non era previsto dal
"regolamento" - era di fatto scontato in partenza: l'assoluzione. Anche
perché insieme a Dame Agatha, come hanno sottolineato da diverse angolature sia
la Pubblica Accusa (rappresentata dalla scrittrice e "giallologa" Renée
Reggiani), sia l' Avvocato Difensore (che era Rosellina Balbi), venivano
processati, per la loro indefettibile fedeltà alla scrittrice, anche
quattrocento milioni di acquirenti - e quindi probabilmente un miliardo e mezzo
di lettori in tutto il mondo, Urss e Cina comprese - dei suoi ottantasei
romanzi e delle sue numerose commedie. Il fatto che l' esito del processo fosse
praticamente scontato non ha tuttavia impedito che le due sedute siano state
movimentate, polemiche e divertenti. Perché, sì, Agatha Christie conta molti
amici, ma anche tanti nemici.
A cominciare da quelli
"storici", ampiamente citati, come per esempio Raymond Chandler con
la sua celebre accusa alla Christie di mancanza di realismo; accusa ricordata
anche dal primo "esperto" chiamato a testimoniare, quel Robert
Barnard che, oltre ad avere scritto un saggio su Agatha (A Talent to Deceive: an Appreciation of Agatha Christie), è autore
egli stesso di romanzi polizieschi, nonché professore di letteratura inglese in
una università norvegese.
A parte il Pubblico Ministero, il
cui compito era particolarmente difficile, gli accusatori della Christie si
sono contati sulle dita di una mano: ma, forse proprio per questo, il loro
accanimento è stato feroce. Primo fra tutti il signor Barnett, ex funzionario
di Scotland Yard, approdato anche lui alla stesura di "crime stories", il quale si è
scagliato duramente contro Agatha, riprendendo, dall' alto (o dal basso) delle
sue esperienze professionali - che non devono essere state propriamente
idilliache - l'accusa chandleriana di "mancanza di realismo". Dov' è
il sangue, dove l'orrore, dove la puzza dei cadaveri, dove il cordoglio dei
parenti, dove insomma la vita - anzi, la morte - nei romanzi della Christie?
Quando mai a un investigatore in carne e ossa capiterà di incappare in un
assassinio commesso con una goccia di veleno in un bicchiere di champagne? E
perché gli assassinii proposti dalla signora avvengono sempre in case dallo
stile georgiano, o in vicariati di campagna, o in biblioteche colme di libri
rari, o in battelli sul Nilo, o in treni di lusso? Quando mai a lui, Barnett,
sarebbe riuscito di riunire in una stanza tutti gli indiziati, e di puntare il
dito accusatore, dopo un lungo preambolo, sul colpevole, ottenendone, malgrado
la mancanza di prove, un'immediata confessione?
Se il primo capo d'accusa è stato
la mancanza di realismo, il secondo - ribadito con altrettanta burrascosa
spietatezza da Guido Almansi e da Alfredo Giuliani - è stata la cattiva
scrittura. Qui, qualche responsabilità ce l'ha anche Oreste del Buono, tanto
"amico" della vecchia signora da essersi lasciato andare a paragoni
che sono stati giudicati irriverenti e provocatorii dai due testimoni d'accusa.
Ma come? Agatha Christie sarebbe pari a Ivy Compton-Burnett, o addirittura -
Dio ne guardi - a Harold Pinter? I due critici letterari, nel loro sdegno,
hanno bocciato senza attenuanti Dame Agatha: era solo una "pappa di
tapioca", come ha detto Almansi, insipida e disgustosa; o, più nobilmente,
era simile, fatte le debite differenze, a Vittorio Alfieri, capace solo di
creare un mondo artificiale. Non solo, ma la Christie - ha incalzato Giuliani -
ha fatto un "uso imperterrito, carezzevole e insidioso del luogo
comune"; non aveva alcuna poetica; soprattutto, ha colpevolmente avvilito
l'enigma - questo grande elemento motore di tanta letteratura classica - a un
meccanico gioco di società.
La controffensiva dei testimoni
della difesa, oltre ad essere stata vivacissima, ha avuto buon gioco nel
puntare innanzitutto - come in ogni romanzo della Christie - sui fatti; e cioè
sui venticinque milioni di copie (come ha testimoniato Lia Volpatti) che nella
sola Italia sono state stampate dei suoi libri, senza nessuna promozione
pubblicitaria, ma soltanto sull' onda della popolarità - al di là delle
frontiere, delle classi sociali e delle generazioni - di questa superstite
cantastorie in un mondo di libri senza storie; sulle ottanta ristampe, per
novantamila copie, di ciascuno dei suoi romanzi; sulle telefonate e le lettere
che quotidianamente arrivano alla Mondadori - l'editore italiano della Christie
- per chiedere notizie sulle prossime riedizioni christiane.
Viene accusata di avere uno stile
elementare? Ma è proprio questa scorrevolezza del linguaggio che le ha
conquistato tanti lettori. Non è una grande scrittrice? L' argomento è privo di
senso: lei stessa si considerava solo una onesta artigiana. E' disonesta con il
pubblico quando semina "red herrings",
o indizi ingannatori, nelle sue pagine? Ma come, se ogni lettore attento è
messo in grado di individuare, lungo il percorso, gli elementi che portano alla
giusta soluzione e se, al momento della verità, tutto torna, come in un teorema
matematico?
Corrado Augias (presente a
Cattolica anche come vincitore del premio Gran Giallo per il suo romanzo Il fazzoletto azzurro, ma in questo caso
commosso teste a favore), è arrivato addirittura a paragonare la struttura del
"plot", dell' intreccio christiano con le sue regole rigorose e i
continui rimandi dall' apparenza alla sottostante verità, alla precisione di
forma del sonetto. Ed è forse un caso, si è chiesto Augias, se uno tra i massimi
teorizzatori dell' "opera aperta" (allusione evidente a Umberto Eco),
nel momento di affrontare "il genere giallo" ha fatto propria quella
forma costringente e geometrica che la Christie ha portato alla perfezione?
Dopo una pausa di riflessione per dar modo al Presidente del Tribunale Giuseppe
Petronio (cancelliere era Giorgio Gosetti, organizzatore, con Francesca
Solinas, del processo-convegno) di valutare gli atti processuali, il
dibattimento è proseguito sabato, prima con la testimonianza di esperti - tra
gli altri Claudio G. Fava, che ha parlato dei film tratti da opere della
Christie - e poi con quella di personaggi più "coinvolti", e dunque
più emotivi: Christianna Brand, collega e amica di Agatha; il nipote di quest'
ultima, Mathew Prichard, erede fortunato dei diritti di Mousetrap (la commedia
che è in scena a Londra da oltre trent' anni), che della nonna ha ricordato la
modestia, la generosità, la capacità di seguire le trasformazioni della società
(le piacevano molto i Beatles); e Janet Morgan, biografa della scrittrice, che
ha posto un quesito fondamentale: quali sono le ragioni psicologiche del
successo mondiale di Agatha Christie? Che cosa ha saputo dare alla gente d'
ogni paese, questa schiva scrittrice inglese, per conquistarla? Non poteva
essere, come è stato detto, una pura e semplice confezionatrice di enigmi; al
lettore offriva anche il suo humour, la sua esperienza della natura umana, e
soprattutto un gioco dell' intelligenza condotto con grande lealtà. Tutto ciò
continua ad offrirlo anche al lettore moderno, certo. E anche all' uomo di
cultura di ieri e di oggi, come ha fatto osservare l' Avvocato Difensore e come
ha confermato il politologo Giorgio Galli, presente in aula. Ciò spiega perchè
conti poco l' imprecisione storica e geografica delle trame, quella che Renèe
Reggiani, Pubblico Ministero che si è dichiarato "oppresso e
braccato" dai quattrocento milioni di christiani, ha definito l'"improbabile"
e "intercambiabile" ambientazione dei romanzi della Christie,
opponendole, nella sua arringa, l' ambientazione offerta, per esempio, da
Simenon o da Ross Macdonald, e dichiarandosi convinta che la "stella"
della Christie finirà per spegnersi: "non c' è bisogno di condannarla, si
è condannata da sola". E allora, innocente o colpevole? L'Avvocato
Difensore, in una appassionata arringa, facendo sua la richiesta di una
spiegazione "psicologica" dell' amore per Agatha, ha fugato ogni
dubbio. E' vero, ha detto, che dai romanzi della Christie le emozioni sono
"espulse". Ma sta proprio in questo la grande forza consolatrice che
essi offrono ai lettori: i quali si spogliano anch' essi di ogni personale
emozione, di ogni angoscia, di ogni sofferenza, e diventano una pura mente
pensante impegnata in una battaglia contro un' altra mente pensante. Né si
tratta di un' evasione, perché in questo caso il lettore non si dimentica
affatto di se stesso, sapendo, al contrario, di condurre un gioco che può
essere anche serio e importante, perché mette alla prova la sua stessa capacità
di pensare e di ragionare.
Così non è un caso che i
prigionieri di Buchenwald, condannati ad una progressiva
"sparizione", mettessero in scena i Dieci piccoli indiani, la storia christiana in cui tutti i
personaggi progressivamente spariscono, finché "non rimase nessuno":
era un modo di spogliare la loro tremenda vicenda dalla paura, sovrapponendole
un "gioco" dove alla fine trionfa la Ragione e il colpevole paga. Il
trionfo della ragione, della creatività, dell' intelligenza umana: è questo il
messaggio, consapevole o no, della Christie; un messaggio che si fa sempre più
prezioso nell' era del computer: nessuna macchina, per perfetta che sia, potrà
mai sostituirsi all' uomo nella sua tormentata fatica intellettuale, nella sua
paziente ricerca del vero.
Perciò, se davvero un giorno i
libri di Agatha Christie non dovessero più essere letti, quello, ha concluso la
Difesa, sarebbe un ben triste giorno.
“la Repubblica”, 3 luglio 1984
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